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Hamburger Bahnhof: Berlino e l’arte contemporanea

di Alessia Del Vigo

Berlino e i suoi oltre 170 musei: l’offerta è tale che si finisce troppo spesso per dimenticarsene, non appena si diventa sedentari. In una città dove tutti si definiscono artisti, non può mancare il tempio dell’arte contemporanea, un tripudio di opere e installazioni all’interno di un luogo dalla storia controversa: Hamburger Bahnhof, imponente struttura bianca trasformata essa stessa in opera d’arte, grazie all’illuminazione progettata da Dan Flavin.

Marietica Potrc, Caracas- growing houses hamburger bahnhof
Marietica Potrc: “Caracas- growing houses” Foto: Alessia Del Vigo

Hamburger Bahnof: da museo, a stazione, a museo

Hamburger Bahnhof, come suggerisce il nome, è stata un’importante stazione di collegamento con la città di Amburgo. Già adibita a museo nel 1906, tornò ufficialmente al ruolo di stazione dopo la seconda Guerra Mondiale. Hamburger Bahnhof vanta una storia molto particolare, perché si trova fino al 1984, geograficamente e giuridicamente, nella zona ovest della città, ma fino al 1989 è demanio delle Ferrovie della DDR.

Questa particolare quanto assurda condizione la condanna a un trentennio di sonno. Dopo la riunificazione si sono sviluppati i progetti di riqualificazione e, come è avvenuto per molti altri luoghi in disuso, la struttura si è trasformata in museo. L’arte contemporanea che oggi ne abita gli spazi può esprimersi al meglio anche grazie all’estensione della superficie a disposizione.

Per una visita a trecentosessanta gradi, si consiglia caldamente di partecipare a una delle passeggiate con i curatori: sono gratuite e vengono organizzate di solito dopo l’orario di chiusura del museo (per maggiori informazioni consultate questo link).

The end of the 20 Century, Joseph Beuys
Joseph Beuys: “The end of the 20. Century” Foto: Alessia Del Vigo

Dalla Collezione Marx agli artisti sudamericani e asiatici

Aperta al pubblico nel 1996 con la sola collezione Marx, che oggi ne occupa l’ala est, Hamburger Bahnhof vanta opere di Keith Haring, Andy Warhol, Joseph Beuys, Cy Twombly, solo per citarne alcuni. A Beuys è inoltre dedicata gran parte dell’ala ovest con il suo “The end of the 20. century”.

Molto spazio viene dato ad artisti sudamericani e asiatici. L’artista slovena Marietica Potrc, autrice dell’opera “Caracas: growing houses“, nell’atrio dell’edificio ha un posto di primo piano, così come le sculture di Goshka Macuga, che sfruttano materiali alternativi come la gomma per rappresentare i volti di personaggi come Karl Marx, Albert Einstein, Olympe De Gouges.

Joseph Beuys by andy warhol hamburger bahnhof
Andy Warhol: “Joseph Beuys” Foto: Alessia Del Vigo

Molti sono i dipinti di J. Sultan Ali e Sadin Guri, che presentano un’arte di matrice culturale diversa (India, Guinea, Indonesia), ma che spesso, nelle composizioni fitte e colorate e con tecniche quasi tridimensionali, offrono un nuovo dipinto, a seconda della distanza dalla quale lo si osserva.


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Le tele di Gaugin e la parte centrale della collezione

Nella stessa ala (ci troviamo al piano superiore dell’ala ovest) ci sono anche due tele di Paul Gauguin. Da non perdere la parte centrale della collezione, con opere che davvero si fondono con la quotidianità della società moderna, mimetizzandosi a volte con l’edificio.

Penso ad esempio all’opera

Exit“: lampade a sfera bianche tutte in fila con la scritta EXIT in rosso, che potrebbero essere scambiate per parte della segnaletica dell’edificio. Oppure la stanza vuota e semibuia (ci furono discussioni riguardo all’insegna dell’uscita di emergenza), intitolata “Lights out“, dove lo spazio è l’opera.


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Le opere di Andy Warhol e Beuys

Più avanti una tenda bianca apre lo spazio di Pipilotti Rist, che catapulta l’ospite dentro il suo “Remake of the weekend”, video-installazione che si riflette su sfondo di pietre e sabbia. Ancora l’ala ovest con molte opere di Andy Warhol e un angolo dedicato a Beuys. Al piano terra installazioni e gli schizzi dell’opera di Wolf VostellHappening Raum“, custodita oggi nella parte centrale dell’edificio, ma non più calpestabile come è stata nei suoi primi anni di vita (1968).

Al piano terra si trova il glossario incompleto scritto sulle pareti, al quale chiunque può provare a dare un contributo. Uscendo, se comincia a calare il sole, potrete vedere l’installazione di Dan Flavin illuminare porte e finestre dell’edificio, perché se c’è una cosa che l’arte contemporanea ci insegna è che tutto si trasforma e che ogni elemento dello spazio attorno all’opera può diventarne parte.

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