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The Visual House: “Good Bye, Lenin!”, Il film che racconta un cortocircuito temporale a Berlino

di Alessandra Arcieri

“Good Bye, Lenin!” – La trama. Corre l’anno 1989. Christiane Kerner vive a Berlino Est ed è convinta sostenitrice della linea del Partito Socialista. Suo marito è fuggito a Ovest e le è rimasto solo suo figlio, Alex. Una sera, alla vista del figlio catturato dalla polizia durante una protesta, ha un attacco cardiaco e va in coma. Durante la sua lunga degenza ospedaliera viene abbattuto il Muro e un certo tipo di mondo, quello in cui Christiane ha creduto ad ogni costo, cessa di esistere quasi all’istante. Quando, mesi dopo, la donna si risveglia dal coma, il figlio Alex viene avvisato dai medici: lo choc per la fine della DDR potrebbe essere fatale per Christiane. È quindi necessario fingere che tutto sia rimasto uguale. Alex ricostruisce attorno a sua madre, nelle quattro mura di casa, un mondo pre-coma e pre-crollo, raccattando letteralmente i brandelli di un passato prossimo socialista, in cui forse anche lui ha bisogno di credere. Tutto funziona, fino a quando Christiane non guarda fuori.

Il corto circuito temporale di “Good Bye, Lenin!”

Corto circuito storico-temporale. Questo è uno dei nomi con cui si semplifica, in un’analisi narratologica del film, quell’empasse che fa vivere una dimensione temporale all’interno di un’altra. L’artificio narrativo che racconta il “risveglio” del protagonista in una dimensione spazio-tempo differente da quella originaria non è una novità, nemmeno per il cinema mainstream. “Ritorno al Futuro” di Robert Zemeckis è un portabandiera di questo filone. Mentre per Zemeckis c’è una vera e propria macchina del tempo a traghettare il protagonista in un’altra dimensione, quindi il gioco è abbastanza facile, in altri film la scatola narrativa insiste sugli inganni e sulle illusioni della psiche umana.

Stereotipi e nostalgia

Se si pensa al cinema d’autore europeo, anche il premiato “Underground” di Emir Kusturica ricalca questo schema ed è forse molto più vicino al “Good Bye, Lenin!” di Wofgang Becker per intenti, metafore e critica socio-politica, sempre sul filo di un umorismo sottile. Quell’umorismo che permette di argomentare il tema in modo esauriente, perché ne svela entrambe le facce. E in “Good Bye Lenin!”, film campione di incassi in Germania e in Europa, il genere commedia si presta splendidamente alla riflessione e alla giustapposizione di stereotipi. Ritrovare l’etichetta di un prodotto in commercio nella DDR, che nella nuova Berlino unita non si vende più, ma serve per accontentare la madre che ha voglia di “cetriolini dello Spreewald”, diventa, per Alex e per i suoi compagni d’avventura, la metafora di una ricerca valoriale necessaria, ma fuori dal tempo presente.

Il tempo reale continua a srotolarsi e nonostante i maldestri tentativi di ricostruire un telegiornale fasullo per placare la sete di notizie dell’ortodossia socialista della madre, Alex non può nulla contro le gigantesche insegne della Coca-Cola, che campeggiano ovunque e invadono anche la porzione di cielo inquadrata dalla finestra della camera di sua madre.
Il tempo attuale reclama il suo spazio universale. Becker sottolinea il concetto con un pregevole omaggio alla commedia “Uno, due, tre!” di Wilder, che raccontava le avventure di McNamara, dirigente americano dellaCoca-Cola a Berlino, e il sottotesto è efficacissimo, anche perché il film di Wilder fu girato nell’anno della costruzione del Muro.


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Lo sdoppiamento del punto di vista

Con lo sdoppiamento del punto di vista, che si ha inevitabilmente col cortocircuito, l’autore ha modo di rappresentare la realtà narrata secondo due linee guida, che permangono intatte per buona parte del film. Le due facce della medaglia, le due Germanie, i due mondi non comunicanti, che non si guardano e non si capiscono. Ma c’è di più: come in un gioco di specchi, entrambe le ideologie mostrano limiti ed errori. È proprio per questo che, al di là della sostituzione delle icone, l’impatto di Christiane col mondo esterno assume una portata esistenziale e ideologica, proprio come, in “Underground” di Kusturica, l’uscita dal rifugio sotterraneo svela un mondo che in fondo si ciba ancora e sempre di guerra.

Un finale ucronico in piena regola completa il film e ne fa un’opera riuscitissima: l’impatto con la realtà è inevitabile, Christiane scopre che il Muro è stato abbattuto, ma Alex ha ribaltato la storia, trasfigurando la realtà in modo poetico e idealista. Sua madre morirà con l’illusione di aver partecipato alla costruzione di un mondo migliore, in cui i “profughi dell’Ovest” sono stati finalmente accolti nell’isola felice dell’Est. Un mondo migliore che, proprio come rivela l’artificio narrativo, e come rivela Alex nel monologo finale, forse non è mai esistito, se non nella dimensione degli affetti e dei sogni.

Alessandra Arcieri

Autrice, sceneggiatrice, regista, membro Writers Guild of Italy, inizia la sua carriera come reporter e speaker radiofonica, curatrice di magazine, eventi e cineforum e come traduttrice di sceneggiature e interviste e opere di autori inglesi contemporanei e inediti. Ha lavorato come autrice e assistente alla regia per il teatro e per oltre dieci anni come autrice e regista di documentari e magazine per SKY (Alice, Marcopolo, Nuvolari, Leonardo), Discovery Real Time e Rai4. Ha continuato il suo lavoro come sceneggiatrice e supervisore di progetti per Unicorno Visioniparallele/NBC Universal e per BLUEcinematv di Daniele Baldacci. Per BLUEcinematv e OLOS® realizza anche script per personaggi olografici e installazioni. Nel 2015 ha redatto il Manifesto Cyberzen (sottogenere zen del cyberpunk) ed è arrivata finalista al premio letterario Buk Modena 2017 col suo romanzo cyberzen “Proiezione Origami”. Dal 2010 tiene workshop di sceneggiatura in corsi base e di alta formazione in tutta Italia e a Berlino insegna sceneggiatura a The Visual House.

The Visual House è la scuola di cinema e video in lingua italiana a Berlino. La scuola è diretta da Marco Zaccaria e Roberta Chimera e offre workshop su tutte le attività che riguardano il cinema e il video, a chiunque voglia approfondire la propria conoscenza della pratica cinematografica. Tutti i partecipanti ai workshop prendono parte attivamente alla produzione della web series Generation Berlin. The Visual House è partner dell’Associazione Nazionale Filmmakers e Video-makers Italiani.

 

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