I diritti delle donne e la Germania divisa: uguaglianza negata all’est e all’ovest
Nella Germania divisa la cosiddetta uguaglianza di genere non era affatto una garanzia, in nessuno dei due blocchi in cui la nazione risultava divisa.
All’interno della Germania dell’est formalmente le donne erano aiutate a conciliare il lavoro con la vita privata, mentre il sistema di assistenza all’infanzia gestito dal governo consentiva al 90% delle donne di lavorare, anche in ambiti tradizionalmente riservati agli uomini. Parliamo ad esempio di settori legati all’ingegneria, alla tecnologia oppure all’edilizia.
L’impostazione e la filosofia socialista che erano alla base della DDR, inoltre, postulavano almeno sulla carta una totale uguaglianza dei generi e diversi intellettuali marxisti, come ad esempio Engels, attaccarono spesso la società capitalistica anche in quanto funzionale allo sfruttamento delle donne.
Vennero però sempre rifiutate le istanze femministe maturate dall’altra parte del Muro, perché all’est si riteneva che il femminismo “occidentale” fosse sostanzialmente misandrico e avesse dunque in odio gli uomini più di quanto tenesse ai diritti delle donne.
Se all’interno del mondo del lavoro l’uguaglianza tra uomo e donna veniva oggettivamente perseguita e incentivata dalla Germania orientale, nell’ambito della vita familiare rimanevano tuttavia saldi i classici stereotipi di genere. Non era ad esempio prevista un’equa distribuzione dei compiti legati alla cura della casa e della prole e si continuava a seguire un modello fondato sulla totale non cooperazione dell’uomo ai lavori domestici. La vita politica, inoltre, continuava a essere sostanzialmente dominata dagli uomini.
La Germania dell’ovest, d’altro canto, non offriva alle donne quel “salto di qualità” che si lega non solo alla promozione formale di un clima di libertà, ma anche alla rimozione degli ostacoli di natura sociale e culturale che di fatto rendono impossibile l’uguaglianza tra generi.
Ma anche sul piano dei diritti le donne dell’ovest erano, a ben vedere, ben lungi dal definirsi “uguali agli uomini”.
Non potevano infatti divorziare, se non con il consenso del marito, assumevano il suo cognome dopo il matrimonio e subivano l’obbligo giuridico di prendersi cura della casa.
Solo i movimenti femministi degli anni settanta consentirono alle donne di conquistare qualche diritto in più, anche se l’equità salariale rimase un miraggio. Per lo stesso tipo di lavoro, infatti, le donne dell’ovest continuarono a lungo percepire fino a un terzo in meno del normale compenso destinato a un uomo.
L’unificazione delle due Germania ha spostato il problema, ma l’ha solo relativamente risolto, mentre l’annosa questione della parità di genere si aggrega oggi al dibattito intersezionale sui diritti delle lavoratrici straniere sul suolo tedesco e sulle molestie sessuali, sul lavoro e all’interno della società civile. Il tutto passando per la questione delle quote rosa nei consigli esecutivi delle società quotate in borsa e con più di 250 dipendenti, chieste dall’Unione Europea, rifiutate da Angela Merkel a tutela della volontà degli Stati membri nel 2013 e infine reintrodotte per volontà dell’SPD nel 2015.