I only come out at night: This isn‘t the place
La prima volta che sono finito nella condizione di paralisi nel sonno, ho persino avuto allucinazioni uditive, è stato orribile. Nel tempo, quando si è ripetuto, ho imparato a concentrare la mia attenzione su quelle allucinazioni, e mentre la mente si allontana dal corpo, seguirle e trarne vantaggio. Se posso controllare la paura, forse non sarà dolorosa. Altre volte invece, come un paio di notti fa, quando sono riuscito finalmente a muovermi, l‘ho fatto scattando sul letto, gridando, ma avrò davvero gridato? Non posso saperlo.
La passione è un attimo ed è psicologica. Non sono sicuro dovremmo andare a casa insieme, un‘amica mi ha appena chiamato, ha bisogno di me. Io devo dormire, intono una ninna ninna, alzi la testa di scatto e mi dici “Brahms sinfonia n. 2!”. Io, “pensavo l’avesse creata mi nonna!”, ridi, mi metti una mano in faccia, l’altra la blocco, i giovani d’oggi sono pieni di energie.
In passato mi sono aperto ad ulteriori richieste di affetto, anche se temporanee, e limitate, pura illusione. Adesso sono così disincantato, che non ci provo nemmeno. Posso vivere senza nomi, senza numeri di telefono, senza abbracci. Io dell’apparenza non me ne faccio nulla. Sono presuntuoso, perché trovo un modo di arrangiarmi, il che non porta ad alcuna stabilità o appagamento. E allora cerco di razionalizzare sempre, pensiamo alle cose da fare: ho preso un bell’appartamentino, sono qui da poco, e quando mi muovo dentro mi compiaccio, gli ex inquilini hanno lasciato le porte di tre colori diversi, ciò mi fa inorridire. Ho comprato una Thonet e la cosa mi fa sentire un po’ a casa. Prevedo con ospiti irruenti dovrò reinventare gli accorgimenti di mia nonna, “piano! Siediti lentamente o la rompi!”.
Domenica all’alba eravamo ancora tutti a lavoro, avevamo avuto una notte molto impegnativa, una collega aveva proposto di andare al KitKat, un’altra non indossava già il reggiseno da inizio serata, io ero andato a lavorare in latex, easy, un nuovo collega ha deciso di accodarsi, ma non avendo alcun outfit sarebbe rimasto in mutande.
Due capi sarebbero forse venuti. Una nostra performer pensava pure di venire. Una squadra di calcio, praticamente.
Somehow prevedevo situazioni imbarazzanti, io sono molto open-minded, ma non molti tra quelli che dicono di esserlo lo sono davvero, quando si trovano in alcune situazioni. Ad ogni modo, non sarebbe stato un problema entrare, siamo naturalmente più adatti della media di chi va lì, io ho lavorato tutta la notte in latex e a torso nudo, non c’è finzione. Avevamo preso delle ottime mance, ce lo meritavamo. Abbiamo chiuso il locale, attraversato la strada e preso un taxi. Mi sono ripassato lo smalto sull’auto, non avevo auto modo di farlo prima.
Siamo scesi di fronte all’ingresso, i buttafuori hanno discusso con un tipo che non avrei voluto dentro, gli hanno detto “amico ‘sti cazzi che hai un gilet da indossare, qui si entra come lui!” e hanno puntato il dito verso di me. Indossavo un cappotto lungo, faceva freddo e io sono sempre in latex e niente sopra e il latex non è termoisolante… just so you know. Erano in tre davanti al primo ingresso, altri tre davanti al secondo, ci hanno fatto largo, ho lanciato un sorriso, siamo entrati.
Quando hai lavorato per dodici ore, non vuoi subito metterti a letto, in qualche modo desideri un Feierabend, un drink per rilassarti e poi finalmente a letto.
Non appena abbiamo lasciato le giacche abbiamo incrociato una ragazza di nostra conoscenza, il caso vuole, ex del nuovo collega. Quante volte ho già scritto sui miei blog che il mondo è microscopico? There we go! Lei era incazzata, si è subito riferita al suo ex e l’ho vista un po’ spaesata, aveva perso il cellulare, con tanto di borsetta.
Ho cercato di essere d’aiuto, mi ha detto che in sala c’erano altre due persone che conosceva. Diversi mesi la tipa mi aveva messo una mano sul culo dicendomi che avrebbe voluto farmi delle cose. Ho cercato i suoi amici dove mi era stato indicato, li ho salutati, ho chiesto e la tipa mi ha scritto stamattina ringraziandomi dell’aiuto e dicendomi di aver ritrovato la borsa, alla fine.
Comunque in quella circostanza altra gente random veniva, salutava, baciava, chiedeva cose, io sorridevo evitando ogni contatto fisico, chiedevo all’amica con cui ero “ma li conosciamo davvero?” e lei mi rispondeva “nope“. Ci siamo spostati, non avevo sicuramente voglia di fare la loro conoscenza, in quel momento.
Nel frattempo ci ha raggiunto un amico con al seguito una ragazza. Lui è un musicista che organizza dei live privati con cuffie nel suo studio. Io lavoro sempre quando li fa, ma vorrei andarci, una volta, abbiamo parlato un po’ di questo e di come stia andando.
Si fa spesso dei selfies con in mano dei fiori. Nelle foto lui appare sempre molto triste, la didascalia dice che “i fiori lo rendono felice”. Io lo trovo un ragazzo simpatico, la mia amica che lo conosce bene mi ha detto che ha avuto un’infanzia terribile, non ha mai fatto riferimenti ad episodi specifici, in quanto privati, ma immagino disastri.
Intanto al KitKat potevo vedere i soliti personaggi che vagano da soli e si guardano attorno. C’era questa ragazza transgender che conosco non so nemmeno perché, la quale scrive sempre su facebook che non riesce a trovare casa per via della sua condizione, c’è il tipo sempre in botta che balla in pantaloncini sul palco, c’è il nuovo runner che una volta mi ha visto ad un party di House Of The Red Doors, ha alzato la manina e io ho risposto con entusiasmo. Ne ho anche scritto qui. L’entusiasmo doveva essere dovuto al fatto che ci fossimo incontrati altrove. E c’era quest’uomo che girava con il culo di fuori, le calze a rete, e la faccia coperta da garze. Una volta l’ho visto rivestirsi mentre aspettavo il mio cappotto, è uscito in giacca e cravatta, una rivelazione!
Io non mi preoccupo mai di vestirmi in modo appropriato per entrare o uscire dal KitKat, ma trovo davvero affascinante chi lo fa, non è un modo di nascondersi, bensì un modo di essere liberi a proprio piacimento. Intanto io ballavo con la mia amica, quando andiamo lì insieme ci facciamo dei personal. Lei è in realtà una ballerina di danza classica e mi ha fatto scoprire tanti altri ballerini e ballerine che frequentano il KitKat. Intanto la mia amica ballava sul cubo e io sotto di lei, ci guardavamo, rilassandoci.
A un certo punto mi si è avvicinato uno con un fisico un po’ troppo definito per essere un ballerino di classica, ha attaccato bottone dicendo che la sua ragazza si trovava a casa e lasciato in sospeso la più prevedibile delle allusioni.
Ha direttamente parlato in inglese, quasi mai qualcuno mi si avvicina parlando in tedesco. Io ho vissuto in un’altra capitale per quasi dieci anni, ma non è mai stata così internazionale come Berlino, non con questa versatilità, è normale qui parlare costantemente almeno due lingue, Punkt.
Ad ogni modo il tipo stava ballando in modo molto alquanto “tamarro”, bel visino e niente da ridire sul resto, era uno di quegli uomini molto belli che sanno di esserlo e l’amica mi ha lanciato uno sguardo tipo “Oh my god!”.
A tratto ho visto arrivare un amico scozzese, credo sia un fotografo, non mi è molto chiara la sua posizione, è amico della mia amica, un uomo molto dolce e garbato, di quelli che vogliono sempre offrirti qualcosa, sia il posto a sedere o un drink, e a cui a un certo punto devi dire no, perché altrimenti stai approfittando.
Mi sono stupito del fatto che lo abbiano fatto entrare, non voglio esprimere un pregiudizio, è solo una questione di apparenza (che, okay, è un pregiudizio comunque).
Era senza maglietta ma in pantaloni ed era venuto per un drink con noi. Dopo un po’ che eravamo insieme, seduti fuori a parlare, ha deciso di togliersi i pantaloni. Io continuavo a raccomandargli di lasciarli al guardaroba, ero davvero preoccupato li potesse dimenticare in giro. Mentre eravamo attorno alla piscina e qualcuno era “impegnato” alla nostra destra, lui ha detto: “Vedete io cerco una donna per una relazione” e io ho pensato che era dolce, ma decisamente nel posto sbagliato. Alla fine ci siamo goduti la rispettiva compagnia.
Andare in bagno al KitKat è sempre un’esperienza. Le file sono relativamente lunghe, ci sono gruppi di due, tre, sette persone per cabina. I buttafuori dall’esterno usano ogni tanto gli sgabelli per dare un’occhiata all’interno delle cabine affollate, poi li vedi dall’alto estrarre qualcosa e sgretolarla all’esterno.
Io sono andato al bagno sempre con la mia amica perché non volevamo perderci, ci ha seguito un ragazzo dal visino carino chiedendo quale fosse la nostra situazione sentimentale, l’amica ha risposto che sono il marito. Lui è rimasto lì accanto a noi e ha detto che lei avrebbe potrebbe fare un regalino a lui e io, se avessi voluto, avrei potuto guardare. Lei è scoppiata a ridere, lui è rimasto lì in piedi. Dopo un po’ ci ha raggiunti e ci si è seduto accanto, guardandoci. L’amico scozzese lo trovava inquietante, se io mi voltavo, lui mi sorrideva. Indossava una sorta di gonna ed aveva dimenticato le mutande a casa. Mi ha chiesto ancora se fossimo davvero sposati, io ho sorriso dicendo di no, allora stupito ha chiesto perché gli avessimo mentito. Io ho risposto, “amico il problema è tuo che ci credi, chi te conosce! Tschüüüüss!”.
Dio santo la gente! QUESTA è la gente che prende il tram con voi e che siede accanto a voi in ufficio, una manica di perversi, fine with it.
Si è rotto il mio cellulare, circa una settimana fa, e mentre i miei datori di lavoro si affannavano per trovare una soluzione, io chiedevo di lasciare le cose come stanno.
Lavoro bene con tutti questi mezzi, Google Drive, calendari condivisi, piattaforme specifiche per gruppi di lavoro, e poi Whatsapp e via dicendo, e in questo la tecnologia ci aiuta a vivere meglio, ma ci ha schiavizzato in un modo quasi assoluto.
Posso vedere un amico dandogli un appuntamento il lunedì per sabato alle 18.00, non lo trovo impossibile. Io ho vissuto buona parte della mia vita senza gli attuali mezzi di comunicazione, riuscivamo a fare tutto. Quello che mi sta spingendo a non volere un telefono, o uno smartphone, per lo meno, è la dipendenza che si è creata. Se uso Whatsapp per scrivermi con mia madre, con gli amici, per organizzare i turni di lavoro, per prendere altri lavori… controllerò la piattaforma di continuo. E non sono sicuro debba essere “sempre sul pezzo”. Se sono a casa e non sto lavorando, se sono con amici e non sto lavorando, non dovrei aver accesso al mio universo lavorativo, ad esempio. E viceversa, vale lo stesso relativamente ad amici e famiglia, mentre si sta lavorando. A me piace il mio lavoro e sono quel tipo di persona che giorno e notte pensa a ciò che è possibile fare, e lo scrive.
Sto vivendo in generale una fase del tutto negativa, in modo pacato, senza drammi, cercando di capire se c‘è una direzione da prendere. È inutile propormi qualunque cosa, spingermi a fare qualunque cosa, avrete un muro davanti. Sto cercando di apportare soluzioni, anche piccoli cambiamenti della vita quotidiana, ed è già qualcosa, per me.
La concentrazione è la cosa che mi manca in assoluto, anche per questo voglio ridurre le distrazioni… che poi sono sicuro le sostituirò solamente.
Come faccio sempre.