“Il mondo visto attraverso gli occhi di mia figlia”. Incontro a Berlino sulla sindrome di Down

Lia Nadine Massetti, attrice presso il Thikwa Theater e musa ispiratrice del progetto Artemisia e.V.. Foto di Christian Tasso fotografo di “quindicipercento”. di Amelia Massetti

di Amelia Massetti

Quando una madre viene a conoscenza che il proprio figlio ha la sindrome di Down, nessuno ti porta un fiore per annunciarti la nascita di tuo figlio o di tua figlia. Improvvisamente l’evento tanto atteso non è più un fatto straordinario accompagnato da gioia e felicità, ma si trasforma in una comunicazione che assume tutti i connotati di un evento doloroso.
Con il tempo i genitori imparano a conoscere i propri figli e ad amarle senza dimenticare che la società in primo luogo ti condanna e ti colpevolizza con le sue domande, talvolta imbarazzanti, del tipo “ma perché non avete fatto l’amniocentesi?” oppure con gli stereotipi “comunque sono molto affettuosi”.

Sindrome di Down” viene dal nome del dott. Langdon Down, che per primo, nel 1866, identificò le principali caratteristiche di questa sindrome eliminando il termine dispregiativo Mongoloide, usato purtroppo ancora correntemente anche da giornalisti famosi, vedi Marco Travaglio in una celebre gaffe televisiva.
In realtà, nonostante la genetica abbia fatto passi da gigante per capire le cause che concorrono alla determinazione del famoso cromosoma in più, fino ad oggi non è ancora stato definito come questo avvenga, essendo un movimento libero e casuale a determinare la composizione del cromosoma 21, chiamato anche trisomia 21, proprio perché il cromosoma 21 presenta tre cariotipi dello stesso tipo.

Le persone con sindrome di Down sanno fare molte cose e ne possono imparare molte altre: perché queste possibilità diventino reali occorre che tutti imparino a conoscerli e ad avere fiducia nelle loro capacità.
Reuven Feuerstein, psicologo pedagogista, afferma che “La mente è più forte dei geni” e ha scritto un libro dal titolo volutamente provocatorio “Non accettarmi come sono, un approccio nuovo alla sindrome di Down” in cui afferma la sua teoria secondo la quale se io accetto una persona per quello che è la blocco e non credo che possa evolversi. Ha inventato il metodo Feuerstein, che viene praticato nelle scuole in 14 paesi in tutto il mondo. A Gerusalemme ha creato una scuola che accoglie 150 ragazzi con disabilità cognitive e di apprendimento, non a pagamento, e molti di loro si sono laureati. Secondo Feuerstein la personalità di un individuo, le sue caratteristiche morali spirituali, culturali, mentali e, dunque, anche specificamente intellettive, sono sempre aperte, dinamiche e suscettibili di modificazione, superando il concetto genetico secondo cui se siamo fatti in un certo modo non possiamo modificare le nostre capacità cognitive.

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In realtà si può dire, considerando la grande moltitudine di persone con Sindrome di Down che, a seguito di un percorso di inserimento appropriato, si sono laureati e hanno raggiunto un livello di autonomia superiore allo standard medio, possono sviluppare una capacità di apprendimento superiore alle aspettative del passato.
Feuerstein afferma la caratteristica della dinamicità e non staticità dell’intelligenza, ipotizzando che le differenze culturali negli “stili di apprendimento” siano il vero punto focale rispetto allo sviluppo cognitivo.
L’idea fondamentale non è che la genetica non esista o non abbia influenza, ma che le condizioni prodotte dai fattori genetici e cromosomici siano anch’esse modificabili. Il vero limite allo sviluppo della persona viene posto dal mediatore, quando questi non crede più nelle possibilità del soggetto stesso, quando cioè, l’educatore smette di sollecitare e di favorirne lo sviluppo.

Naturalmente esistono delle differenze e, come dice Guido Marangoni nel suo libro “Anna che sorride alla pioggia”, siamo fatti di-versi perché la vita è poesia. Se riuscissimo a vedere nella diversità il fondamento della natura umana che estende il suo pensiero a una forma più ampia e multiforme, non sentiremmo il bisogno di catalogare e stigmatizzare i vari quozienti di intelligenza umana, ma lasceremo le porte aperte alle infinite possibilità di evoluzione che ogni individuo porta con sé.
Parlare della Sindrome di Down non è semplice se a farlo è una madre, come me, che per anni non ha considerato un focus la genetica, le statistiche di incidenza e il fattore quoziente di intelligenza.

Lia è innanzitutto mia figlia, e con questa sentimento ho costruito il rapporto con lei, considerandola principalmente una persona in tutta la sua totalità. Provare a scoprirla attraversi i canoni o i racconti che altri avrebbero potuto offrimi, subito dopo la nascita e sicuramente nei primi anni di vita, diventavano per me un limite alla possibilità di arrivare con il mio intuito personale a decodificare le infinite possibilità di comunicazione e interazione che avrei potuto stabilire con lei.
Naturalmente ho provato rabbia e frustrazione, il tipico pensiero “ma perché proprio a me” oppure i dubbi che ti assillano nel pensare di potercela fare a crescere una figlia con la sindrome di Down in un mondo che probabilmente non le avrebbe offerto le opportunità necessarie a sviluppare le sue potenzialità.

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Photo by Andreas-photography©

Si impara con il tempo a capire i propri limiti e anche quelli degli altri che non sono pronti a convivere con la diversità e che in qualche modo la rifiutano a priori.
Ti accorgi che il mondo non è come immaginavi potesse essere e che spesso rifiuta o nega la possibilità di capire che esistono modalità differenti per crescere insieme.
Ho cercato di vedere il mondo attraverso gli occhi di mia figlia, e il suo era certamente migliore del mio. Lei non ne vedeva le contraddizioni né tantomeno aveva bisogno di entrare in competizione con gli altri, sapeva perdonare, cosa che a me risultava difficile. In qualche modo accetta meglio di me la sua diversità, ci convive e non la rifiuta così come fanno gli altri, lei non ha paura di se stessa. Incoscienza (direbbero in molti) o saggezza? Non saprei definirla, certamente lei, diventando una ragazza, ha imparato a definirsi in quanto persona con la Sindrome di Down e quando le domando come sente questo suo essere diversa, la risposta è: “io sono così”.

Nel prossimo incontro di Artemisia e.V. parleremo della Sindrome di Down. Interverrà Amelia Massetti, Presidente di Artemisia e.V. Inklusion für alle, che ne parlerà attraverso l’esperienza personale con sua figlia. Vedremo inoltre il documentario “Il ritratto di Y”, di Gabriele Nugara, regista che ha conosciuto insieme a sua madre Y, il protagonista del documentario, e ne è rimasto affascinato. “La sua voglia di giocare e di creare scompiglio, la capacità di suscitare una fortissima empatia, di stabilire un contatto immediato con le persone attorno (e metterle talvolta anche in chiara difficoltà)” hanno colpito il regista al punto da spingerlo a tentare di farne un primo breve ritratto audiovisivo, lasciando poi raccontare a sua madre “alcuni degli aspetti che caratterizzano la vita insieme a un bambino con la sindrome di Down a Berlino”. Lara Pinardi, la madre di “Y”, ci parlerà delle ricerche da lei fatte sulle persone con la Sindrome di Down presenti nella letteratura, ma sconosciute ad un pubblico più vasto.

Informazioni generali sull’incontro

Quando: il 7 novembre
Orario: Dalle 18:00 alle 21:00
Dove: Arbeitskreis Neue Erziehung e.V. – ANE
Hasenheide 54, 10967 Berlino (2° cortile -2°piano)
Come: U7 Südstern

Questo invece è l’evento ufficiale su facebook.