Intervista ad Ermal Meta: dietro Harvey Weinstein un sistema connivente

Ermal Meta è un cantautore albanese naturalizzato italiano. Ha partecipato all’edizione del 2017 di Sanremo aggiudicandosi il terzo posto e il premio della critica Mia Martini. Il suo ultimo album, “Vietato morire”, è salito al primo posto nella classifica degli album più venduti in Italia e il brano omonimo parla di una parte dolorosa della sua storia privata, legata al difficile rapporto con un padre violento.
Ermal si esibirà a Berlino domani, presso la Maschinenhaus in der Kulturbrauerei. Trovate qui i dettagli dell’evento. “Il Mitte” mette in palio due biglietti, che assegneremo alle prime due persone che ci scriveranno all’indirizzo [email protected].
Abbiamo incontrato Ermal e ci ha parlato di molte cose, anche molto importanti.

di Lucia Conti

Ciao Ermal, vorrei cominciare proprio dal tuo singolo più famoso, “Vietato morire”. Sia questo brano che “Lettera a mio padre” parlano del tuo rapporto difficile con un padre violento e di violenza domestica più in generale…

“Vietato morire” è un brano sulla violenza, ma non solo quello. Alcune violenze hanno esiti letali, ma non si muore solo fisicamente, ci sono molti modi di morire: possono morire delle idee, delle speranze, delle aspirazioni, dei sogni e il brano parla di come superare tutto questo proiettandosi in un’altra dimensione, è un brano che celebra la vita. E a pensarci bene non è neanche una canzone che parla di violenza, ma di disobbedienza, e la disobbedienza poi diventa una chiave importante, è una sorta di passpartout per aprire molte porte. E alcune di queste porte possono sicuramente condurre alla felicità.

Tu sei sicuramente riuscito a trovare la tua strada nella vita. Ti sentiresti di dire qualcosa a chi si trova oggi nella situazione in cui tu eri ieri? Di chi subisce una violenza e non sa come uscirne?

Sicuramente parlare, prima di ogni cosa, perché non è vero che “se pure parlo, tanto non mi possono capire”. La cosa importante è raccontare quello che accade e oltretutto quando esterni una cosa, quella cosa cambia, riesci a metterla a fuoco, è come quando ripassi una lezione a voce alta e alla fine la ricordi meglio.

Forse addirittura a “dominarla” meglio, una volta che la butti fuori…

Ognuno ha i suoi demoni, però molto spesso quando li guardi in faccia ti rendi conto che fanno meno paura di quello che credevi. È quello che non vedi che fa più paura… è come nei film di Hitchcock, in cui l’attesa dello sparo fa più paura dello sparo stesso.

Proprio perché mi ha colpito il tuo parlare ed esporti in modo coraggioso, volevo farti una domanda legata all’attualità. Non si lega direttamente al tipo di violenza che hai subito tu, ma si parla sempre di abusi e di coraggio nel denunciare. Che ne pensi del caso Weinstein?

Intanto precisiamo che quanto è accaduto non ha alcun tipo di giustificazione. Allargando un po’ il raggio della riflessione, però, possiamo focalizzare l’attenzione anche sul fatto che ci fossero molte altre persone che sapevano e che non hanno parlato. Perché non l’hanno fatto? Questo mi fa pensare a un sistema connivente, clientelare, anche perché parliamo di un uomo molto potente e di un circuito di protezione e creazione di alibi a sostegno, perché non è che puoi stuprare e molestare con questa sicurezza, devi avere una struttura dietro, devi sentirti tranquillo. C’era un sistema molto ampio di persone che sapevano e lo proteggevano e secondo me Weinstein è un po’ la punta della piramide. È sicuramente una persona agghiacciante, che dà i brividi e quando lo vedo in televisione cambio canale perché mi fa schifo. Però secondo me non è l’unico e troppa gente sapeva e la cosa sta venendo fuori solo adesso. Adesso viene fuori che Tarantino sapeva, ma ha taciuto, che Jane Fonda sapeva, ma ha taciuto… perché?
Proprio per questo bisogna parlare, denunciare, perché le ingiustizie vanno combattute anche quando il prezzo può sembrare alto e gli eroi sono diventati tali perché hanno detto no e non a dei moscerini, ma a dei titani. Quindi parlate! Non abbiate paura!

Oltre che un cantautore, si anche un autore e hai firmato i brani di molti altri artisti italiani. Cambi quando lavori per gli altri?

Non cambio mai, sono sempre uguale, il mio procedimento è sempre lo stesso: se una cosa mi emoziona, allora va bene, se non mi emoziona, non me ne frega niente, anche quando mi dicono “guarda che funziona tantissimo!”. Se funziona, ma non mi emoziona, dico no. Io lavoro così.

Domani suonerai a Berlino

Non vedo l’ora!

Vorrai dire qualcosa alle persone che sicuramente verranno a sentirti numerose?

Io mi auguro che siano numerose, ma a prescindere dal numero di persone che avrò davanti l’intensità del mio concerto non cambierà, quello che darò sarà sempre il massimo, come sono abituato a fare, perché quando vai sul palco e non dai il massimo vuol dire che ti stai prendendo gioco delle persone e anche se sono due, dieci, quindici o mille non importa, perché ti stanno regalando il loro tempo e quel tempo che ti regalano nessuno glielo può più restituire. Quindi è dovere di chi sta sul palco dare il massimo e anche fare in modo che quella gente possa percepire quello che sei, perché altrimenti stai mettendo in piedi una fiction e io faccio il musicista, non faccio l’attore.

Ermal, è stato davvero un piacere parlare con te. Ci vediamo presto!

Piacere mio, ci vediamo a Berlino!