di Pasquale Episcopo
Con 59 morti e oltre 500 feriti la strage di Las Vegas è quella con più vittime della storia americana. Ma, numeri a parte, essa non ha nulla di diverso dalle altre compiute in passato. Ciò che la rende del tutto simile alle centinaia di altre stragi del passato è l’angosciosa certezza che esse continueranno anche in futuro. L’America non è in grado di fermarle. Nove americani su dieci hanno un’arma in casa, due terzi di loro ne hanno più di una e nessuno è disposto a sbarazzarsene.
Donald Trump ha commentato la notizia dicendo che è stato “un atto di malvagità” e ha dichiarato di non volersi occupare subito della questione della libera circolazione delle armi. Se si fosse trattato di un atto di terrorismo la sua reazione sarebbe stata diversa. Se il bagno di sangue fosse stato compiuto da un nero, anche. Ma a compierlo è stato un bianco, un pensionato sessantaquattrenne benestante e amante del gioco del poker. Cosa che in Nevada non rappresenta un’anomalia. L’ultimo colpo l’ha sparato contro se stesso. Si chiamava Stephen Paddock. Viveva in un cittadina di 18.000 anime, a 120 km da Las Vegas. Nella stanza al 32esimo piano dell’albergo da cui ha fatto fuoco la polizia ha trovato ventitré tra pistole e fucili automatici. Ventitré.
Una persona squilibrata in alcune circostanze può rappresenta un pericolo per la collettività, ma se possiede un arsenale il rischio che un suo gesto insano si trasformi in una carneficina diventa certezza. Il punto è tuttavia un altro. Il punto è la facilità dell’acquisto e della detenzione di armi da fuoco negli Stati Uniti d’America. Il diritto di armarsi è difeso a spada tratta (o, meglio, “a pistola impugnata”) da parte della lobby industriale delle armi che si è fatta paladina di una vergognosa quanto ipocrita campagna a sostegno della sicurezza. Ben dodici dei fucili automatici ritrovati nella stanza d’albergo di Paddock erano dotati di un dispositivo che consente di sparare centinaia di colpi al minuto, proprio come una mitragliatrice. Anche l’acquisto di questo dispositivo è legale negli Stati Uniti.
Sicurezza e salute dovrebbero essere valori inalienabili in una democrazia. Paradossalmente in America il diritto alla salute non è tutelato dalla costituzione, quello di possedere un arma sì. Non è strano, quindi, che le armi facciano più vittime di talune gravi patologie. Secondo il Dipartimento di Stato nei dieci anni dal 2004 al 2013 il numero di morti ammazzati sul territorio americano è stato di 316.545, in media 31.654 all’anno. Ogni giorno c’è un cittadino che decide di premere il grilletto scegliendo le sue vittime a caso. Ciò contribuisce a rendere la popolazione carceraria americana la più numerosa al mondo, con oltre due milioni di detenuti.
Le sparatorie in America continueranno. Esse sono una parte dell’identità del Paese più sviluppato e potente del pianeta, un Paese che, tuttavia, ha perduto la sua egemonia politica e culturale. Esse sono l’assurdo male di una società opulenta dove, nonostante il benessere, l’odio alimenta l’odio. Dove le stragi alimentano nuove stragi, diventando contagiose. E purtroppo il contagio non conosce confini.
Nella vecchia Europa esempi di gesti scellerati non mancano, anche se fortunatamente sono molto più rari. Quello perpetrato in Norvegia, il 22 luglio 2011, da Anders Breivik causò 77 vittime e sconvolse l’intero Paese, fino ad allora piuttosto pacifico, e con esso tutto il continente. Fu un atto di terrorismo alimentato da un odio di matrice ideologica. Dichiarato sano di mente, Breivik fu poi condannato a ventuno anni di carcere, pena massima prevista dalla legge norvegese.
E in Germania? Sparatorie ed episodi di violenza gratuita accadono purtroppo anche qui, di tanto in tanto. Li chiamano “Amoklauf”, un termine che significa, appunto, furia violenta e omicida. L’ultimo in ordine di tempo ha causato nove vittime ed è stato compiuto l’anno scorso a Monaco, il 22 luglio 2016, esattamente cinque anni dopo la carneficina in Norvegia. Dettaglio questo che conferma il nesso emulativo tra episodi anche molto distanti nello spazio e nel tempo. A compierlo Ali Sonloby, diciottenne nato in Germania da genitori di origine iraniana, che ha scaricato la sua violenza su ragazzi della sua stessa età, in maggioranza con origini migratorie come la sua.
Nel 2012 Ali era stato vittima di bullismo da parte dei compagni di classe. Soffriva di disturbi d’ansia e di depressione ed era in trattamento psichiatrico. Era anche stato in ospedale per circa due mesi. Il suo non è un caso isolato. Moltissimi altri scolari, in Europa come in America, si sono resi responsabili di episodi di violenza. Gesti di giovani squilibrati e tuttavia le responsabilità, in Europa come in America, sono da ricercare anche nel modello di società che abbiamo costruito.
La strage di Las Vegas è solo l’ultimo gesto assurdo e incomprensibile che si aggiunge ai tanti altri che hanno reso il tempo in cui viviamo assurdo e incomprensibile.