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Dalla Siria a Berlino: la storia di Mohamad e il perchè della guerra in Siria #3

Mohamad ha una storia come tanti altri rifugiati siriani. Ma lui e la sua associazione fanno qualcosa di diverso: cercano i punti di contatto tra la storia di Berlino e quella della Siria e spiegano attraverso il passato della capitale tedesca come è nato il conflitto e come le forze internazionali giocano un punto focale nel determinarne le sorti. Angela Fiore l’ha intervistato per noi, andando a scoprire anche i dettagli del suo passato e come è giunto fino in Germania.

 

siria

 

di Angela Fiore

In occidente è diffusa la convinzione che Bashar Al Assad sia più moderato di suo padre, perché ha un aspetto più occidentale. Ritieni che ci sia un fondo di verità in questa affermazione?

Se lo paragoniamo a suo padre sì, ci sono delle differenze. Questo esempio non mi piace, ma rende l’idea: è come cercare le differenze fra Hitler e Stalin. Entrambi sono persone orribili, ma se devo per forza scegliere, forse uno è peggiore dell’altro. Come dire: fra queste due scelte ce n’è una migliore? Davvero? Forse sì, ma restano comunque entrambe terribili.

Questo paragone è particolarmente efficace se rapportato al contesto tedesco, dal momento che questo paese ha conosciuto due dittature successive, che opprimevano minoranze diverse in modi diversi e per motivi diversi. Potendo scegliere, non ci si augurerebbe di vivere sotto nessuna delle due.

Per molti versi si può dire che i paesi occidentali in generale hanno interagito con Assad padre prendendolo come un dato di fatto, una realtà esistente sulla quale non si poteva intervenire. Era al potere ed era molto bravo a giocare le sue carte. All’epoca, era il miglior alleato che l’Unione Sovietica potesse desiderare. Ma quando ha avuto bisogno di fare accordi con gli occidentali o con la Turchia, la Giordania o l’Iraq per il proprio tornaconto, la sua lealtà si è spostata. Sapeva fare il suo gioco. Era un politico molto abile. Estremo e brutale, ma un ottimo stratega. Il figlio non lo è. Il padre aveva più cose sotto controllo, poiché era stato lui a circondarsi di certe persone in posizioni di potere: quelle figure dello stato e delle istituzioni non erano nulla prima di lui. Per Bashar Al Assad è diverso: quelle persone erano già al potere prima che lui arrivasse e sono stati loro a metterlo nel posto che oggi occupa, perché avevano bisogno di un volto per il governo, possibilmente un volto che sembrasse moderato, per avere meno problemi con l’occidente.

Perché Bashar Al Assad parla inglese, ha una moglie inglese e veste all’occidentale?

Esatto! E poi parla come un politico occidentale. Nei suoi discorsi non fa riferimenti alla religione e all’ideologia. Proprio come si fa in Europa. Non negli USA però. Negli Stati Uniti si mette sempre qualche riferimento cristiano nei discorsi politici. Quella è una delle cose che non capisco. Va bene parlare di Dio in un discorso politico se a farlo è un cristiano, ma non se è un musulmano. Dal momento che la maggior parte della popolazione [americana] è cristiana, i politici hanno bisogno di usare quel tema per attirare consensi. Un presidente degli Stati Uniti deve per forza dire “Dio vi benedica e Dio benedica l’America” alla fine di ogni discorso, deve usare la parola Dio. A me non sembra una cosa tanto laica. Capisco che per attrarre gli elettori religiosi sia necessario fare riferimenti alla religione, è una cosa normale. Ma per gli occidentali è normale solo lì e non nei nostri paesi. È anche da questo che nascono i grossi problemi che ci sono con Erdogan. [I governi occidentali] sono disposti a lavorare con Assad contro l’Isis, ma non con Erdogan. Molti di questi governi motivano la cosa dicendo che [Erdogan] sta trasformando la Turchia in una dittatura, il che è vero. La Turchia, tuttavia, non è ancora una dittatura. Eppure [gli stessi governi] collaborano con Assad, con Abdel Fattah el-Sisi, con l’Arabia Saudita: perché questi [governanti e questi paesi] vanno bene e la Turchia no? E non voglio dire che le cose che [Erdogan] sta facendo non siano terribili. Sono due anni che si comporta come un pazzo, specialmente dopo il golpe e dopo che i suoi presunti alleati non hanno mosso un dito fino a quando non è stato chiaro che il golpe sarebbe fallito. E in quel momento lui ha capito che quelli non erano più i suoi alleati.

Quello che vuoi dire è che è strano che l’occidente sia restio a collaborare con Erdogan, mentre non ha alcun problema a collaborare con l’Arabia Saudita?

Esatto! Dicono che il problema è un problema di valori, che la Turchia sta diventando una dittatura, che Erdogan arresta i generali: non dico che tutto questo non sia vero. Ma se queste cose rappresentano un problema, allora lo stesso problema dovreste porvelo ogni volta che collaborate con una dittatura. Se è una questione di valori e di libertà e di libertà di parola.

Questa prospettiva si distacca notevolmente da quanto viene proposto dai media occidentali. Che tipo di feedback ottieni, quando presenti questo punto di vista durante i tour?

Per lo più le persone mi dicono che è stata un’esperienza illuminante, che ha fatto loro aprire gli occhi, ed è per questo che continuo a farlo. Voglio aiutare la gente ad aprire gli occhi. Una volta una donna inglese mi ha detto che le sembrava di poter leggere meglio le notizie, perché ora conosceva alcuni dei gruppi coinvolti, alcune delle parti in causa, e poteva comprendere il perché di una certa reazione o perché certe forze supportassero alcuni gruppi e non altri. Le persone riescono a comprendere meglio un conflitto complicatissimo. Conoscere la successione degli eventi aiuta le persone a capire come si sia arrivati a questo punto. Questo è il feedback che ricevo, la maggior parte delle volte. La gente è sorpresa di scoprire che il conflitto ha radici assai più antiche e profonde di quanto non immaginasse. La maggior parte della gente non sa che ci sono più fazioni oltre all’ISIS e al governo. Perché questo è quello che dicono i media. Chi non sa quello che sta accadendo, sente riferire solo quanto fatto dall’ISIS e dal governo, ma non dalle altre forze coinvolte.

Berlino è una città cosmopolita. In che percentuale i partecipanti ai vostri tour sono tedeschi e in che percentuale hanno provenienze diverse? Hai notato qualche differenza nelle loro reazioni?

Quando abbiamo iniziato, per un mese o due, avevamo circa il 70% di americani, soprattutto studenti. All’epoca l’evento era solo su Facebook, ma dopo un po’, quando abbiamo iniziato a pubblicare su Couchsurfing e Meetup e su altre applicazioni, e abbiamo anche iniziato a promuoverci su Facebook di tanto in tanto, abbiamo iniziato ad attirare un pubblico più internazionale. Per ora il gruppo più ristretto sono proprio i tedeschi. Ultimamente, diciamo negli ultimi due mesi, la percentuale di tedeschi è cresciuta. Negli ultimi due tour erano circa il 40%, che per noi è una percentuale alta. Prima erano circa il 5-6%. Le percentuali comunque variano ogni volta. Una volta mi sono capitati otto studenti indiani in un solo tour, ma di solito vengono soprattutto europei e americani.

(continua…)

Leggi il primosecondo e quarto capitolo della Storia di Mohamad.

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