La crisi africana arriva in Europa. Ed è la cattiva coscienza del G20
di Pasquale Episcopo
L’obiettivo principale dichiarato del G20 è la crescita economica sostenibile. Un obiettivo arduo se si pensa che per crescita si intende quella globale. Anche quest’anno non sono mancate manifestazioni e proteste contro un vertice che da quando è stato creato, nel 1999, è diventato espressione da una parte di buone intenzioni e grandi aspettative, dall’altra di forti delusioni.
Queste, a ben guardare, sono la conseguenza delle contraddizioni di cui il G20 è portatore, intrinseche nel binomio crescita-capitalismo. I Paesi membri rappresentano il 90% della ricchezza del mondo, l’80% del commercio mondiale e sono responsabili dell’84% delle emissioni totali di gas serra. L’Africa è la grande esclusa dalla festa (solo il Sudafrica ne è membro) ma, a guardar bene, è lei che paga il conto.
Attualmente in Africa venti milioni di persone rischiano la vita a causa della carestia che ha colpito alcuni Paesi dell’area subsahariana, in primis la Somalia, il Sud Sudan e la Nigeria nord-orientale. In vaste aree da tre anni non piove quasi più. Il risultato è che la gente è costretta ad abbandonare le proprie case e a sfollare in accampamenti di fortuna in cui le condizioni di vita sono estremamente precarie. Nella regione a nord e a ovest di Mogadiscio sono sorte centinaia di accampamenti simili. A siccità e carestia si sono aggiunte epidemie come il colera e la malaria. Come se non bastasse in questa zona sono i terroristi islamisti di Al Shabaab a dettar legge.
All’origine della carestia è il cambiamento climatico che nel continente nero è più devastante che altrove. Secondo le Nazioni Unite in Africa sta avendo luogo la peggiore crisi alimentare dal 1945. Questa riguarda una ventina di stati africani caratterizzati anche da instabilità politica. È da questi stati che iniziano i flussi migratori verso il mediterraneo.
La geografia non permette speculazioni. Per raggiungere l’Europa le rotte sono obbligate. Tutte comportano il superamento di due mari, uno di sabbia e l’altro d’acqua, entrambi pieni di insidie. Il deterrente rappresentato dall’alto numero di morti non ferma l’esercito dei disperati.
L’IOM (International Organization for Migration) tiene costantemente aggiornata la conta degli arrivi in Europa. Dal 1° gennaio al 23 luglio di quest’anno 93.417 persone sono arrivate in Italia attraverso le rotte del mediterraneo centrale. Purtroppo 2.208 non ce l’hanno fatta. In estate gli arrivi aumentano e con gli arrivi aumentano anche le polemiche sull’accoglienza e su chi debba farsene carico a livello europeo.
Il 12 luglio a Trieste ne hanno riparlato Gentiloni, Merkel e Macron. I due ospiti hanno espresso solidarietà e comprensione per l’Italia. Belle parole, ma niente di più.
Uno dei punti caldi in discussione è la gestione dei migranti economici che corrisponderebbero all’85% degli arrivi. La differenza tra aventi diritto o meno all’asilo, tra chi emigra perché perseguitato e chi lo fa per via della miseria, tuttavia, non è chiara, e le carestie non sono meno minacciose delle guerre. Secondo l’ONU, in vaste aree del mondo siccità, carestie, guerre e conflitti regionali diventeranno endemici col risultato di alimentare indefinitamente i flussi di persone che abbandonano i luoghi d’origine. Un forte contributo a questa tendenza lo darà la crescita demografica mondiale e in Africa sarà più alta che negli altri continenti.
Oggi nel continente africano vivono un miliardo e duecento milioni di persone. Nel 2100 saranno quattro miliardi e quattrocento milioni (fonte ONU). Su scala planetaria l’83% dell’aumento demografico avrà luogo in Africa. Nella sola Nigeria la popolazione a fine secolo sarà di circa 800 milioni, di 150 milioni superiore all’intera popolazione europea. Queste proiezioni si basano su valutazioni che i demografi ritengono ragionevoli, in qualche caso persino troppo prudenti, e che partono dalla considerazione che attualmente in Africa l’età media della popolazione è inferiore ai venti anni.
In molti Paesi africani ogni donna mette al mondo 5 o 6 figli e senza una severa politica di controllo demografico l’esplosione sarà inevitabile.
Al G20 di Amburgo Angela Merkel ha riaffermato le responsabilità dei Paesi membri verso l’Africa e l’impegno di “aiutarli a casa loro”. Giustissimo, ma perché (a parte aiuti umanitari risibili) non è stato fatto finora? La risposta è semplice. Non è stato fatto perché farlo, veramente e bene, sarebbe stato estremamente difficile e costoso. Aiutarli a casa loro significa mettere mano ad alcune delle grandi questioni che attanagliano il pianeta e rispetto alle quali la politica dei Paesi più sviluppati è consapevolmente e colpevolmente responsabile: cambiamento climatico, sfruttamento delle risorse e delle materie prime, sostegno a governi corrotti, vendita di armi. Eccetera, eccetera. Tutte questioni rese ancor più gravi dallo sviluppo demografico e che si intrecciano, alimentandole, con le migrazioni.
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Che ci piaccia o no, la pressione migratoria tra Africa ed Europa aumenterà ancora. Le discussioni e i battibecchi della politica continueranno, tra una tragedia e l’altra, tra un attentato terroristico e l’altro, tra un’elezione e l’altra, tra un vertice internazionale e l’altro. Che a noi cittadini della vecchia e ricca Europa piaccia o no, l’Africa è lì, nera, giovane, povera, enorme e vicina, ed è il nostro futuro. Se non ce ne occupiamo subito e seriamente, sarà lei ad occuparsi di noi.