“Nadia”: al Deutsches Theater di Berlino la storia di una giovane musulmana radicalizzata

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Photo by Volker Beinhorn

di Roberta Chimera

Cosa possiamo fare per combattere il radicalismo? È con questa domanda che il 12 giugno, al Deutsches Theater, Kubra Gümüsay, giornalista turco-tedesca, si rivolge a Daniël van Klaveren, attore olandese, regista e autore di Nadia, pièce teatrale per ragazzi che affronta il tema della scelta di radicalizzazione di una ragazza musulmana.

Nadia ha 16 anni e insieme alla sua migliore amica Anna condivide le insicurezze sul proprio aspetto, le proprie capacità, la propria vita sociale. Anna scrive di vita sana e lifestyle sul suo blog, Nadia le contesta le foto che pubblica, definendole al limite della decenza. Anna vede diventare la sua amica sempre più indignata per le ingiustizie che la comunità musulmana deve subire e quando questa decide di portare l’hijab, le loro vite sembrano allontanarsi. Nessuno sa che Nadia ha conosciuto su internet Brahim, un ragazzo che appartiene al Califfato Islamico. Brahim è l’unico che capisce la sua solitudine e il suo bisogno di sentirsi parte di una comunità. Lo spettacolo è una ricostruzione dei giorni precedenti alla decisione di Nadia di unirsi al Califfato Islamico.

Daniël van Klaveren ha affrontato lo stesso argomento nella sua piéce “Jamal“, che lui definisce un grido per farsi sentire, per sentirsi appartenere a qualcosa. Anna e Nadia sono i personaggi che ha scritto successivamente per capire il punto di vista femminile di una scelta così controversa come quella della radicalizzazione.
La sua ricerca è partita dall’interesse nel capire cosa abbia motivato 18 ragazze a lasciare l’Olanda lo scorso anno per raggiungere l’Isis in Siria. Parlando con gli insegnanti delle scuole che queste ragazze frequentavano, van Klaveren ha sentito il bisogno di indagare più approfonditamente la mancanza di senso di appartenenza emerso dai loro racconti. Nessuna delle ragazze proveniva da famiglie religiosamente tradizionali, tutte erano attive a scuola e “avrebbero potuto diventare attiviste di Greenpeace, se solo avessero incontrato altre persone”.

Photo by Volker Beinhorn

Meltem Kulaçatan è docente alla Goethe Universität di Francoforte sul Meno. La sua ricerca si concentra prevalentemente sulla radicalizzazione di ragazze e giovani donne nel contesto del terrorismo islamico e sulla costruzione religiosa del sé di giovani donne musulmane.
Si inserisce nel dibattito aggiungendo che queste ragazze sono alla ricerca di modelli da seguire, perché i genitori non sono capaci di offrirne. Tutto parte da qui. Le ragazze sentono il bisogno di una comunità ben definita a cui legarsi, cercano un ambiente che le faccia sentire protette. A scuola sentono parlare di un’uguaglianza che poi nella società non trovano, sia come donne, sia come musulmane.

Internet ricopre un ruolo fondamentale nel diffondere “un pensiero in bianco e nero”, privo di sfumature, che semplifica la lettura della società in cui viviamo. L’Isis diffonde una narrativa che ha molto successo sulla storia dell’Islam e la biografia del profeta Muhammad. Muhammad si è sentito a sua volta estraneo alla società in cui viveva ed è dovuto andarsene per trovare l’ambiente giusto in cui riconoscersi. Queste ragazze si rispecchiano nella società salafita che esalta il ruolo di madri e mogli di eroi, facendole sentire adorate.
Un altro punto che queste ragazze hanno in comune è la scarsa conoscenza della loro religione.

Immigrato dal Pakistan in Germania a sei anni Said Ahmed Arif, Imam della moschea Khadija di Pankow, ha studiato teologia a Toronto e racconta di una ragazza che ha chiesto di incontrarlo diverse volte per conoscere meglio l’Islam. Dopo vari incontri, la ragazza ancora non ricordava niente di quanto discusso assieme e l’unico vero interesse che aveva era di incontrare in Siria il ragazzo conosciuto su internet che le aveva promesso di sposarla. L’unica cosa che davvero accomunava questa ragazza al suo interlocutore sul web era la rabbia per l’ingiustizia commessa dai Paesi occidentali nei confronti delle comunità musulmane. “Progetti artistici come Nadia sono molto importanti, perché ci permettono di metterci al posto degli altri, di confrontarci, di porre i problemi ad una giusta distanza per comprenderli meglio”, sottolinea Said Ahmed Arif.

Photo by Volker Beinhorn

Nadia è una collaborazione teatrale internazionale dell’European Theatre Convention che coinvolge il teatro Toneelmakerij di Amsterdam, lo Staatstheater di Braunschweig in Germania, il Théâtre de Liège in Belgio, il Det Norske Teatret di Oslo e il Teatro Due di Parma, che proprio il 12 giugno ha ospitato la prima dello spettacolo. Ognuno dei paesi coinvolti mette in scena, nella lingua, con gli attori e i registi del proprio paese, la pièce scritta da Daniël van Klaveren. È stata anche creata una community online, che mette in contatto studenti delle scuole di ogni Paese per esaminare e scambiarsi informazioni sui processi di radicalizzazione. È anche scaricabile gratuitamente una guida per gli insegnanti delle scuole coinvolte, su come condurre la partecipazione interattiva al progetto.

Sul sito, Daniël van Klaveren dichiara: “È di fondamentale importanza che ci si continui a chiedere dove inizia la radicalizzazione. È un dibattito che deve essere continuo. In questo periodo turbolento, abbiamo bisogno di sapere come gli adolescenti cadono sotto l’incantesimo delle idee estremiste. Perché queste idee danno a Nadia una base più solida della sua vita qui? Che cosa sta cercando esattamente? Questa pièce non tratta degli eccessi o dei possibili risultati della radicalizzazione, ma tratta piuttosto delle sue origini. Quando, dove e come vengono piantati i primi semi? E chi li pianta?”.

Ancora una volta la radicalizzazione del pensiero si combatte con la giustizia, con la conoscenza e con il dialogo.