Una “tiny house” su ruote: la casa del futuro? A colloquio con Van Bo Le-Mentzel, fondatore del Bauhaus Campus
di Cinzia Colazzo
Van Bo Le-Mentzel conosce le difficoltà a cui i rifugiati devono far fronte. Aveva otto anni quando la sua famiglia è scappata dal Laos. Nella fuga ha rischiato la vita e quando è arrivato in Germania ha dovuto vivere in alloggi sociali. Quelle esperienze hanno acuito la sua sensibilità per il tema della casa. Il fatto che il benessere non sia distribuito equamente, che la casa sia un problema per molti, che altri decidano dove si possa vivere e dove no, sono le battaglie che l’architetto quarantenne porta avanti.
Incontro Van Bo all’evento Dialog Extrem , organizzato da openberlin, tenutosi alla TU lo scorso mese. Ha uno sguardo comprensivo e vivace. “Gli uomini sono gli unici animali che devono pagare l’affitto”, comincia così. Per molte persone sul pianeta l’abitazione è un problema, sono spinti verso le periferie, non possono permettersi alloggi dignitosi, o non possono vivere dove vorrebbero. Van Bo non può accettare che queste condizioni siano dettate dal caso o dal destino. Un ruolo primario è giocato dal mercato immobiliare. “Privato deriva da privare, derubare. Sotto attacco sono la libertà personale e il bene commune”.
Van Bo è famoso per la sua casa da 1 metro quadrato, una tiny house su ruote fai-da-te che ha raccolto importanti premi. Sul sito Hartz IV Moebel si possono richiedere le istruzioni per costruirla. Perché su ruote? “Perché in questo modo non ha bisogno di un terreno, e se non appoggia su terreno, non ha bisogno di infrastrutture“. Van Bo è contro i campeggi. La sua tiny house è pensata per essere abitata nel centro delle città. Questa visione richiede però ancora tempo e un cambio di mentalità nella società.
“Come nel caso del fumo o delle auto. Venti anni fa era normale fumare negli uffici. Non appena si raggiungeva la maturità, inoltre, bisognava prendere la patente, per dimostrare di essere grandi. Oggi troviamo normale che non si fumi negli uffici e che si vada al lavoro in bicicletta”. Si ha bisogno di formare le menti e anche di esercitare un certo coraggio per pensare le città diversamente. Le auto non sono esseri viventi, ma ad esse appartengono le nostre strade. Non ai bambini. Per noi è ancora normale destinare 10 metri quadrati ad auto“.
La sua casa di un metro quadrato in legno può essere usata sia verticalmente che orizzontalmente. Pesa quaranta chili e può essere trasportata e orientata a piacimento. “È stata anche chiamata Hotel Lageso perché io ero con i rifugiati quando stavano in fila per ore al gelo per farsi registrare nella Turmstrasse e ho cominciato a costruire questa casa lì con loro. Per questo ho ricevuto una multa di 400€ dall’Ordnungsamt”.
Van Bo non lascerebbe mai Berlino. Ha visitato molte città nel mondo, ma le sue preferite sono Copenhagen e, appunto, la capitale tedesca”. Ma solo a Berlino è ancora possibile permettersi di abitare in centro. E qui si può sentire la libertà di cui godono i suoi cittadini”.
Van Bo usa la sua fama per promuovere i temi della casa e dell’uguaglianza. Per questo ha creato il progetto Bauhaus Campus Berlin, un’università dove frequentare laboratori di costruizione della tiny house e confrontarsi con l’attuale modello di abitazione e di condivisione dello spazio.
Il Museo Bauhaus sostiene il progetto ospitando il Campus di Van Bo nell’area all’aperto della sua struttura. Da marzo di quest’anno e sino al marzo del 2018 è possibile ammirare questo temporary educational village. Consiste in venti piccole case: ognuna ospita un laboratorio e rappresenta un tema: democrazia, integrazione, minoranze, sostenibilità, diritto alla casa.
Lo scorso 8 maggio questo villaggio utopico è stato presentato durante una conferenza stampa al Bauhaus Campus Berlin. Il motto è “Kleine Architekturen für globale Herausforderungen”.
Nell’opuscolo introduttivo si legge la domanda che muove il progetto: “Quali sono le alternative ai container per gli immigrati? Come possiamo delineare nuove forme di vicinato in una società di migrazione?
Nella Tiny House University si studiano, sperimentano ed elaborano forme di coesistenza nuove e più egualitarie.
Attorno a Van Bo ruota un intero movimento che tenta di dare risposte nuove in questi tempi di incertezza, sovrappopolazione e disoccupazione giovanile. Solitamente il percorso è in senso inverso: la società presenta delle istanze e l’architettura vi si adegua. Non a caso quest’anno il tema di Dialog Extrem è stato l’influenza che la paura ha su architettura e pianificazione urbanistica: cancelli, videosorveglianza, apertura condizionata dei luoghi pubblici.
Del Tiny House Movement fanno parte architetti da tutto il mondo, e anche gli italiani Elisa Saturno e Leonardo di Chiara.
Leonardo di Chiara ha quasi 27 anni e la passione per l’architettura da quando è nato. Ha studiato ingegneria edile e architettura a Bologna, un percorso di studi che si ispira all’architetto rinascimentale Brunelleschi, che era scienziato e insieme artista. Per lui non si è trattato di una scelta universitaria maturata in età adulta: ragionava da architetto già alle elementari.
Ha sempre nutrito il sogno di venire a Berlino, città di cui si era innamorato durante l’esperienza dell’Erasmus. “Berlino non è bella, ma è interessante per un architetto, in quanto vi sono spazi vuoti non definiti”.
Due giorni dopo aver sostenuto l’esame di Stato, è partito per Berlino, dove ha conosciuto Van Bo Le-Mentzel.
“Van Bo fa dell’architettura uno strumento per aiutare gli altri. Lo conoscevo di fama, nel 2012 tutti parlavano della sua casa da 1mq”.
Il giorno del loro incontro, Van Bo ha presentato il Bauhaus Campus, un villaggio sperimentale con venti case su ruote, e Leonardo è rimasto molto colpito. “Io venivo dall’ambito accademico, dove tutto è istituzionale e nulla è possibile. Van Bo mi ha detto: ‘perché non costruisci la tua tiny house?’. E così ho cominciato. Fra l’altro io stesso non avevo una casa e non volevo neppure fermarmi in un posto”.
aVOID sarà la prima tiny house made in Italy e risulterà un vero gioiello di 9 mq. “Io sono affascinato dal dettaglio, dagli spazi piccoli, anche durante gli studi ho sempre evitato di progettare grattacieli. Ho deciso di tornare in Italia per costruire la mia casa e di riempirla di prodotti italiani da mostrare in Germania”. Il distretto di Pesaro è famoso per la produzione del mobile. Leonardo ha creato un pool di aziende che supportasse il suo progetto fornendo materiali e prodotti. aVOID sarà il risultato delle eccellenze di aziende marchigiane e tedesche. Dal fronte italiano vengono il design, gli arredamenti, l’estetica, l’artigianato (“la Faber mi ha dato una cappa bellissima”), da quello tedesco vengono gli elementi tecnici e tecnologici, il sistema voltaico e idraulico, le finestre, i componenti per il rimorchio, la ferramenta, gli elettrodomestici.
È stata anche lanciata una campagna di crowdfunding, sul cui sito si può guardare un video della tiny house made in Italy. Il progetto cerca ancora sponsor e supporto tecnico, soprattutto nel campo delle installazioni e dei filtri per il trattamento delle acque grigie.
Leonardo ha anche promosso un corso di costruzione della tiny house nelle regioni del terremoto del 2016. Questa soluzione potrebbe avere interessanti applicazioni per gli stati emergenziali. Spesso chi ha perso la casa durante un terremoto non vuole abbandonare il luogo: la tiny house può essere portata molto vicina alle zone terremotate.
“La tiny house è riutilizzabile, può essere costruita dalle persone stesse che vi abiteranno, dà la possibilità di riappropriarsi dell’oggetto casa e di partecipare alla soluzione. Purtroppo per i politici l’autocostruzione è illegale, perché significa abusivismo”. Il progetto può essere studiato qui.
La tiny house made in Italy sarà presentata a Pesaro, poi a Milano per la Art Week, e infine arriverà su ruote a Berlino, dove avverrà la presentazione ufficiale presso il Bauhaus Campus.
L’esperimento intende anche aprire una discussione sulle questioni burocratiche. Al momento non esiste una regolamentazione. Per esempio: si può fare l’Anmeldung in una tiny house? L’intento del movimento è di sensibilizzare il legislatore affinché siano create infrastrutture urbane o villaggi in zone dismesse.
Il prototipo di Leonardo non è replicabile facilmente ed è una tipologia “lusso” con funzione espositiva. “La mia tiny house costa 30-40.000 €. La Tiny100 di Van Bo è un esemplare unico e costa altrettanto (una casa di 6,4 mq che potrebbe essere sistemata, per esempio a Kreuzberg, per un affitto di 100€ al mese). L’idea è di industrializzarle, di guadagnare una collaborazione con Ikea (che sarà sponsor di due case) per gli arredi. Nella mia, invece, la casa è il mobile e viceversa. È come un abito di sartoria”.
“Casa Arlecchino” si potrebbe chiamare questo progetto, come suggerisce la madre di Leonardo. “Un po’ perché era carnevale quando andavo dalle aziende a chiedere una partecipazione e un po’ perché ho raccolto pezzi da tutte le parti”.
Forse anche il console italiano a Berlino darà il Patrocinio, e chissà che un media berlinese non crei una partnership con una diretta dal Campus. Dopo Ikea, iGuzzini, Subissati, Makte, Faber, DMM, TCM, Noctis, Omar Rimorchi, Al-Ko, Bosch, Rivacold e Profilglass, potrebbe essere un altro sì ad un progetto innovativo, ma soprattutto ad una discussione sempre più urgente.