di Axel Jürs
Attualmente la giustizia turca attira l’attenzione della Germania, specialmente a Berlino, e quella attenzione resta soprattutto legata ai casi dei giornalisti o intellettuali turco-tedeschi che si trovano sotto custodia con l’accusa di avere collaborato con presunti terroristi. Questa scusa è al momento, in Turchia, la piú utilizzata contro i dissidenti, insieme a quella di far parte o di sostenere il “Movimento Gülen”, movimento religioso e sociale che prende il nome dal suo fondatore Fetullah Gülen.
Gülen è attualmente il più acerrimo nemico politico del Presidente Erdogan, anche se non è sempre stato così.
In altri tempi e fino al 2013, infatti, Gülen ha aiutato Erdogan a conquistare e a consolidare il suo potere, fin dai primi anni dalla fondazione del suo partito, l’AKP. All’epoca Erdogan, come primo ministro della Turchia, aveva già iniziato trasformare la realtà politica del suo Paese insieme ad Abdullah Gül, che sarebbe diventato presidente prima di lui.
Tra più di 100 giornalisti imprigionati e in attesa di processo, i più famosi in Germania sono il corrispondente del quotidiano tedesco “Die Welt”, Deniz Yücel, che ha tutte e due le cittadinanze, turca e tedesca, e la giornalista Mesale Tolu.
La pratica di mettere giornalisti non favorevoli ad Erdogan o all’AKP sotto accusa di cooperazione con organizzazioni terroristiche, ha fatto scendere la Turchia al 155° posto (su 180) nella classifica della libertà di stampa pubblicata regolarmente a Berlino dall’associazione “Reporter ohne Grenzen”. L’associazione fa parte della rete internazionale di sorveglianza sui diritti e le condizioni di lavoro dei giornalisti, sia di quelli che operano come corrispondenti per i media internazionali, sia per i loro colleghi che lavorano per media locali.
La situazione legale dei due giornalisti, tuttavia, è ben diversa.
Per Deniz Yücel la doppia cittadinanza, che è stata sempre un vantaggio, adesso è diventata un problema, perchè le autorità turche insistono sul fatto che come cittadino turco debba rispondere di fronte alla giurisprudenza turca, senza poter esercitare quei diritti che potrebbe rivendicare un cittadino tedesco.
Mesale Tolu invece, anche se è di origine turca, anni fa ha acquisito la cittadinanza tedesca e il relativo passaporto, rinunciando alla nazionalità turca. Di conseguenza, nella prigione di Istanbul dove si trova in custodia, gode di tutti i diritti previsti dal “Concordato di Vienna sui Rapporti Consolari”.
È anche per questo che le dichiarazioni della cancelliera Merkel, del governo tedesco e del ministero degli Affari Esteri sono molto più chiari e critici, verso il governo e la giustizia turca.
Anche se Tolu è di origine turca e vive in Turchia, infatti, per la Germania è vista come tedesca e ha pieni diritti legati alla sua cittadinanza acquisita.
Tutta un’altra storia, e con molta meno attenzione da parte dei media tedeschi, si trascina avanti da due anni a Istanbul, dove i fratelli di una ragazza turca di origine curda, Hatun Sürücü, aspettano l’esito del processo in cui il procuratore turco vuole vederli condannati per averla uccisa dodici anni fa, a Berlino.
Hatun Sürücü fu uccisa perché la sua famiglia aveva deciso di punirla per il suo stile di vita troppo moderno e “occidentale”. Pare inoltre che la famiglia avesse scelto come assassino il figlio più giovane, sapendo che sarebbe stato giudicato come minore e quindi soggetto a pene molto più lievi, perchè in Germania in questi casi si mette chiaramente l’accento non tanto sulla pena, quanto piuttosto sulla speranza che il processo abbia un effetto educativo.
I giovani condannati, inoltre, hanno un’ampia scelta di privilegi, come per esempio quello di avere accanto non solo un avvocato, ma anche un assistente legale dalla Jugendgerichtshilfe (assistenza legale ai giovani), che opera come moderatore tra le persone e autorità coinvolte. L’assistente legale cerca inoltre di proporre misure educative ed evitare penalizzazioni che potrebbero distruggere le possibilità e le prospettive del minore di vivere, in futuro, una vita senza reati.
Dopo aver fornito al fratello minore l’arma del delitto e aver organizzato un incontro tra lui e la sorella, i due fratelli maggiori fuggirono in Turchia, sperando di sottrarsi alle conseguenze del delitto. La Turchia rifiutò di consegnarli alle autorità tedesche e questo probabilmente li fece sentire, sulle prime, sollevati. A quel punto però si trovarono imputati di fronte a un tribunale turco e in base a leggi molto più severe, ispirate alla filosofia di Kemal Atatürk, che usava la legislazione come strumento di modernizzazione della sua patria.
Al tempo di Atatürk risalgono infatti non solo le leggi contro il “delitto d’onore”, ma anche la proibizione per le donne nel servizio pubblico di coprirsi il capo.
Così, nel processo davanti alla decima Corte penale a Istanbul, il procuratore ha accusato i fratelli maggiori della vittima e del giovane assassino di “concorso in un delitto d’onore“, non contemplato dalla legge tedesca, ma che in Turchia prevede una pena tra 15 e 20 anni.
I fratelli hanno al momento 36 e 37 anni e probabilmente non si aspettavano più né processo, né tantomeno una sentenza, che pare invece prevista per fine maggio.
Ci si interroga a questo punto su quanto spazio i media tedeschi riserveranno alla notizia dell’esito di un processo che la Germania non è riuscita a istruire in dieci anni. Certo, in relazione a questo tipo di delitti, molte voci si sono sempre levate chiedendo anche pene esemplari (l’ex-cancelliere Gerhard Schröder diceva addirittura “Wegsperren! Für immer!”, vale a dire “Metteeli in carcere! Per sempre!”).
Il problema però è che quando questi reati sono commessi dai minori, la situazione è inevitabilmente delicata, gli scrupoli sono maggiori e la legislazione è in qualche modo “bloccata”. Fino a 18 anni, e talvolta fino a 21, infatti, l’ottica non è mai punitiva e i minori sono visti quasi sempre come vittime di un’educazione sbagliata. Questo principio, sicuramente per degli aspetti giusto, può tuttavia diventare un modo di eludere la giustizia in casi come quello dei fratelli Sürücü, ma anche in altri.
Sembra infatti diventato normale, al momento, convivere con i cosiddetti “Intensivtäter” (multi-delinquenti), minorenni che commettono oltre 100 delitti senza essere accusati davanti un tribunale e vengono usati dalla mafia proprio per questa ragione.