Come difendersi dalle fake news in rete? Intervista a Noemi Urso, caporedattrice di BUTAC (Bufale un tanto al chilo)

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di Lucia Conti

Ci è capitato spesso di parlare delle cosiddette fake news o “bufale”, notizie non verificate o addirittura palesemente false che, innescate e amplificate soprattutto dai social network, hanno inquinato l’informazione e profondamente condizionato le reazioni e le azioni della società.
Di questo si occupa BUTAC (Bufale un tanto al chilo), famosissimo blog il cui team dichiara di avere come scopo quello di controllare notizie condivise da migliaia e a volte da milioni di utenti, al fine di denunciare quelle che sono del tutto o parzialmente false. Ho intervistato la caporedattrice di BUTAC, Noemi Urso.

BUTAC è il risultato del lavoro di un team che cerca di disinnescare le fake news che circolano in rete. Quanti siete e come vi coordinate?

Abbiamo alcuni autori fissi e altri collaboratori e consulenti. L’autore più prolifico è Maicolengel, fondatore del sito, che spesso scrive almeno due dei tre articoli che pubblichiamo ogni giorno. Abbiamo poi svariati autori fissi tra cui il responsabile medico, aiutato da alcuni studenti di medicina, una nutrizionista, ed esperti e appassionati di meteorologia, energie rinnovabili, storia, economia e pseudoscienze.
Al 90% lavoriamo su segnalazioni, che vengono poi smistate tra gli autori. Abbiamo inoltre una serie di lettori meravigliosi, che ci aiutano moltissimo, fornendoci le loro competenze o correggendoci quando sbagliamo. Ci teniamo sempre a sottolineare che il lavoro di fact-checking non richiede competenze specifiche (spesso ci danno dei “tuttologi”) ma più che altro la capacità di andare alla fonte delle notizie per cercare di capire se sia affidabile oppure no. Chiunque può farlo, e negli ultimi tempi su BUTAC, più che fornire “sbufalate” vere e proprie, abbiamo cercato di concentrarci sul fornire gli strumenti per navigare in rete con consapevolezza e riconoscere i siti affidabili da quelli che diffondono bufale e disinformazione.
Di conseguenza, quando si instaura un rapporto di scambio e collaborazione con i lettori, ne siamo felicissimi.

Come nasce e cresce una bufala e quanto influenza la società e i media?

Le bufale nascono per svariati motivi. A volte solo per goliardia, spesso per ottenere soldi o consenso politico. Ce ne sono addirittura alcune che sono state messe in giro per motivi di studio dagli stessi analisti che tracciano la diffusione e la viralità delle bufale. Purtroppo siamo in un momento storico in cui lo spirito critico sembra essersi pesantemente assopito, e non ci interessa più formarci un’opinione dopo esserci informati correttamente: con la rete ci è stata data la possibilità di fare il contrario, cioè di crearci un’opinione basata su un pregiudizio e poi cercare conferma online. E siccome online si trova ormai di tutto, una conferma la troveremo sicuramente: magari su un blog anonimo e senza nessuna affidabilità, ma siccome conferma le nostre scelte, non ci cureremo più minimamente della fonte, la riterremo affidabile per partito preso.
È chiaro che in questo modo si creano meccanismi dannosissimi, e ci sono grossi sospetti che alcune delle scelte democratiche del mondo occidentale, negli ultimi tempi, siano state prese proprio sull’onda di questi meccanismi. Basta pensare alla Brexit e a tutti gli inglesi che, invece che cercare informazioni sull’uscita dall’UE prima di andare a votare, l’hanno fatto dopo.

Noemi Urso, caporedattrice Butac

Quante segnalazioni ricevete, in media, al mese (o al giorno) e come vi muovete per verificare?

Riceviamo dalle 30 alle 100 segnalazioni al giorno tra email, amici e soprattutto i social network. Se un giorno comincia a circolare una notizia che “puzza” o è palesemente una bufala, ci viene segnalata più e più volte. A quel punto, visto l’argomento caldo, cerchiamo di muoverci più velocemente possibile.
Spesso però la verifica, se fatta correttamente, non è così facile e veloce e dobbiamo raccogliere informazioni con una certa perizia, perché quelle a disposizione online non sono sufficienti. Ad esempio a volte ci è capitato di dover chiamare le forze dell’ordine per chiedere delucidazioni su una notizia la cui fonte non ci pareva affidabile, e una volta ho chiamato perfino l’ufficio stampa del Vaticano.
Di solito sono tutti felici di collaborare, quelli che lo sono meno sono i giornalisti, perché è al loro lavoro che generalmente facciamo le pulci.

Molte bufale da voi denunciate riguardano proprio la Germania. Ce ne segnali qualcuna?

Le dichiarazioni di Angela Merkel vengono spesso distorte o inventate di sana pianta. Il populismo dilagante, online e offline, vuole avere una certa opinione delle figure politiche ed economiche a livello europeo e mondiale, anche senza avere la minima competenza di politica o economia. Certi movimenti dal basso, col loro “uno vale uno”, hanno fatto credere che anche il cittadino meno scolarizzato o competente possa dare un’opinione valida su una tematica qualsiasi, anche quelle che richiedono effettive competenze specifiche e che non possono essere considerate di semplice risoluzione, ma tutti vogliono comunque dire la propria e ritengono opinioni informate quelle basate su blog che diffondono bufale o testate giornalistiche di parte. Quindi possiamo trovare i fan della Germania che la dipingono come il paradiso terrestre o gli anti-europeisti che danno alle politiche economiche tedesche la responsabilitá di tutto, della crisi, della disoccupazione in Italia, del fatto che ritengano che gli immigrati rubino loro il lavoro e magari anche dei tradimenti delle loro mogli.

Spesso semplicemente viene passato il messaggio che in Germania si viva meglio che in Italia perché, avendo grande ingerenza sulle questioni economiche dell’Unione Europea, i politici tedeschi agirebbero in gran segreto per i propri interessi e solo per i loro. E ovviamente la Cancelliera è il personaggio simbolo di tutto questo, un po’ come in Italia la Boldrini per razzisti e xenofobi: ormai le si attacca per partito preso, senza nemmeno riflettere.
Un esempio: un paio di anni fa Ermes Maiolica, ormai noto a chiunque si interessi un po’ di bufale perché ne fa circolare molte a scopo goliardico, proprio per sottolineare quanto sia facile per una certo tipo di utente prendere per buone notizie anche assurde, se solo confermano le proprie convinzioni, ha messo in giro una falsa citazione in cui Merkel dava dei pagliacci agli italiani per non aver saputo approfittare dell’entrata nell’euro per risollevare la propria economia. C’erano moltissimi indizi che scoprivano la bufala ma molte pagine l’hanno condivisa per buona con i soliti commenti in stile “Condividi se sei indignato”.
La gente ha spesso bisogno di sfogare le proprie frustrazioni e scaricare le responsabilità sugli altri, quali essi siano, e ha trovato il modo condividendo stupidaggini ed esprimendo rabbia e frustrazione sui social network. È sconfortante.

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Quali sono le bufale ormai conclamate che però continuano ad essere regolarmente condivise sul web?

Ce ne sono di svariate, e devo dire che purtroppo quelle che tutti i giorni ritroviamo nella classifica delle più lette sono quelle che riguardano la pseudomedicina. Chi vuole monetizzare visite e pubblicità sul proprio blog sa che con qualche notizia sensazionalistica sulla salute attirerà sempre un certo numero di lettori. Purtroppo queste notizie, oltre a non essere corrette, danno false speranze a persone in situazioni disperate e l’aspetto più disgustoso è che nella maggior parte dei casi tutto questo succede per soldi: vendere libri sulle medicine alternative, organizzare conferenze, vendere prodotti inutili. Basta usare un linguaggio che scimmiotti quello scientifico e darlo in pasto alla rete, tanto la maggior parte degli utenti non sa distinguere un sito del Ministero della Salute da un blog anonimo su cui si può scrivere tutto e il contrario di tutto: prenderanno per buono solo quello che vogliono sentirsi dire, e nel caso di persone malate o dei loro familiari è davvero facile.

La maggior parte delle volte, poi, le notizie sono basate su effettivi progressi in campo medico, che però andrebbero inquadrati nel giusto contesto e spiegati in primis da giornalisti che siano competenti in campo scientifico (anche se poi il blog anonimo riprenderà soltanto gli aspetti più sensazionalistici e “attiraclick”).
Inutile dare grandissimo risalto a studi che dimostrano l’efficacia del principio attivo estratto da una pianta, se tali studi non vengono inquadrati correttamente. È emblematico il caso dell’artemisia annua, da molti mesi spacciata online come pianta che cura il 90% dei tumori. La dichiarazione si basava su uno studio in vitro, che però una volta passato in vivo non ha dato i risultati sperati poiché, oltre al tumore, distruggeva anche buona parte delle cellule sane. Come dire: anche una fiamma ossidrica distrugge il 90% dei tumori, bisogna anche considerare i danni. Ma la notizia è diventata così virale che da qualche mese l’artemisia è stata tolta dal commercio, poiché veniva acquistata in erboristeria e assunta senza nessun controllo e dosaggio da chiunque avesse letto tale notizia rassicurante, magari peggiorando le proprie condizioni.

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Artemisia Annua, Photo by Leaf by Leaf©

Quale sono le bufale piú assurde che vi è capitato di dover smentire e perché pensi che la gente non si accorga che sono palesemente false?

Sempre per il discorso dei nostri lettori fissi e competenti, da qualche tempo abbiamo deciso che qualsiasi notizia che potrebbe provocare da parte loro commenti del tipo “Ma c’era bisogno di sbufalare anche questa?” non verrà trattata. Ce ne sono alcune davvero sciocche e ci vengono segnalate esattamente come quelle lunghe e complesse di vero e proprio debunking, che richiede invece competenze specifiche (esempio tipico, la teoria cospirazionista sull’11/9 che vuole l’attentato alle Torri Gemelle come un inside job degli USA e che, per essere smontato, ha richiesto l’intervento di ingegneri, architetti, fisici etc….). Da qualche tempo, quindi, abbiamo deciso di non perderci tempo, anche se con l’alto tasso di analfabeti funzionali che si registra in Italia, di solito sono proprio le notizie più sciocche quelle che vengono lette più frequentamente dai lettori occasionali.

Ma la linea di BUTAC, al contrario di quella di altri siti del genere, è di mantenere alta la qualità dei contenuti, anche a scapito delle visualizzazioni. L’ultima volta che mi sono occupata di una bufala sciocca mi sono vergognata. Erano le due di notte e da due giorni ci segnalavano il montaggio fotografico di un cane-sushi: un cane di grossa taglia sdraiato su un tagliere, con tanto di coltellaccio a fianco, sezionato per mostrare un ripeno di riso e salmone. Il cane era vivo, il pelo bello lucido, semplicemente sotto la pelle e il pelo c’era del riso. Anche le proporzioni erano tutte sbagliate e la notizia era assurda (una presunta vendita di “cani ripieni” in qualche ristorante giapponese in Italia) e oltretutto l’articolo  era ironico e canzonatorio. Sarebbe bastato davvero “accendere le sinapsi” per rendersi conto che quella non era nemmeno una bufala, ma uno scherzo. Eppure è stato un articolo molto letto, perché tantissima gente c’è cascata. Continuo a chiedermi tutt’oggi come si possa arrivare a questi livelli, quindi non ho una vera e propria spiegazione sul perché succeda tutto questo. Immagino che la maggior parte delle persone usi internet per rilassarsi e che non ritenga necessario ragionare quando è davanti a uno schermo.

A volte la divulgazione di fake news diffama qualcuno nella vita reale o alimenta varie forme di odio sociale che non sono prive di conseguenze. Stanno emergendo nuove responsabilità penali per i siti che generano queste notizie o la materia è ancora poco regolamentata?

Se ne sta parlando moltissimo, ma la verità è che le leggi esistono già, basterebbe applicarle. Le rete fino a ora è stata una specie di terra di nessuno e quando sono state portate alla luce determinate problematiche come l’hate speech, gente che passava le giornate sui social network insultando e minacciando pubblicamente a destra e a manca è seriamente cascata dal pero: “Ma come” si dicevano “non posso minacciare di morte qualcuno utilizzando il mio nome e cognome? Si configura un reato?”.

L’analfabetismo digitale nel nostro Paese è un problema grave che porta anche a questo, perché si tende a vivere la rete come distaccata dalla vita reale. Sono state lanciate varie iniziative e ipotesi per cercare di risolvere questo problema, una su tutte la segnalazione di notizie false sui social network tramite un apposito bollino.
L’idea non è piaciuta perché somiglia alla censura, perché gli organi di fact-checking che deciderebbero non avrebbero controllo ulteriore e potrebbero sbagliare anche loro (succede anche a noi, dopotutto), e perché il sistema somiglierebbe troppo alla censura. Noi ci siamo opposti fin da subito a questa idea. L’unico modo per evitare queste derive è educare le persone a un utilizzo consapevole dello strumento internet e questo si fa partendo dalle scuole: educando i ragazzi e gli insegnanti, che spesso, per primi, non hanno idea di che meraviglioso strumento sia la rete, ma neanche del fatto che questo strumento vada usato con criterio, altrimenti si possono creare danni enormi.

Qualche consiglio pratico per evitare di cadere nella trappola delle bufale

Il primo è sempre valido: accendere il cervello. Se una cosa sembra troppo inverosimile potrebbe davvero non essere vera. In generale diffidare dai titoli troppo urlati (maiuscole, stampatelli), dagli articoli scritti in una forma non giornalistica, da quelli da cui traspare che chi l’ha scritto non sa nemmeno dove stia di casa l’obiettività, e da quelli in cui non si ritrovano le 5 W del buon giornalismo (Who What, When, Where, Why, ndr) e non ci sono dati concreti, come nomi o precise indicazioni geografiche.
Nel caso ci siano, invece, Google è una risorsa preziosa per un ulteriore controllo: qualsiasi nome o località può esser cercato nella sezione “notizie” per controllare se esistano riscontri su altre testate, se non si trovano altri risultati è probabile che ci si trovi in presenza di bufala.
In generale però bisogna tenere per presente che le “notizie shock” non le dà il blog anonimo su altervista e che se “nessuno ve lo dice” è probabilmente perché la notizia non esiste, o è stata gonfiata per attirare click. Si torna sempre al punto di prima: accendere il cervello. Purtroppo è un’attività che molti dei più recenti utenti di internet non pensano minimamente di fare quando navigano, ritenendo questa attività uno svago da praticare solo dopo aver spento qualsiasi attività neuronale.