di Arianna Tomaelo
Si chiama Data Selfie ed è la nuova estensione di Chrome sviluppata dalle developers Hang Do Thi Duc e Regina Flores Mir: un modo con cui l’utente può scoprire “chi è” e “come lo vede il web” grazie alla monitorazione dei click sui social, in particolare su Facebook.
La loro ricerca ha inizio nel 2014, portando i primi risultati l’anno seguente, con la nascita del primo prototipo ad aprile, perfezionato nelle settimane seguenti. Oggi, l’occhio bianco su sfondo nero è considerato dalle ideatrici come un progetto “finito”, funziona, produce risultati affidabili e supera i precedenti tentativi di produrre un’estensione simile.
Ma come si usa? Dopo l’installazione del programma (che si può trovare sulla pagina ufficiale del progetto), l’app si attiva non appena si accede a Facebook, prendendo nota di ogni movimento, dai contenuti che vengono visualizzati e relativa durata, ai commenti, alle condivisioni, ai messaggi privati, e persino ai post scritti ma non pubblicati. La traccia delle informazioni viene salvata sul computer dell’utente stesso, per una questione di riservatezza e privacy, e il materiale raccolto viene archiviato in tre cartelle, a seconda del topic: orientamento politico, inclinazione religiosa e rapporto personale con questioni e argomenti più ampi, di spettro più generale (dallo shopping, alle guerre nel mondo, al cibo). Accanto alle cartelle, Data Selfie stila due liste di 10 elementi ciascuna, una dedicata agli amici con cui abbiamo interagito maggiormente, l’altra alle pagine che abbiamo visitato e cliccato con più frequenza.
Con queste informazioni, Data Selfie costruisce un profilo basato su alcuni macroaspetti che nel mondo della psicologia definiscono a grandi linee la personalità di un individuo: apertura mentale, attenzione ai dettagli e diligenza, estroversione, piacevolezza, e la generale gamma di emozioni manifestate dal soggetto.
Il profilo che si costruisce mette in luce non solo attitudine politica e religiosa e orientamento sessuale, ma sottolinea anche l’eventuale predisposione del soggetto verso la leadership e altri aspetti relazionati con l’intelligenza generale.
Ovviamente, essendo previsioni basate su dati indiretti, l’accuratezza del profilo non raggiunge il 100%, ma riesce nello scopo di porre l’accento su quello che è l’obietivo del progetto: infatti, chiarisce la co-fondatrice Flores Mir, si tratta di “spiegare come funziona il processo della raccolta dei dati attraverso una app che estrapola solo una minima parte dell’iceberg che questi dati nascondono”. Inoltre, Flores ha aggiunto che talvolta l’app fornisce informazioni che al soggetto possono sembrare false, inesatte: lei stessa, dopo averla testata su di sè, ha detto di aver “scoperto” di non essere una persona sensibile alla causa ambientale, anche se personalmente ritiene il contrario. Questo l’ha portata a riflettere sulla percezione che i contenuti della sua pagina Facebook possono suggerire di lei. In questo senso Data Selfie non è solo uno strumento per misurare il grado di piacere verso detrminati contenuti (dati che peraltro Facebook raccoglie autonomamente ogni secondo, usandoli per proporre pubblicità ad personam e suggerire la visione di certe pagine piuttosto che altre), ma è soprattutto un mezzo che rende l’utente consapevole di cosa involontariamente mostra di sé, anche con semplici likes e shares.
Tutto questo pacchetto di informazioni viene comprato dagli inserzionisti, che a loro volta manipolano l’utente sottopoendo alla sua attenzione contenuti altamente filtrati, diversi per ognuno di noi.
Un impatto diverso ha avuto lo sviluppo di Data Selfie per la co-fondatrice Hang Do Thi Duc, vietnamita di origine, ma nata e cresciuta in Germania. Hang mette l’accento sulla gravità del controllo ossessivo che i media esercitano in ogni momento della navigazione sull’utente: a quanto pare non solo ciò che si decide di pubblicare, ma anche i contenuti che vengono cancellati, i messaggi privati e le ricerche ti tipo personale sono costantemente monitorati. Facebook vede tutto e sa tutto, come un grande Big Brother. È una continua violazione della privacy, secondo Hang, che con la memoria torna al suo passato nella DDR.
“A causa della nostra storia” afferma “qui in Germania in molti vivono con il terrore che le persone sbagliate vengano in possesso di informazioni che devono restare private”. E se, una volta immesso nel web, niente scompare, c’è il rischio che qualsiasi dato, anche di natura fortemente personale, possa essere preso e manipolato.
Le parole di Hang possono sembrare lievemente paranoiche, ma eventi decisamente recenti hanno dimostrato che i fatti del passato possono ripetersi nel presente, in una prospettiva più “tecnologica”. Proprio durante il periodo di campagna elettorale negli Stati Uniti, infatti, una nota compagnia inserzionista ha sviluppato una seria di adv (la sigla universale per indicare gli annunci pubblicitari, di qualsiasi natura) pro-Trump a carattere personale. Lo ha fatto sviluppando diversi tipi di annunci per sponsorizzare il candidato e, grazie a uno studio simile a Data Selfie, che permetteva di conoscere le preferenze del singolo utente, ha inoltrato messaggi di propaganda diversi, formulati nel modo più conforme possibile al profilo del destinatario, in modo da massimizzare l’impatto dell’informazione sul lettore.
Un chiaro esempio, dunque, di manipolazione di informazioni personali per secondi fini: da questo punto di vista il monito di Hang appare frutto di una riflessione sensata e in questo senso forse la tecnologia è arrivata così avanti da rischiare di riportarci indietro.