Romano Prodi a Monaco: “se l’Europa non resta unita, sarà la nostra fine”
di Pasquale Episcopo
“Non sono venuto a parlarvi di rose e fiori”
Con queste parole Romano Prodi, ex presidente della Commissione europea, ha voluto sottolineare la gravità dello stato di salute in cui versa l’Europa a 60 anni dalla firma dei trattati istitutivi della Comunità Europea. Durante l’incontro, che ha avuto luogo presso l’Istituto di Cultura di Monaco, il prof. Prodi, dopo il benvenuto del direttore Francesco Ziosi, ha risposto alle domande della signora Carmen Romano, della Georg-von-Vollmar-Akademie, domande afferenti ai temi dell’economia, dei rapporti internazionali e delle prospettive per l’Europa.
Prodi ha parlato inizialmente della storia: l’Europa a sei, a nove, a dodici e successivi allargamenti. Ha parlato, non senza una punta di orgoglio ma anche con tristezza, della grande capacità di attrazione che l’Unione Europea ha avuto fino a 15 anni fa. L’idea fondamentale era che l’Europa portava contenuti nuovi nella scena politica mondiale. “Lo stato moderno, nato a Westfalia e fondato su esercito e moneta nazionali, veniva superato dalla moneta comune e si pensava anche a un’unione militare”. Poi, il grande salto indietro: la Costituzione, così faticosamente preparata, veniva bocciata da Francia e Olanda. “Da allora sono stati fatti solo passi indietro”. Il grande disegno dell’Unione è stato sempre più faticoso e l’aggravarsi della crisi economica ne ha messo in rilievo gli aspetti più problematici e pericolosi.
“Negli ultimi anni abbiamo avuto una serie di tensioni mai viste prima, tensioni che sono il frutto della paura. La nuova Europa da dieci anni è l’Europa della paura”. Paura degli emigranti, paura della crisi economica, paura della rottura di regole e vincoli finanziari. “Brexit non è stato l’inizio di una rottura, ma il punto culminante di una serie di tensioni che si sono verificate in passato” ha sottolineato Prodi, che ha ravvisato nel caso della Grecia l’esempio più illustre di quella deriva. Ma anche le tensioni tra Italia e Germania, o quelle tra sud e nord dell’Europa, hanno drammaticamente contribuito, arrivando a livelli mai visti prima.
“Da presidente della Commissione mi è stato rimproverato e ancora mi si rimprovera l’allargamento da 15 a 25 paesi, allargamento che io ho ritenuto indispensabile. Pensate cosa succederebbe oggi se la Polonia fosse nella stessa situazione dell’Ucraina” ha quindi dichiarato, per poi ribadire: “Per me la gestione della Commissione a 15 paesi e a 25 paesi non faceva differenza, la vera differenza era sempre la Gran Bretagna perché aveva obiettivi diversi. Perché aveva una alternativa (quella di poter facilmente uscire dall’Unione privilegiando il legame con l’America, ndr) cosa che gli altri Paesi non avevano”.
Donald Trump e il “pericolo” dell’Europa per gli Stati Uniti
Un altro aspetto problematico, secondo il relatore, è il fatto che Brexit si sia connessa all’arrivo, negli Stati Uniti, di Donald Trump. L’arrivo di Trump ha trasformato la diversità britannica in una rottura con l’Europa. “Ho trovato di enorme gravità l’attacco diretto che Trump ha fatto alla Germania. Non ha sferrato un attacco all’Europa in generale, ha attaccato l’Europa definendola schiava della Germania, in modo da dividere la struttura politica europea. Questo è l’aspetto, interessante, che dovremo seguire nelle prossime settimane perché non sappiamo a che punto potrà arrivare”, ha quindi chiosato il professore.
Secondo Prodi gli Stati Uniti, in passato, hanno aiutato la crescita dell’Europa, poi col tempo questo rapporto si è raffreddato perché è emerso il timore che l’Europa potesse diventare un pericoloso concorrente. Il desiderio degli ultimi presidenti americani è stato quello di avere dall’altra parte dell’Atlantico “un’Europa che nuotasse bene, ma che ogni tanto bevesse un po’ d’acqua”. Lo stesso Obama si è interessato dell’Europa solo negli ultimi sei mesi quando ha capito che le divisioni interne potevano diventare un problema per gli Stati Uniti. Con lo slogan di Trump, “America First”, il timore è diventato una certezza.
Con Trump, secondo Prodi, non ci saranno più rapporti privilegiati, ma solo rapporti strumentali e questo caratterizzerà particolarmente le relazioni con Russia e Cina. Quanto all’Europa, Trump farà in modo che il gap tra euro tedesco ed euro degli altri Paesi possa aumentare fino alla rottura. “Trump ha intuito, da uomo d’affari, qual è il punto debole della nostra situazione. La mossa di dividere l’Europa soprattutto dividendo la Germania dagli altri Paesi è una mossa strumentalmente forte dal punto di vista politico.
I confini dell’Europa
Prodi ha quindi detto che la sua idea dei confini d’Europa comprendeva inizialmente i Balcani e anche la Turchia, ma che oggi la Turchia è diventata una potenza regionale la cui politica ambivalente è incompatibile con quella dell’Unione. Ha aggiunto che il disegno di 20 anni fa è oggi impensabile e tuttavia in linea teorica rimane importante per il raggiungimento della pace in un’area cruciale per l’Europa. Romano Prodi ha quindi rivelato che a questo proposito l’amico Helmut Kohl un giorno gli disse: “i tedeschi non vogliono l’Euro perché sono legati al marco, io l’Euro lo voglio perché mio fratello è morto in guerra”.
Era chiaro che Helmuth Kohl volesse sottolineare il senso politico dell’Euro, prima di quello economico. Ma tutte le decisioni economiche possono essere prese solo se c’è un profondo senso di solidarietà politica. Prodi ha concluso con amarezza, dicendo: “Questo significato di solidarietà politica oggi purtroppo non c’è più. La conseguenza è stata il passaggio di potere totale dalla Commissione, organo supernazionale, agli Stati nazionali. Lo abbiamo visto in particolare durante la crisi greca. La trattativa è stata fatta non tra Bruxelles e Atene, ma tra Berlino e Atene”.
Il ruolo della cultura in Europa
“Le radici culturali sono più profonde di quanto non pensiamo” ha quindi asserito con convinzione Prodi, ricordando di aver insegnato per parecchi anni all’università di Bologna. “Chi visita la vecchia sede dell’università trova gli stemmi degli studenti che da tutta l’Europa sono giunti in quella città fin dal ‘400” ha quindi rivelato, aggiungendo che il vincolo culturale in Europa esiste e anche nel secolo scorso, segnato da grandi tragedie, i Paesi europei hanno avuto come fattore unificante la volontà di estendere la loro sicurezza.
“Va detto che l’Unione Europea ha lavorato per promuovere lo sviluppo sociale e culturale” ha quindi aggiunto il professore, “esempio ne sono i tre o quattro milioni di studenti del programma Erasmus. Certo si potrà dire che l’Erasmus ha avuto come frutto più bambini che premi Nobel… ma tutto sommato il programma Erasmus ha contribuito a creare in un’intera generazione la consapevolezza che i valori comuni sono più forti delle differenze”.
In conclusione un allarme e un monito al tempo stesso: “Nessun Paese europeo potrà affrontare da solo le sfide attuali, comprese quelle della nuova globalizzazione. Se non ci mettiamo insieme firmiamo la nostra fine e rischiamo una decadenza secolare”.