La giornata della Ginecocrazia, tra passato e presente
di Mario Camillo Nardicchia
In Macedonia, prefettura di Serres, nel villaggio di Monokklisìa (400 abitanti circa), è stata celebrata lo scorso 8 gennaio e preparata con largo anticipo, secondo una tradizione antichissima d’origine tracia, la “Giornata della Ginecocrazia” (dal greco gyne, gynaikòs, cioè donna e kratìa, da kratos, governo).
Oggi è diventata una manifestazione folkloristica messa in scena per richiami turistici, ma l’essenza rimane, ogni anno: dall’alba al tramonto le donne di Monokklisia prendono infatti in mano il villaggio, ne assumono il comando e la guida politico-amministrativa e si dedicano a tutti i lavori e gli svaghi di norma riservati agli uomini i quali, relegati in casa, devono ottemperare a tutte le occupazioni che di solito vengono svolte dal “gentil sesso”.
L’evento, che si ripete da millenni, non può non richiamare alla mente il grande commediografo dell’antichità ellenica, Aristofane (445-384 a. Cr.). Sua infatti è una bellissima trilogia di opere teatrali leggere e divertenti incentrate sulla figura della donna, “Lisistrata” o del riscatto femminile, “Le Tesmoforiazuse” (La festa delle donne) o dell’emancipazione del gentil sesso, entrambe rappresentate nell’anno 411, e “Le Ecclesiazuse” (Le donne al Parlamento) o del potere politico alle donne, del 392.
La protagonista di quest’ultima opera, Praxagora, si pone alla testa di un gruppo di amiche e tutte, dopo essersi travestite da uomo, occupano l’Assemblea Popolare ad Atene, composta e presieduta da soli maschi.
“In nome di questo giorno che sta per sorgere, osiamo l’impresa ardita: prendiamo in mano il Governo per fare del bene alla nostra Città”, fa esclamare Aristofane a Praxagora. E un’altra protagonista della commedia ribatte: “Senza bere?”, intendendo che il comportamento da uomo in Assemblea doveva prevedere anche una libagione. “Ma che bere!” ammonisce Praxagora. E l’altra: “Ma perché, forse che in Assemblea non bevono?”. La protagonista principale, di rimando: “E come no: bevono! E vino pretto anche”. Conclusione: “Se li consideri bene, tutti i loro decreti sono vaneggiamenti di ubriachi!”.
Insomma l’8 gennaio è stato lanciato ancora una volta, da un piccolo borgo della Grecia, il monito ad applicare alla società tutt’intera quelle che comunemente vengono definite le peculiarità del gentil sesso, ovvero la grazia, il senso estetico, la snellezza dei movimenti, il principio della conservazione, il calore del focolare e così via. Solo questa “Grande Bellezza”, che nella donna si esprime armoniosamente, può impedire alla società di appiattirsi in fredde pastoie burocratiche o in inconcludenti e dannosi “vaneggiamenti di ebbri”.
Un proposito forse già ardito ai tempi di Aristofane e che oggi purtroppo si scontra con una realtà ugualmente drammatica. Durante il 2016 si è celebrato infatti “L’Anno Europeo della lotta contro la violenza sulle donne”, ma purtroppo questo impegno è rimasto sulla carta, visti i numerosissimi crimini passionali commessi da uomini nel corso dello stesso anno e aventi come vittime le loro compagne.
L’intreccio fra tradizione e opere comiche di Aristofane sfocia dunque in un insegnamento più che mai serio, valido ieri come oggi, in Grecia, a Berlino e ovunque: realizzare quel “villaggio senza poveri, senza processi perchè senza ladri”.
E senza violenti.
Una vera utopia…