Berlino e le finestre accese: io non vi conosco, ma vi penso

Photo by Luca Biada©
Berlino
Photo by Luca Biada©

di Eleonora Castaldini

A Berlino a volte passeggio, ma è capitato raramente che esca solo per passeggiare, di solito lo faccio mentre vado da qualche parte, o sono seduta su qualche S-Bahn e guardo fuori dal finestrino.

Mi riprometto ogni volta di farlo, ma non lo faccio mai.

È un peccato.

Le finestre accese hanno sempre qualcosa di magico, ma qui ancora di più.

Loro e i carrelli della spesa, o meglio il loro contenuto, che fai in tempo a guardare con attenzione mentre sei in coda.

Il papà mi ha detto: “cerca il tuo angelo, Ele. Quando sei triste guarda in alto, sul cornicione diun palazzo grigio, magari lo vedi…”.

Allora io lo cerco, guardo cotinuamente.

È tutto così grande.

In una città dove c’è tanta gente, ma in verità nessuno, guardare le finestre mi aiuta a ricordare che, invece, forse mi sbaglio. Dentro c’é davvero qualcuno che pensa, che guarda la tv, che parla, che telefona su Skype, che “ohh che bel lampadario che ha scelto”, “la luce rossa la voglio anche io”, “quanti libri!”. Sì, perché se sei fortunato vedi di più, non solo il soffitto e il lampadario. Vedi pezzi di scaffali, piante, tende, pezzi di librerie. Lì c’è qualcuno che ha riso, oggi, o che è molto arrabbiato o ha fatto pace, che sta preparando una valigia o che ha appena letto la frase di un libro e gli è piaciuta talmente tanto che gli ha fatto capire qualcosa in più, e allora si ferma e la rilegge, piano, nella testa.

La finestra più magica l’ho vista quando stavo andando a Bellevue.

Si parla di attimi, questione di secondi. La S-Bahn va veloce, ma io, io l’ho visto. Io ho fatto in tempo.

Era là, in piedi davanti alla finestra, la luce dietro, il palazzo scuro intorno, suonava il violino, in piedi davanti alla finestra.

Finito.

Subito veloce, altre case, palazzi, alberi, prossima stazione. Ma io l’ho visto.

È stata la più bella poesia che io abbia mai vissuto.

A volte le finestre sono aperte ed escono gli odori. Alcuni fanno il minestrone come quando lo mangiavo da piccola… sorrido, scendo una rampa in più e il minestrone è sparito.

In una città dove c’è tanta gente ma non persone, a me piace pensare che invece io vi dedico tempo, vi dedico un pensiero e voi diventate reali. Solo dal vostro lampadario, scaffale, odore di minestrone, violino, carrello della spesa, io vi dedico una storia. Anche se voi non lo saprete mai, io non vi conosco ma vi penso e su di voi fantastico storie. E già vi voglio bene, e già mi sento meno sola. Se mi chiederanno quale sia la mia poesia preferita, io parlerò di te, della finestra accesa, del tuo stare in piedi, del tuo violino.

Ho pranzato con voi con quel minestrone, era ottimo già solo dall’odore. Vi ho svelato il trucco dei due piatti di mia nonna, per farlo raffreddare e mangiarlo più in fretta, quindi l’avete conosciuta anche voi.
La nonna era con me e con una famiglia di turchi, a un piano qualsiasi di un condominio qualsiasi di Berlino, che invece quel giorno è diventato importante perché su di lui è stato elaborato un pensiero, è stata inventata una storia e in un attimo non è più stato un palazzo qualunque, ma un teatro pieno di vita !

E quindi io continuo a guardare le finestre, continuo a fantasticare su di voi per darvi un volto, per non farvi diventare grigi o anonimi o inghiottiti da sguardi indifferenti.

Vi dedico il mio tempo, vi dedico un odore, vi dedico un consiglio, vi dedico un pensiero, vi dedico un colore.

E già siamo meno soli …