Povera ma sexy: L’uomo del semaforo
* di Nora Cavaccini
Sono morto senza che nessuno, in questa città, si ricordasse il mio nome.
Ancora oggi mi chiamano semplicemente l’uomo del semaforo.
Come se alla fine fossi proprio io quello là con il cappello a falda tesa, verde quando è in procinto di attraversare la strada e rosso quando invece c’è bisogno di fermarsi. In effetti, all’inizio, anche lui aveva proprio tutte le caratteristiche di un uomo vero: le dita, gli occhi, le orecchie, la bocca. Avevo disegnato quelle figure con i maggiori dettagli possibili, affinché anche i bambini, gli anziani, i daltonici e gli ipovedenti potessero capirne il senso ed evitare incidenti.
E ce ne erano stati tanti nella Berlino Est degli anni Sessanta, ancora più buia e plumbea di oggi, attraversata dal muro che si erigeva come una lapide fredda e noi ogni tanto lì, a pensare a cosa accedesse dall’altra parte.
Sapevamo che persino i semafori erano diversi, nell’Ovest, ma ce ne accorgemmo ancora quando il muro crollò e tutti dissero che anche le nostre strade, ora, dovevano uniformarsi. Non avevano fatto i conti però con il fatto che quell’omino rosso e verde, inventato da me, nel frattempo si era conquistato i cuori di mezza città e nessuno era disposto a lasciarlo andare via: dalla Friedrichstraße a Prenzlauerberg si mobilitarono, e soprattutto quelli ammalati di nostalgia, che rivolevano la città come era prima: loro dissero che i semafori dovevano rimanere quelli che erano. E così fu.
Oggi l’uomo con il cappello verde è diventato perfino un marchio commerciale. Nessuno fa caso al suo procedere anacronistico, con la gamba tesa verso la sinistra, che quella era la direzione ideologica in cui il nostro sistema di allora procedeva.
Un bambino, piuttosto, si succhia quella gamba e anche il cappello, nelle fattezze di una caramella gommosa. Ne fagocita una dietro l’altra.
La stessa fine a quanto pare ho fatto io, e il mondo dal quale provenivo.
Mi chiamo Karl Peglau e sono stato l’inventore dell’Ampelmann.
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