Brexit e start-up: Berlino è davvero la scelta giusta?
di Arianna Tomaelo
Il “leave” che ha risuonato alla volta del referendum sulla Brexit del 23 giugno ha fatto aprire occhi e orecchie a diverse capitali del continente, prima tra tutte Berlino: si sa infatti che la metropoli tedesca brama da diverso tempo il podio europeo nella corsa al titolo di reginetta delle start-up, medaglia sfoggiata per anni dal Regno Unito, tant’è che Londra è stata, durante l’intero ultimo decennio, la Mecca di giovani laureati e imprenditori.
Ma con la Brexit tuttavia lo scenario è cambiato e le imprese hanno cominciato a fare i bagagli da diverse settimane, spinte dalla paura che le ripercussioni di questa decisione si abbattano direttamente sui loro interessi. Per le aziende britanniche, infatti, Brexit significa esclusione dal mercato unico.
Sono diverse le città che gareggiano per rimpiazzare l’egemonia londinese, ma Berlino, tra tutte, sembra avere tutte le carte in regola per vincere la partita. Tra le compagnie che si stanno spostando in Germania ci sono la MBJ London, compagnia di web-design, e l’agenzia immobiliare Brickvest, entrambe co-dirette da responsabili tedeschi. I responsabili di entrambe hanno dichiarato che Berlino è particolarmente attraente sia per il costo della vita (“Con quello che spende a Londra per un mese, uno startupper a Berlino vive per sei mesi”, parola di Marco Muccini, fondatore di Papermine) che per la quantità di giovani menti brillanti disponibili nella capitale tedesca, così come per la facilità nel conseguire visti per i dipendenti.
E dunque, se sembra che valga davvero la pena puntare su Berlino, perchè i giocatori non rischiano il tutto e per tutto con un all-in?
Forse, perchè le carte scoperte non sono tutte assi. Infatti, se l’inglese è ritenuta la lingua franca per eccellenza, certo non si può dire lo stesso per il tedesco. Ma sembra che BaFin, autorità che regola il settore finanziario in Germania, sia incurante della cosa e pretenda la traduzione in lingua di tutta la documentazione richiesta per ricevere una licenza bancaria. Ciò senza contare che i passaggi burocratici attraerso notai e tribunali, richiesti per formalizzare la registrazione di una compagnia in territorio tedesco, richiedono fino a tre mesi di tempo (contro i pochi giorni che ci si impiega a Londra).
Fattori scoraggianti per le imprese emergenti che, proprio per la loro natura, non hanno molto tempo da impiegare nell’ufficializzazione della propria esistenza e si dotano di teams internazionali che comunicano in inglese. Per questa ragione molte start-up stanno considerando la possibilità di optare per la vicina (e anglofona) Dublino, ove il Regno Unito perdesse i cosiddetti passporting rights. Grazie all’adozione della moderna StartupVisa, inoltre, l’Irlanda facilita giá tutti quei passagi burocratici per l’avvio di un’attività su territorio irlandese, riducendoli a soli 4 steps.
Ulteriori difficoltà si incontrano anche nella ricerca di spazi adatti, considerando che le start-up spesso si trovano di fronte a contratti di affitto a 3 o a 5 anni, quando il tempo di successo o insuccesso dell’attività é di circa un anno. Questo problema ha tuttavia trovato una soluzione nello spirito attrattivo del co-working: Berlino offre infatti alle aziende la possibilità di usufruire di spazi condivisi. La stessa MBJ ha preso in affitto un ufficio in uno spazio condiviso con WeWork, a Potsdamer Platz.
La questione non è quindi così semplice: se Berlino vorrà davvero assecondare l’onda del “keep calm and come to Berlin” dovrà adottare misure di apertura in senso ampio, altrimenti rischierà di trovarsi con una manciata di imprese emergenti o poco più, come ha affermato il co-fondatore di Brickvest Thomas Schnider.