di Pasquale Episcopo
Piove su Berlino e sulla Germania. E piove su gran parte dell’Europa. Normale in questo periodo dell’anno. Ma non è di tempo meteorologico che vogliamo parlare, se mai dell’atmosfera che si respira nelle capitali del vecchio continente. Che sarebbe meglio chiamare, posticipando l’aggettivo, continente vecchio. Berlino ne è, per vocazione geografica, storica e culturale, capitale. Oggi più che mai.
Simbolo ed espressione vivente di smantellamento, abbattimento, superamento di barriere e muri in un continente dove i muri si cominciano a ricostruire. Icona della riunificazione tedesca e perenne cantiere di convivenza civile, progetto sperimentale di città universale ideale. Oggi più che mai centro e baricentro politico di un’Europa alla ricerca di se stessa, ferita da Brexit, privata di Londra, e con Parigi, Roma e Madrid in profonda crisi d’identità. Per non parlare di Bruxelles.
Ma anche Berlino ha le sue gatte da pelare. Gran parte dei problemi sono inevitabilmente legati al carattere multietnico della società berlinese. Una grande ricchezza sulla carta che tuttavia in pratica si traduce in disuguaglianze e problemi, sul piano della sicurezza, dell’assistenza sociale e della giustizia, per esempio. Ma anche dell’occupazione e dell’integrazione. Un tema, quest’ultimo, diventato ancor più scottante con l’arrivo di migliaia di rifugiati.
Cosa sia questa città nessuno lo sa bene e non lo sanno nemmeno loro, i berlinesi. Nel 1910 il critico d’arte Karl Schleffer nel suo libro “Berlino, il destino di una città” scrisse che la città era condannata “a sempre divenire, mai ad essere” e narrò di una Berlino il cui spirito non poteva considerarsi né nazionale né sentimentale e che non amava i suoi abitanti. Oltre vent’anni dopo, col titolo “Berlino, trasformazioni di una città”, il critico d’arte pubblicò una versione radicalmente rivista del libro, nella quale considerò i successivi sviluppi della “nuova Berlino”. Era il 1931 e di lì a poco il vento in Europa sarebbe cambiato drasticamente. Sappiamo come andarono le cose.
La definizione di Schleffer appare oggi quanto mai attuale. Naturale che in questo suo continuo evolversi Berlino dopo la caduta del Muro diventasse polo di attrazione di artisti e intellettuali, giovani e meno giovani, tutti desiderosi di liberarsi dei panni stretti di una Germania conformista e piccolo borghese, ansiosi di definire nuove tendenze e nuove visioni. Oggi la metropoli tedesca è città-Stato e capitale al tempo stesso. Raccoglierà la sfida di diventare motrice di un rinnovamento sociale che dalla Germania si irradi nel resto del continente?
Domenica scorsa a Berlino si è votato e il voto ha avuto, com’era da aspettarsi, una valenza politica ben più ampia di quella comunale e regionale. È stato l’ennesimo referendum pro-contro Angela Merkel, recentemente sconfitta dall’AfD (Alternative für Deutschland) nel Meclemburgo, suo collegio elettorale. A Berlino l’Afd non ha stravinto, ma ha raccolto comunque oltre il 14% dei voti, un risultato ragguardevole se si considera che questo partito è nato solo tre anni e mezzo fa. Per la CDU della cancelliera è stato il peggior risultato di sempre realizzato dal suo partito nella capitale. Anche la Grande Coalizione, l’alleanza tra SPD e CDU e alla guida di Berlino (e del governo federale tedesco), ha perso e ora non ha più maggioranza. Questi, in sintesi, i risultati della capitale, i cui effetti si faranno sentire sulla politica nazionale e non solo.
E a tal proposito va detto senza mezzi termini che i meccanismi di funzionamento della politica degli Stati europei, basati su una miriade di elezioni a livello comunale, regionale e statale, hanno finito con l’alimentare una pericolosa spirale di reazioni a catena e ora rischiano di affondare l’Europa. Ciò è tanto più vero in considerazione della debolezza e vulnerabilità delle istituzioni che l’Unione Europea si è data, istituzioni tutt’altro che compiute. Senza una radicale riforma degli attuali meccanismi di funzionamento delle sue istituzioni l’Europa è condannata, come un aeroplano senza motore, ad avvitarsi su se stessa, andare in stallo e precipitare.
Dalle urne berlinesi esce un segnale preoccupante per le elezioni politiche tedesche dell’autunno 2017 e per Angela Merkel. È la fine di un personaggio che con le sue doti di integrità, sobrietà, onestà ha incarnato e incarna l’opposto del populismo e del narcisismo dilaganti in politica? Prevarranno i rigurgiti nazionalistici che seminano zizzania e fomentano la paura nella gente? Vedremo. Intanto nel cielo di Berlino aleggiano nuvole grigie e minacciose.