Italiani che hanno fatto la storia di Berlino: la Barberina
di Axel Jürs
In questi giorni si può finalmente ammirare la facciata rinnovata della Staatsoper Berlin, presso Unter den Linden. Dove prima si vedevano solo impalcature, è ora possibile riscoprire un colore che l’edificio non aveva più da secoli. È infatti lo stesso colore che aveva nel giorno dell’inaugurazione della Hofoper, nel 1742, ben dieci mesi prima che i lavori nel cantiere finissero. Berlino ha una certa storia e la fama di posticipare sempre le inaugurazioni di edifici importanti.
La Hofoper, secondo Federico II e il suo architetto preferito, Wenzeslaus von Knobelsdorff, doveva far parte del Forum Federicanum insieme alla nuova grande biblioteca. Questo perché Federico II, che parlava e scriveva il francese meglio del tedesco, nutriva il sogno di una grande Prussia intesa come potenza non solo militare, ma allo stesso tempo anche culturale in Europa. Nelle sue intenzioni la nuova Hofoper doveva poter essere paragonata a quella di Parigi e dare l’impressione di essere stata costruita in Italia. Inoltre ci voleva una “star”, nel nuovo ensemble della nuova istituzione culturale. Federico II sapeva già, sin dalle prime fasi di questo progetto, quale fosse la diva da chiamare a Berlino a questo scopo: Barbara Campanini, prima ballerina dell’Opera di Parigi, celebrata già a quel tempo in tutta Europa e conosciuta come “La Barberina” (o anche “Barbarina”). Non solo gli era piaciuta tantissimo, sia come prima ballerina che come donna, quando l’aveva vista danzare a Parigi, ma aveva intuito sin dal primo momento che lei e la sua fama avrebbero potuto aiutare moltissimo il suo progetto. Come del resto succede anche oggi, anche in quei giorni lontani, le persone molto ricche potevano in qualche modo “comprare” delle celebrità, per approffitare del loro talento e della loro fama.
L’unico problema era che la Barberina non aveva nessuna intenzione di andare in quel posto lontano e ben poco colto chiamato Berlino. Sapeva benissimo che trasferirsi lì sarebbe stata un’iniziativa avventurosa e dall’esito incerto, come del resto non offriva garanzie di successo neanche il tentativo di stabilire un nuovo centro culturale europeo nella sabbia del Brandeburgo. La diva temeva non solo di essere allontanata dai centri culturali più importanti dell’epoca, ma anche di essere completamente dimenticata. D’altra parte, però, era anche bello essere stimata e invitata dal re prussiano in persona e soprattutto non era quella un’epoca in cui si poteva poteva declinare facilmente la richiesta di un sovrano.
Al tempo la Barberina, prima ballerina celebrata e ammirata ovunque, aveva tanti ammiratori, molti dei quali ambivano ad essere anche i suoi amanti. Il suo vero fidanzato, peró, era un nobile scozzese che si chiamava McKenzie e, come la Barberina, non aveva intenzione di trasferirsi a Berlino nè di lasciar partire la sua donna. Federico II a quel punto le fece un’offerta incredibile: chiese cioè alla Barberina di decidere lei stessa il suo stipendio annuale, fissando interamente le condizioni del contratto. Così la Barberina, non entusiasta della prospettiva di passare inverni duri lontana da tutto, chiese 7.000 talleri all’anno, una cifra assolutamente sproporzionata, considerando che all’epoca il direttore di musica della Staatskapelle alla Hofoper, un certo Carl Phlip Emmanuel Bach, percepiva uno stipendio annuo di 300 talleri. Non sappiamo se quella richiesta esorbitante fosse il suo modo di dire no senza farlo esplicitamente o se la Barberina, come le star calcistiche di oggi, cercasse di guadagnare il massimo e al tempo stesso aumentare le sue quotazioni sul “mercato delle star”. Comunque, probabilmente spiazzandola, Federico II accettò sua richiesta senza batter ciglio e così non ci furono più scuse per non firmare il contratto.
L’umore della ballerina, però, non era dei migliori e di andare a Berlino la Barberina non aveva proprio voglia. Dalla capitale della nuova Prussia arrivavano notize deprimenti di una città in cui quel poco di cultura e stile presenti, venivano quasi esclusivamente da fuori, importati dalla Francia, dall’Olanda, da rinomati ospiti di corte come Voltaire, ma sopratutto da insigni europei che erano invitati da Federico II ufficialmente come rifugiati religiosi, ma soprattutto per sviluppare l’economia prussiana.
D’altra parte, anche non volendo andare a Berlino, la Barberina ben sapeva che un contratto con il re non si poteva rifiutare assolutamente. Così, per non trasferirsi in una capitale ancora poco vivibile e al tempo stesso evitare la punizione di un contratto violato, la diva prese tutt’altra strada: poco prima di iniziare la sua nuova carriera a Berlino, fuggì a Venezia con il suo fidanzato McKenzie, sperando che il potere di Federico II non potesse raggiungerla anche a quelle latitudini. Il re, infatti, come previsto da McKenzie, non aveva i mezzi per imporre l’esecuzione del contratto a Venezia. D’altra parte Federico non aveva neanche intenzione di rinunciare al suo progetto nè tantomeno di esporsi al ridicolo, sia davanti a tutti i re europei che davanti alla sua corte, venendo gabbato da una persona all’epoca conosciutissima in tutta Europa. Il sovrano cercò allora una strategia, un bivio tattico per far valere i suoi diritti e finalmente trovò la soluzione. Quando l’ambasciatore veneziano, ritornando a Londra, visitò Berlino per comunicare al re che, anche volendo, la Repubblica Veneziana non poteva, secondo le leggi vigenti, estradare la Barberina, Federico II lo fermò. Non era minimamente interessato ad ascoltare un seminario giuridicotenuto dall’ambasciatore veneziano. Semplicemente gli fece capire che sarebbe stato libero di continuare il suo viaggio a Londra solo se avesse fatto arrivare la Barberina a Berlino, in un modo o nell’altro.
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Di fatto costretta, nonché al centro di un affare diplomatico ormai internazionale, la diva arrivò finalmente a Berlino, dove, dopo un breve periodo di nostalgia e lacrime, diventò non solo famosissima presso la corte prussiana, ma anche persona ammirata e amata da tutti, sopratutto, naturalmente di Federico II. In verità pare che il re non avesse una liaison d’amour con la diva, ma era comunque contento delle voci che giravano su questa relazione. Sia come uomo, sia come re, faceva infatti il possibile per far circolare questo pettegolezzo, che gli serviva a contrastare un’altra diceria, che lo voleva amante di poco valore. Aiutavano a nutrire queste voci sia il fatto che il re avesse donato alla Barberina un palazzo molto grande e vicino al castello (più o meno dove oggi si trova l’ambasciata russa), sia il fatto che Federico II apparisse nella vita sociale e culturale della corte molto più spesso con la Barberina che con sua moglie, Elisabetta Cristine. Chi vuole vedere la Barberina, in questi giorni ormai lontanissimi da quelli in cui visse, vada al castello di Sanssouci, dove si trova il famoso quadro “La ballerina” di Antoine Pesne, pittore famoso alla corte Prussiana. Chissà cosa avrà pensato Pesne, quando arrivò l’ordine del re di fare un ritratto della ballerina più conosciuta del momento. Antoine Pesne non ci lascia capire se la vedesse come prima ballerina o come sospetta maitresse del suo ‘cliente’ reale. E neanche gli occhi del ritratto della Barberina, in realtá, svelano quel segreto…
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