AperturaSehnsucht

Sehnsucht: il sogno di Wannsee

Sehnsucht” è l’unione di due arti. È la scrittura unita alla fotografia. È l’ispirazione del momento. È un attimo di vita. È la ricchezza del dettaglio. È il sogno ad occhi aperti. È la voce dell’anima. È la malinconia e la gioia. La vittoria e la sconfitta. È la ricerca. La lotta. Il pensiero e la parola. La voce e il silenzio. È l’istinto. È l’ispirazione. “Sehnsucht” siamo noi e siete voi. “Sehnsucht” è il desiderio di desiderare.
Una rubrica a cura di Valerio Polani e Cesare Zomparelli.

wansee

C’è un pianoforte che suona e mi sveglia delicatamente. É musica soave e leggera disegnata da melodie che sognano e fanno sognare. Ho ancora gli occhi socchiusi, sento il sole penetrare dalla finestra e carezzarmi il viso, sfiorarmi le guance. Sembra sussurrarmi all’orecchio, non mi infastidisce. Mi culla a tratti, mi corteggia.
Mi conquista.
Immagino le mani di colui che suona il pianoforte scorrere sulla tastiera, le dita premere i tasti costruendo musica dal sapore di amore. Le sento soffici quanto il sole. Le sento calde. Le sento vive.
Non so bene da dove provenga il suono, sicuramente da un appartamento del mio palazzo, ma io lo sento vicinissimo. Lo sento qui, accanto a me. Lo sento avvolgermi.
Sorrido pensando a quanto tutto ciò sia fantastico.
Sono al centro di arte e natura, coccolato dal sole e corteggiato da melodie magiche. Faccio l’amore con entrambi, un’odissea di passione fino a quando tranquillità e pace mi avvolgono, incatenandomi al letto… mi sento prigioniero, ora, e mi piace.
Ho sognato di essere a Wannsee stanotte, ed era un sogno strano.
In spiaggia non c’era nessuno. Ero solo e gridavo felice con ghigno di vittoria. Mi sentivo forte, fortissimo.
Poi correvo e nuotavo fino a sentire le braccia esplodere e il fiato morire.
Mi sedevo di nuovo e gridavo più forte che potevo. Mi sentivo forte, ancora. E ancora. E ancora.
Poi d’improvviso scoprivo di essere vulnerabile. Lì, tutto solo.
Mi sentivo felice, e poi di nuovo debole e fragile.

Ho sempre sognato un mondo in cui non ci fosse nessun altro che me, ho sempre voluto avere gli spazi necessari per costruirmi la mia vita e gestire il mio futuro, per affrontare il mio destino da solo. Ho sempre pensato che gli altri fossero d’intralcio. Ho sempre indossato uno scudo per difendermi e sparire. Per stare lontano.
Poi ho sognato che correvo ancora tantissimo, più veloce che potevo. Sentivo di vomitarmi il cuore addosso, lo sentivo pompare in gola fino a scoppiare, quasi. Batteva fortissimo.
Boom.
Boom.
Boom.
Rimbombava nel petto che quasi ne sentivo l’eco.
Poi mi sono fermato e mi sono accovacciato in uno strandkorb che era lì, proprio dove mi ero fermato, perché nei sogni le cose che accadono non sempre hanno un senso.
Ricordo che sono svenuto…
poi c’è stata la musica.
Le melodie soavi, la delicatezza del mio risveglio.
Lo scrosciare delle onde del lago che suonano come un pianoforte, i suoni dal sapore d’amore e il sole che mi bacia il viso delicato, soffice e caldo.
Sono al centro della natura vestita, ora più che mai, da paradiso. Il lago canta e il sole mi bacia.
Mi sento felice di nuovo, ora, ma è stato un sogno strano.

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