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Liste nere e inviti alla delazione: verso i turchi in Germania sospettati di avversare Erdogan metodi simili a quelli della Stasi

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di Annika Kreusch

A una settimana dal fallito golpe in Turchia, la lista degli oppositori politici contro i quali Erdogan sta effettuando una feroce repressione risulta sempre più estesa. Più di 30.000 dipendenti pubblici, al momento, sono stati sospesi dall’incarico. Tra loro migliaia di insegnanti, docenti e rettori universitari, poliziotti e circa il 30% dei giudici.
Come riportato dall’agenzia turca Anadolu, ulteriori misure riguardano anche i cittadini turchi che vivono all’estero. A tutti gli insegnanti che al momento non sono in Turchia, per esempio, è stato chiesto di tornare in patria prima possibile, a meno che non abbiano ragioni urgenti per restare. Agli intellettuali e agli accademici che invece si trovano in Turchia è stato proibito di lasciare il Paese. Stiamo parlando di circa 3.000.000 persone.
Volker Beck, portavoce dei Verdi per la politica di immigrazione presso il Bundestag, ha chiesto al governo una reazione rapida. “Il governo federale deve fare il possibile per non cooperare con il regime di Erdogan in merito a questa richiesta”, ha detto il politico al quotidiano Die Welt. “Gli accademici turchi hanno bisogno di sicurezza per continuare a vivere, a insegnare e a fare ricerca in Germania” ha quindi aggiunto, “abbiamo bisogno di soluzioni flessibili per garantire il diritto di residenza”.

Il governo turco si giustifica parlando di “misure di sicurezza temporanee”, aventi come scopo la ricerca di ogni possibile collegamento con la cosiddetta “struttura parallela” che Erdogan ritiene emanazione di Hizmet, il movimento ispirato da Fethullah Gülen. Il punto è che al momento non ci sono prove che il golpe sia effettivamente avvenuto per impulso del predicatore ed ex imam, attualmente residente in Pennsylvania. Altrettanto allarmanti sono i continui appelli ai turchi tedeschi affinché denuncino i possibili sostenitori di Gülen. L’UETD (Unione dei turchi democratici europei), un ramo del partito conservatore AKP, che ha anche una base a Berlino, ha lanciato un numero telefonico speciale, direttamente connesso all’ufficio presidenziale di Ankara, per denunciare i turchi all’estero sospettati di essere critici verso Erdogan. I segnalati entrano a far parte di una lista nera e rischiano di non poter più tornare in Turchia. Via WhatsApp, inoltre, i sostenitori di Erdogan vengono invitati al boicottaggio delle aziende, dei negozi e dei ristoranti con base in Germania e che sono ritenuti vicini al movimento di Gülen.

Ercan Karakoyu, il direttore della fondazione per il dialogo e l’educazione a Berlino, una fondazione che supporta Hizemt, ha dichiarato che c’è un’intensa lotta contro i membri del movimento in Germania. “La situazione fa paura. Gli edifici di Hizmet sono bersagliati dai sassi, imbrattati con lo srpay e alcuni membri del movimento hanno ricevuto minacce di morte”. Una sorta di caccia alle streghe starebbe inoltre avendo luogo sui social network e le piattaforme per l’invio di sms, dove dilaga la delazione dei presunti oppositori. Con metodi quasi simili a quelli usati dalla Stasi, la polizia politca della DDR, la violenza verbale e psicologica verso i dissidenti politici verrebbe esercitata in modo incessante. Chiunque sia anche solo diffidente verso il presidente turco, tende ad essere sommariamente collegato ai due movimenti che Erdogan stigmatizza in modo feroce: Hizmet e il PKK, il partito dei lavoratori del Kurdistan, illegale in Turchia.
Di certo diventerá sempre più difficile per l’opposizione democratica turca esercitare la sua funzione di controllo e di critica. E proprio in un momento in cui, più che mai, la Turchia ne avrebbe bisogno.

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