Unconventional Berlin Diary: è arrivata l’estate
È stata dura, ma finalmente ce l’abbiamo fatta: anche a Berlino sembra arrivata l’estate. Qualche acquazzone improvviso, occasionali abbassamenti della temperatura e la paura irrazionale che nevichi anche a giugno non possono più cancellare l’ovvio: fa caldo. I tedeschi hanno reagito come sempre, vale a dire con isteria stagionale. Non si contano i piedi nudi, trascinati con gioia nello sporco irredimibile delle strade, si sfoggiano colori pastello come neanche nella sezione estiva dei vecchi cataloghi Vestro e si indossano pareo, infradito da spiaggia, maglie con i ghiaccioli (giuro di averne vista una giusto ieri) e micro-jeans alla Daisy Duke di Hazzard (e se non la conoscete potete dirvi giovani e buon pro vi faccia). Mi chiedo se a Tiergarten abbiano giá cominciato a vagare nudi. Mio fratello non ha mai superato lo shock di una passeggiata durante la quale, l’anno scorso, si imbattè in un anziano in bici che pedalava senza imbarazzo e senza mutande.
Io sono una persona che attraversa l’estate soffrendo gravi problemi di adattamento del guardaroba. Non compro mai abiti leggeri, non tolgo mai gli anfibi, al massimo metto via giubbotti di pelle e cappotti e smanio perché i miei pantaloni non hanno tasche, mai. Tra l’altro non ho ancora trovato il tempo di procurarmi un paio di pantaloncini da lavoro, continuo a indossare la tuta invernale e sudo. Il punto è che sono sempre talmente stanca che non riesco neanche a fare la spesa in un supermercato meno costoso del Kiezmarkt sotto casa. Quindi spendo regolarmente troppo e compro meno, pur di salire subito a casa e crollare davanti al pc, rosicchiando gambi di sedano. Quando non sono frenetica, sono assolutamente pigra. Non ho neanche tolto il piumone dal letto. Ci dormo accanto, arrotolata come un verme.
Il tipo che suona la chitarra e canta con la testa da cavallo, a Frankfurter Alle, è a torso nudo già da tempo, diciamo che è stato un pioniere della bella stagione. L’ultima volta che l’ho visto gli ho dato dei soldi e quando mi ha ringraziata al microfono non ho risposto e ho guadagnato in fretta l’entrata della metro: tanto sono capace di funzionare socialmente nelle pubbliche relazioni, tanto soffro, nella vita privata, di momenti di inspiegabile timidezza. Spero che l’uomo mitologico con la testa da cavallo non se la sia presa. Sono sinceramente una supporter.
Anche Wolfie vaga nuda, ma solo nel suo appartamento. Sabato sera abbiamo bevuto un fiume di vino bianco nel nostro ristorante giapponese preferito, a Kreuzberg. Poi siamo tornate a casa a piedi e sull’onda della sbornia l’ho seviziata con citazioni di Dante e video dell'”Odissea” su youtube, ovviamente nella vecchia versione della Rai.
A mezzanotte passata ancora declamavo la strage dei Proci con accenti vibranti.
Glossario
Wolfie: essere di genere indefinibile. Per metà Ziggy Stardust, per metà Kurt Cobain, per metà la mia metà.
Mio fratello: coinquilina e amica di lunghissima data. Ci chiamiamo reciprocamente “fratello” e parliamo di noi al maschile.
Il bambino: per il mondo è “Ein Arschloch”. Per me è semplicente “il bambino”.
♠”Angel Olsen-Unfucktheworld♠
Lucia Conti ha collaborato con diverse webzines, curando rubriche di arte, cinema, musica, letteratura e interviste. Per “Il Mitte” ha già intervistato, tra gli altri, due sopravvissuti ad Auschwitz-Birkenau e Buchenwald e ha curato un approfondimento sull’era della DDR, raccogliendo testimonianze di scrittori, giornalisti, operatori radiofonici e musicisti. Ama visitare mostre e chiese in tutta Europa, con una particolare predilezione per Bruegel, Van Gogh e Caravaggio e per l’architettura gotica. Tra i registi apprezza in modo particolare Bergman, Wiene, Kitano, Fellini e Lars von Trier e adora l’ultimo Polanski. Per quanto riguarda la letteratura ha una vera ossessione per Kafka e in particolare per “La metamorfosi”, che ama rileggere a cadenza regolare e che produce su di lei uno stranissimo effetto calmante. Privatamente scrive cose che poi distrugge. Con il nome d’arte di Lucia Rehab è frontwoman della band Betty Poison, di cui a volte ha documentato i tour negli USA, in Europa e in Giappone. Attualmente vive e resiste a Berlino.
Ho bisogno di capire dove mangiare giapponese. Ne ho proprio bisogno. Aiuto. Grazie. Aiuto. E avanti così.
Guarda Elettra, io in generale vado a caso e torno dove mi sono trovata bene. Se però vuoi avere un approccio più “scientifico” puoi provare su TripAdvisor o motori di ricerca analoghi. Facci sapere e continua a seguirci!