Bertolt Brecht: l’epilogo
di Eleonora Massa
Se gli anni trascorsi lontano dalla Germania e dall’Europa erano stati per Bertolt Brecht una vera e propria fucina creativa, la lontananza dalla scena, dalle prove con gli attori, dall’attività di regista, ne avevano rappresentato un’altrettanta costante: al rientro, il nome dell’autore è ancora principalmente legato al successo del ’28, “L’Opera da tre soldi” (Die Dreigroschenoper), che lo aveva consacrato al grande pubblico. Così, dopo quindici anni di esilio, Bertolt Brecht si riprende innanzitutto il teatro.
Non appena rientrato a Berlino Est, nel 1948, si dedica immediatamente al memorabile allestimento di “Madre Courage e i suoi figli” (Mutter Courage und Ihre Kinder), rappresentato l’anno successivo al Deutsches Theater. Nasce così il Berliner Ensemble.
A vestire i panni della misera vivandiera ammaliata dalla guerra come miraggio di arricchimento personale e, nello stessi tempo, causa della sua stessa rovina familiare, sarà Helene Weigel, “La madre” (Die Mutter) del ‘32, la compagna di Bertolt Brecht e il solo personaggio femminile cui spetterà un ruolo da protagonista accanto alla non poco complessa, impegnativa, ingombrante personalità dell’autore: la sola donna, fra quelle gravitategli attorno, a cui lo stesso autore sceglierà di sentirsi propriamente legato.
Si erano incontrati nel 1923, quando Brecht faceva ancora la spola tra Monaco e Berlino ed era già sposato con la cantante lirica Marianne Zoff, dalla quale aveva avuto una figlia, Hanne; ancora prima, nel ’19, dall’amore giovanile per Paula Banholzer, ad Augusta, era nato il figlio Frank. Nel ’24 anche la Weigel resta incinta e il 3 novembre nasce Stephan, ma Brecht ha già conosciuto la sua nuova amante, Elisabeth Hauptmann.
A conoscenze, incontri, relazioni, Bertolt Brecht non rinuncerà neppure dopo aver sposato la Weigel nel ’29 e aver avuto da lei, nel ’30, una seconda figlia, Barbara. E tuttavia il “legame”, inteso nella sua emotiva quanto intellettuale accezione, verrà riservato dall’irruento sbeffeggiatore della morale alla sola “Elli”, attrice di origine austriaca, la sola creatura di cui, in un rapporto fatto di contraddizioni e contrapposizioni, di cadute e risalite, di un costante perdersi per poi nuovamente cercarsi, di ostilità e tenerezza, si fidasse completamente. A partire dal 1949 Helene Weigel sarà direttrice e, in senso lato, sarà la “custode” del Berliner Ensemble.
Oltre agli allestimenti dei drammi brechtiani il complesso porta in scena rifacimenti come quello del “Don Giovanni” di Molière, nonché opere del repertorio classico come l’”Urfaust” di Goethe. Se il “Brecht regista” di questi anni appare infaticabile, l’Ensemble si configura, allo stesso tempo, come il punto di snodo fondamentale del complesso rapporto che lo legherà all’autorità della Repubblica Democratica Tedesca (RDT).
Lo Stato è infatti finanziatore della stessa compagnia e, inevitabilmente, attento censore delle sue prove. Così, ad esempio, Brecht deve modificare il titolo del dramma “L’interrogatorio di Lucullo” (Das Verhör des Lukullus), accusato di generico pacifismo, nonché della mancata distinzione tra “guerra giusta e ingiusta”: sono, questi, infatti, i primi anni cruciali della corsa agli armamenti e delle sperimentazioni nucleari in seno al conflitto tra URSS ed USA. Di fatto, il testo sarà portato in scena con il titolo “La condanna di Lucullo” (Die Verurteilung des Lukullus).
A segnare uno dei punti di massima tensione del sottile equilibrio tra Brecht e il nascente Stato socialista, saranno poi gli eventi legati alla rivolta proletaria del 17 giugno 1953.
Gli operai avevano contestato gli ultimi provvedimenti della SED (Sozialistische Einheitspartei Deutschlands), il Partito di Unità Socialista di Germania, i quali non facevano che peggiorare la loro già precaria condizione, nonché esemplificare l’ormai evidente tendenza oppressiva dello Stato. Vi erano stati scioperi, proteste, manifestazioni, presto violentemente repressi con in scena i carri armati sovietici.
Nei giorni immediatamente successivi alla rivolta Brecht aveva scritto un telegramma al segretario del partito Walter Ulbricht. Nel testo faceva riferimento ad un “chiarimento con le masse”, il quale avrebbe dovuto portare al consolidamento degli esiti del socialismo. Infine, nel rendere i propri ossequi al destinatario, l’autore esprimeva la sua vicinanza al partito.
Fu questa, tuttavia, l’unica parte della lettera ad essere resa nota, quella in cui, all’interno di una stereotipata chiosa, l’autore ribadisce la propria Verbundenheit, il proprio legame, con il partito. Lo stesso partito che però, nelle righe precedenti, pubblicamente sottaciute, aveva ritenuto responsabile di una politica antipopolare divenuta causa della rivolta operaia.
Brecht scriverà nuovamente al segretario allo scopo di ribadire il suo intento: non riceverà alcuna risposta. Intanto la diffusione del documento nella Germania occidentale alimenta tra i suoi sostenitori l’idea di un “Brecht traditore” della causa che diceva di aver da sempre abbracciato: la solidarietà verso il popolo e la sua difesa. I retroscena della vicenda, del resto, verranno chiariti solo diversi anni dopo la sua morte.
L’evento rivive nei versi della lirica “Die Auflösung” (La soluzione), appartenente al ciclo delle “Elegie di Buckow” (Buckower Elegien, 1954), che prendono il nome dal piccolo centro non lontano da Berlino dove Brecht, da Weissensee, si era trasferito con la Weigel nel ‘50. I ritmi sono quelli brevi e irregolari, quasi epigrammatici, che avevano già contraddistinto le “Poesie di Svendobrg” (Svendborger Gedichte 1939) e che derivavano dall’influenza della lirica cinese e giapponese. La poesia racconta che
Dopo la rivolta del 17 giugno
il segretario dell’Unione degli scrittori
fece distribuire nella Stalinallee dei volantini
sui quali si poteva leggere che il popolo
si era giocata la fiducia del governo
e la poteva riconquistare soltanto
raddoppiando il lavoro. Non sarebbe
più semplice, allora, che il governo
sciogliesse il popolo e
ne eleggesse un altro?
Inascoltato dagli organi ufficiali, Brecht non rinuncia a dire la sua, affidandola e affidandosi alla sua arte.
Nella Repubblica Democratica Tedesca Brecht vedeva certamente il concreto evolversi storico dell’alternativa al nazi-fascismo, ma si rendeva conto che quello stesso paese in marcia verso il socialismo assumeva sempre più la fisionomia di un sistema oppressivo e con scarso consenso popolare. Gli interessi primari dello Stato gli apparivano quanto di più lontano dalle tematiche pacifiste e anti-imperialiste alle quali era da sempre, e ancor più negli ultimi anni, legato: di fronte a ciò non poteva non levare uno sguardo scettico e non poteva non dirlo.
La sua consueta arguzia, diversa, dunque, da un semplicistico “opportunismo ideologico”, gli consentirà tuttavia di districarsi alla meglio nel pur sempre teso rapporto con le autorità. Nel quadro del conformismo culturale della RDT il Berliner Ensemble rappresenterà di fatto una rara eccezione di sperimentalismo estetico.Una sua anticipazione teorica, nonché sintesi del percorso avviato già dagli anni delle prime prove sceniche, sarà raccolta da Brecht nel “Kleines Organon für das Theater” (Breviario di estetica teatrale, 1948), che chiarisce tecniche e scopi della rappresentazione: la “non immedesimazione” delle masse produttrici (dello spettatore) con gli eventi “stranianti” che vede inscenati, i quali altro non fanno che palesare le assurdità dei rapporti sociali e che, pertanto e in modo quasi paradossale, inducono prima al divertimento, poi all’amara presa di coscienza, infine alla riflessione critica.
Il dramma “Die Tage der Commune” (I giorni della Comune, 1948/1949), che già palesava le preoccupazioni di Brecht circa l’effettiva attuazione del socialismo che auspicava, e che lo espose dunque alle prime critiche delle autorità di regime, traccia insieme alle “Kalendergeschichten” (Storie da calendario, 1949) gli esiti ulteriori della produzione brechtiana immediatamente successiva all’esilio. All’interno dell’ultima raccolta compaiono ancora le “Storie del signor Keuner” (Geschichten vom Herrn Keuner), parabole, aneddoti, aforismi a sfondo sociale o rivolti alla più intima sfera umana, ad esempio “Se il signor K. Amasse qualcuno” (Wenn Herr K. einen Menschen liebte).
Le ultime scene della storia di Bertolt Brecht si svolgono tra il numero 125 della Chaussestraße, dove nel ’53 si trasferisce insieme a Helene Weigel, e il numero uno dell’attuale Bertolt Brecht Platz, dove nel ’54 è il Berliner Ensemble a trasferirsi. Una casa su due livelli quella del primo indirizzo, dove Brecht lavorava, scriveva, discuteva con colleghi e collaboratori in un’ampia stanza posta al primo piano, corredata di più tavoli, ognuno dei quali dedicato ad uno dei “lavori in corso” e dotato dell’immancabile, grosso posacenere, irrinunciabile compagno di lavoro. Lo stesso Theater am Schiffbauerdamm, quello del secondo indirizzo, che nel ‘28 aveva ospitato la prima di successo de “L’Opera da tre soldi” (Die Dreigroschenoper), a chiusura, quasi, del cerchio.
Nel ‘55 si scontra ancora col Partito, che stavolta si oppone alla pubblicazione della “Kriegsfibel” (L’Abicí della guerra), il sillabario per immagini corredate da quartine di commento sull’ultimo conflitto mondiale, già approntato ai tempi dell’esilio finlandese. Dovrà minacciare di rivolgersi al “Consiglio comunista della pace”, per ottenere il consenso all’edizione.
Si svolge, infine, tra le ultime, infaticabili prove sceniche, l’epilogo di Bertolt Brecht: parliamo dell’adattamento del “Coriolano” di Shakespeare, che non terminerà e del nuovo allestimento della “Vita di Galileo” (Leben des Galilei), che dovrà interrompere. Brecht infatti non sta bene, già da diverso tempo.
È il 1956, infatti, l’anno che tira le fila e il 14 agosto il giorno in cui Brecht muore a causa di un infarto cardiaco. Più tardi si parlerà dell’inottemperanza dell’apparato medico nella gestione delle cure, più tardi si arriverà ad ipotizzare un’inottemperanza pilotata dalla Stasi.
Verrà sepolto tre giorni dopo al Dorotheenfriedhof, il cimitero che scorgeva dalle finestre della Chaussestraße, di fronte alle tombe di Fichte e di Hegel. Verrà sepolto senza cerimonie, come da lui richiesto.
Non credeva nell’aldilà, Bertolt Brecht, ma nella verità dei rapporti contingenti, gli stessi che attraverso le sue parole, le parole che ci ha lasciato in eredità, sembrano trovare ancora una lucida, quanto amara, comprensione, gli stessi che ancora, attraverso le sue parole, vien voglia di combattere.
Riferimenti bibliografici:
Mittner, L. (2002), Storia della letteratura tedesca. Vol. III/Tomo 2/Parte quinta: Dall’espressionismo al dodicennio nero (1907-45). Torino, Einaudi, pp. 1407-1409 (ed. or. 1971).
Fertonani, R. (a cura di) (1970), Per conoscere Brecht. Un’antologia delle opere, Milano, Mondadori, pp. 11-14.
Cases, C. (1992), Nota introduttiva. In: Bertolt Brecht. Poesie. Torino, Einaudi, pp. XIII-XVI.
Raddatz, F. J. (2012), Bertolt Brecht: “Ich bitte Helli, folgendes zu veranlassen“ (ZEIT ONLINE, N. 46/2012)/http://www.zeit.de/2012/46/Briefwechsel-Bertolt-Brecht-Helene-Weigel
Per le poesie citate:
Bertolt Brecht. Poesie. (1992) Torino, Einaudi, pp. 262-265.
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