Michael Gira in concerto a Berlino: live report
di Lucia Conti
Sono passati due anni dall’ultimo concerto di Michael Gira a Berlino. Nel 2014 aveva suonato al Berghain, in questa seconda circostanza ha calcato il palco del Volksbühne, dove si è esibito da solo e in acustico, catturando l’attenzione di un pubblico di affezionati.
Il range anagrafico oscillava tra i venticinque e i cinquantacinque anni e lo stile degli intervenuti declinava spesso Nick Cave, Tim Burton e l’esistenzialismo francese. Una buona percentuale delle persone presenti era di nazionalità italiana e un uomo era di fatto il sosia di Federico Fiumani.
Ad aprire il concerto Kristof Hahn, chitarrista degli Swans e degli Angels of light, che ha presentato un repertorio oscillante tra il blues più tetro (in senso buono) e il Lou Reed più spettrale. Guardarlo eseguire con intensa eleganza Me and my gun dei Les hommes sauvages, suo progetto parallelo, mi ha fatto pensare a lui come a una versione dark di “The stranger”, il narratore onnisciente de “Il grande Lebowski”. Quando qualcuno gli ha posato accanto una birra ha detto al microfono, subito dopo aver concluso il brano che stava cantando, “sei stato molto gentile, ma la birra con me è sprecata, mi dispiace”.
Dopo l’ultimo brano Gira è uscito per incentivare gli applausi e Hahn ne ha approfittato per sottolineare scherzosamente di aver avuto l’opportunità di aprire il concerto solo perché amico dell’headliner.
Il main act è iniziato con una serie di problemi tecnici, di fronte ai quali il songwriter e fondatore della Young God Records non si è minimamente scomposto.
“I apologize” ha detto al pubblico e quindi, al fonico, “is this gonna happen again?”, ma con un tono assolutamente educato e pacato, lo stesso usato in seguito per commentare una serie di analoghi inconvenienti che hanno reso necessario ricalibrare, più di una volta, l’interazione tra il tecnico e l’artista.
Non capisco perché molti dicano che Gira ha un caratteraccio, non mi sembra affatto vero. Bazzico l’ambiente musicale da anni e onestamente ho visto musicisti reagire molto peggio per molto meno.
I brani in scaletta sono stati scelti pescando con gusto dal suo repertorio solista e da quello degli Swans e degli Angels of light.
A partire da Not here, not now, la platea ha cominciato a lasciarsi andare. Alcuni hanno abbandonato le sedie e si sono sistemati sul pavimento. Durante l’esecuzione di Jim una bionda è passata davanti all’artista mandandogli baci e inchinandosi con precario equilibrio. Molti dondolavano sui passaggi più ossessivi di Lunacy con mistica ostinazione.
Il brano When will I return è stato presentato come un’anticipazione del nuovo album degli Swans, “The glowing man”, in uscita a giugno. Gira lo ha detto ispirato da un’aggressione subita dalla moglie e ha aggiunto di averlo scritto da un punto di vista femminile e come celebrazione della forza mostrata dalla donna della sua vita in anni di gestione dei postumi del trauma. Il pubblico ha ascoltato in una sorta di silenzio radicale, poi ha accennato un applauso che lui ha rifiutato (“no please”).
Il climax emotivo si è interrotto ancora, subito dopo l’inizio del pezzo, quando l’amplificatore si è ammutinato. Gira lo ha guardato, ha accennato uno sputo sprezzante in direzione della testata Gallien-Krueger, poi ha detto al microfono, come un lord: “sorry. Things happen”. Quell’uomo ha stile.
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Nella tracklist anche un brano non registrato (“I wrote it for you…”) e una bellissima versione di She lives, che dall’incipit, “Now I just want to thank you for going insane…”, alla feroce conclusione, “All the life that you bleed out, well I steal it for mine”, ha mantenuto una tensione costante e inesorabile. Subito dopo, l’uomo che aveva regalato al pubblico accenti strazianti e stranianti ha concluso con “vi siete depressi, eh?”. Sublime fascino dell’understatement.
People like us è stata una seconda anticipazione del nuovo album degli Swans, mentre Promise of water è stata seguita da un rilievo di Gira su quanto gli piaccia Berlino e quanto abbia rappresentato per la sua vita e per la sua musica, vista anche la quantità di materiale registrato nella capitale tedesca (“your lovely town”).
È stata quindi la volta di The man with the silver tongue, mentre la bellissima God damn the sun ha concluso il set, segnando uno dei picchi della serata.
Richiamato in scena per il bis di rito l’artista ha detto “very nice” e poi “I have two more songs for you”.
Ha quindi eseguito Song for a warrior, scritta per la figlia e contenuta nell’album “The seer”, con il featuring di Karen O. degli Yeah Yeah Yeahs.
A seguire Failure, le cui battute finali hanno sintetizzato la poetica di un uomo che ha vissuto la vita come una feroce epopea di creatività, eccessi e disavventure.
Some people lie in hell
Many bastards succeed
But I’ve learned nothing
I can’t even elegantly bleed out
the poison blood of failure
Thanks, Mr. Gira.