Unconventional Berlin Diary: dall’Urban Spree alla Philarmonie
Sono stata a sentir suonare Wolfie all’Urban Spree. Ho fumato, per la terza volta in quasi tre anni. La prima volta mi è capitato in Austria, avevo appena partecipato a un rock festival in una specie di garage e sulla parete proiettavano un documentario psichedelico o sulla psichedelia, non ricordo esattamente. Non ricordo esattamente neanche perché abbia deciso di interrompere all’improvviso il mio decennio di astinenza, ma è accaduto.
La seconda volta è successo a Berlino, in un locale in cui la musica era troppo alta e la mia voglia di essere altrove molto intensa. Ho chiesto e ottenuto una sigaretta da una musicista che faceva anche la sex worker. A Berlino ci sono molti sex worker, soprattutto nel circuito artistico alternativo. Ho sempre avuto il sospetto che a volte lo facciano per poter avere qualcosa di interessante da raccontare al fine di risultare anticonformisti, un po’ come quando, negli anni novanta, alcune riot girls facevano le spogliarelliste per comprare amplificatori e strumenti. È una storia che si vende bene, non c’è che dire. Come diceva Bernadette in “Priscilla, Queen of the Desert”, questo tipo di cose va sempre bene per un invito a cena.
Ad ogni modo la mia terza sigaretta ha avuto il sapore della prima e della seconda, cioè quello della sconfitta, e mi ha discretamente infiammato le vie respiratorie. Me lo merito.
Due giorni dopo sono stata alla Berliner Philharmonie, a sentire Jewgenij Kissin che suonava Beethoven, Mozart, Brahms, Albèniz e Larregla. Prima dello spettacolo e durante l’intervallo ho bevuto del vino bianco, una mia prassi rituale fino ai limiti dell’autismo, quando vado all’Opera o ai concerti di musica classica. Non sarebbe e non potrebbe essere lo stesso, se bevessi del vino rosso o qualunque altra cosa.
Mentre guardavo anziani bellissimi e bambini elegantissimi pensavo a quanto bizzarro fosse stato passare, nell’arco di così poco tempo, dall’insalata umana del primo concerto, adeguatamente condita da urla e speed, alla grazia vagamente retrò del pubblico del secondo, che sembrava descritto da Thomas Mann e filmato da Visconti. L’esecuzione è stata notevole e per quanto l’”Appassionata” mi abbia riempito di compiaciuto furore con tutta la violenza che amo tanto in Beethoven, con Brahms, Kissin si è superato, e a quanto pare non sono stata l’unica a pensarlo. Al bar, durante l’intervallo, un’anziana groupie con guance avvizzite e occhi innamorati mi ha detto compiaciuta: “Non c’è che lui”.
Spettacolo notevole anche quello offerto da una ragazza israeliana che ho conosciuto a casa di amici. Per buona parte della serata ero stata impegnata in una conversazione sulle lingue orientali con suo marito, un tedesco che mi ha reso edotta sul fatto che la lingua cinese abbia quattro intonazioni, e avevo dato per scontato che fosse tedesca anche lei. Poi, mentre prendevamo i cappotti all’ingresso e ci preparavamo ad andarcene, qualcuno glielo ha chiesto esplicitamente e lei ha risposto, con i toni della costernazione: ”no, anzi… i tedeschi hanno ucciso tutta la mia famiglia!”. Gelo sugli astanti, in buona parte alemanni. A quel punto lei ha aggiunto “Scherzavo! In famiglia stanno tutti bene…”. Suo marito le ha detto a denti stretti “dovevi proprio buttare lì un olocausto a caso?” e a quel punto se ne sono andati, probabilmente continuando a discutere come in un film di Woody Allen.
Tantissima.
♠ Colonna sonora: “Do you love me now?”–The Breeders♠
[youtube https://www.youtube.com/watch?v=KflW4EsVL7o]Lucia Conti
Lucia Conti ha collaborato con diverse webzines, curando rubriche di arte, cinema, musica, letteratura e interviste. Per “Il Mitte” ha già intervistato, tra gli altri, due sopravvissuti ad Auschwitz-Birkenau e Buchenwald e ha curato un approfondimento sull’era della DDR, raccogliendo testimonianze di scrittori, giornalisti, operatori radiofonici e musicisti. Ama visitare mostre e chiese in tutta Europa, con una particolare predilezione per Bruegel, Van Gogh e Caravaggio e per l’architettura gotica. Tra i registi apprezza in modo particolare Bergman, Wiene, Kitano, Fellini e Lars von Trier e adora l’ultimo Polanski. Per quanto riguarda la letteratura ha una vera ossessione per Kafka e in particolare per “La metamorfosi”, che ama rileggere a cadenza regolare e che produce su di lei uno stranissimo effetto calmante. Privatamente scrive cose che poi distrugge. Con il nome d’arte di Lucia Rehab è frontwoman della band Betty Poison, di cui a volte ha documentato i tour negli USA, in Europa e in Giappone. Attualmente vive e resiste a Berlino.