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Unconventional Berlin Diary: la mia vita a Bersarinplatz

bersarinplatz photo
Photo by JudithTB

Ci siamo definitivamente trasferiti nella nostra nuova casa, a Bersarinplatz. La cucina è così grande che al mattino vaghiamo da un punto all’altro della stanza anche se non ne abbiamo bisogno e ci parliamo ad alta voce anche se il mio chitarrista, che normalmente si alza dopo tutti gli altri, sta ancora dormendo. Povera anima. Quando vivevamo a Mierendorffplatz la cucina aveva le dimensioni di una scatola di fiammiferi e per due anni ho fatto colazione all’alba praticamente a ridosso della sua camera da letto, convinta di essere silenziosissima ma in realtà bisbigliando concitatamente con l’altra coinquilina sulle frequenze degli assassini dei film di Dario Argento, quando camuffano la voce.

Dopo il trasloco abbiamo festeggiato con vino rosso e pizza e mi è piaciuto vedere la neve cadere fitta su un paesaggio diverso, il mattino seguente. È l’odore, il sapore e il nitore della novità, è la bellezza di ogni alba, anche quella di un giorno qualunque, è Friedrichshain e il suo fermento, le due cupole di Frankfurter Tor, i negozi e i caffè sotto casa ed è anche la mia vita, diventata oggettivamente un po’ più facile. Di certo non rimpiango i tempi in cui mi avventuravo fino all’estrema periferia di Berlino, dove il buio e il gelo si stendevano su deserti extraurbani interrotti solo da case isolate e imponenti. E dalla musica che ascoltavo incessantemente, per anestetizzare la fatica.

Per il resto gli scatoloni sono stati quasi tutti svuotati, la lavatrice è in funzione e la lavastoviglie attende un pezzo di ricambio che abbiamo perso in casa e mai più trovato. Il frigorifero era di un ragazzo che probabilmente viveva in condizioni igieniche alto-medievali, considerando la quantità di sporcizia che mi è toccato scrostare per più di un’ora, alternando disinfettanti e imprecazioni di medio calibro. Il tipo è anche simpatico e gentile, sta lasciando Berlino e gli abbiamo comprato volentieri circa 150 euro di roba, ma non immaginavo che nel pacchetto fosse incluso anche il colera. Mi chiedo che tipo di vita si possa condurre con il demone della putrefazione nel frigo e probabilmente qualcosa di peggio nel water.

Ricordo ancora con orrore una casa di Dorfen in cui andai a dormire dopo una gig. Era grandissima, bellissima e completamente devastata dai suoi occupanti. Nel piatto doccia c’era una specie di limo nero incrostato, che ricopriva anche il lavandino. Sulla moquette di tutte le stanze resti di vino, cenere di sigaretta e mucchi di panni sporchi. Per terra persone ubriache o addormentate o altro. Cercai di prendere sonno in una stanza che puzzava in modo nauseante, chiusa in un sacco a pelo che mi faceva somigliare a Kenny McCormick di South Park. Il giorno dopo un membro della mia line-up ebbe il coraggio di entrare nella doccia in cui personalmente non avrei neanche vomitato. Il mondo non è bello, però è vario.

Ho deciso di adottare la concezione giapponese del vuoto come elemento di arredamento. Nella mia stanza voglio solo un letto, il tavolino nero comprato per cinquanta centesimi e un armadio stretto e lungo per mutande, calzini e maglioni uguali da afferrare alla cieca, quando al mattino salto fuori dal mio pigiama di Batman. Il mio supereroe preferito resta Spiderman, ma non credo che starei bene vestita di rosso e blu.

batman
© Depopp

Voglio procurarmi una stampa Ukiyo-e, passare l’aspirapolvere almeno una volta a settimana e liberarmi di tutto quello in cui continuo a inciampare e che appesantisce la mia vita, già piena di sfumature avvilenti che virano dal viola Kierkegaard al nero Haneke.

Meno persone, meno cose, meno dolore.

Intanto esploro il quartiere. Qualche giorno fa sono stata nel grandissimo negozio di Humana che si trova proprio a due passi da casa, quattro piani di acari molesti e usato vintage. Alla seconda rampa di scale ha cominciato a prudermi il naso e mi sono sentita in gola un’orda barbarica di allergeni incazzati. Nel reparto musica, dvd e oggetti vari ho incontrato la classica punk con cane al guinzaglio e due bizzarre transessuali di mezza età, una molto alta, l’altra con i probabili segni di una rinoplastica recente. Entrambe erano intente a provarsi cappelli strani tra uniformi e tazzine della DDR ed entrambe avevano stile.

“The style it takes”, avrebbe detto Lou Reed.

Photo by gaudiramone

♠ Colonna sonora: “Occhiali scuri al mattino”–Santo Niente♠

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Lucia Conti

lucoLucia Conti ha collaborato con diverse webzines, curando rubriche di arte, cinema, musica, letteratura e interviste. Per “Il Mitte” ha già intervistato, tra gli altri, due sopravvissuti ad Auschwitz-Birkenau e Buchenwald e ha curato un approfondimento sull’era della DDR, raccogliendo testimonianze di scrittori, giornalisti, operatori radiofonici e musicisti. Ama visitare mostre e chiese in tutta Europa, con una particolare predilezione per Bruegel, Van Gogh e Caravaggio e per l’architettura gotica. Tra i registi apprezza in modo particolare Bergman, Wiene, Kitano, Fellini e Lars von Trier e adora l’ultimo Polanski. Per quanto riguarda la letteratura ha una vera ossessione per Kafka e in particolare per “La metamorfosi”, che ama rileggere a cadenza regolare e che produce su di lei uno stranissimo effetto calmante. Privatamente scrive cose che poi distrugge. Con il nome d’arte di Lucia Rehab è frontwoman della band Betty Poison, di cui a volte ha documentato i tour negli USA, in Europa e in Giappone. Attualmente vive e resiste a Berlino.

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