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Poesie di un’anima sfitta a Berlino

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Photo by Skley

Giulia ha fatto sei mesi di Erasmus a Berlino. A marzo di due anni fa torna in Italia. Ora è in procinto di laurearsi in Filosofia. Di quei mesi si è portata dietro molto, una passione sfrenata per questa città. Esperienze ed impressioni che sono diventate delle poesie.

Qualche giorno fa Giulia, in preda alla nostalgia, le ha inviate alla nostra redazione, invitandoci a pubblicarle. Noi le abbiamo lette e le abbiamo trovate molto belle, sicuramente degne di essere regalate ai nostri lettori. 

Grazie Giulia.

di Giulia Trobbiani

“Ogni sera prendevo la metro, mi sedevo fiaccamente vicino al finestrino ed iniziavo a dialogare con gli occhi della gente, respirando quei visi scuciti di cui sono piene le grandi città.”

 

Berlino

 

Oggi una poesia. Oggi un sussulto di nervi.

Oggi i crini delle case e le chiome degli alberi

ridevano

           di chi ha in petto un cuore

                             e

se lo porta appresso per la città com’avesse

un ciondolo,

                  con lo sportellino automatico

da     bomba     a     mano      jazz.

Improvvisa il ciondolo  

è spettro e ebbrezza e malcontento,

è            rototom         –       cascate di rubini e di velluto.

 

Oggi un oggi d’arcate e sampietrini

abbacinati e vinti dal denudarsi degli alberi,

perché anche qui

                    (tra queste mura fratricide e materne)

sussurrano di amen,

                                       brindano al mistero

ed i figli crescono            –             scivolando

nel parco giochi delle loro vene.

 

Qui, dove né arcate né grattacieli,

né tanto meno mattoni ematici

di vecchie fabbriche dismesse

              valgono

il fremito degli alberi,

lo sdrucciolio

                  di sguardi

fra il mondo dei passanti e

                 di chi vuol

veder passare.

 

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Photo by zoetnet

U-Bhan

 

Su un vagone della metro quella vecchina

sprofondata nella sua pelle d’avanzo, quella vecchina

che sbruffa e inclina la testa come i cani, quella vecchina

che sulla sua stampella d’un grigio livido

suona Schubert ad una platea di molecole e

se ne va tra gli applausi

delle porte automatiche.

Io l’ho sentita.

 

Unter den linden

 

Nel pertugio dell’esistenza

vivono i senzatetto, i figli

della ressa di sguardi che volgono

dall’altra parte, gli abitanti dei tigli.

Pensateci, quando vi troverete

nei flutti del vostro letto,

c’è chi sciaborda in superficie

come un ramoscello sciancato,

caduto troppo presto

nel ruscello maledetto

di chi non ha nutrice,

di chi non ha radice.

 

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Berlin 4 a.m.

 

L’afrore dei muri,         l’eco

d’un Miles Davis qualunque che

ti insegue fino all’ultimo vagone della metro,

la scomposta babilonia di lingue

agli angoli delle strade,

due uomini stretti in un convulso amore,

il fioco vivere dei lampioni, la vita

raggrumata sotto un ponte,

sciabolata dal vento,

aggrappata al valore

d’una bottiglia vuota

(otto centesimi)

una bicicletta che

sfreccia sul selciato

sotto stelle intirizzite dal freddo.

 

Non è affar da tutti l’eternità,

né qui si auspica.

Ama questa città

chi gradisce

la temporanea persistenza

del nascere e morire,

chi sa osservare la capacità

che hanno le cose di deteriorarsi  

                                e infine,

chi ha qualche senso di colpa

da gettare, come monetine in Trevi,

nelle abissali piaghe della storia.

 

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