Dall’Italia ad Hollywood via Berlino. Intervista ad Alessandro Riccardi e Viviana Panfili

di Lucia Conti

Alessandro Riccardi è uno scrittore, sceneggiatore e regista. Tra il 2011 e il 2012 produce il cortometraggio “Il Sospetto”, con Massimo Dapporto e il corto “Margerita” con Moni Ovadia. “Margerita” è un successo internazionale, in Italia i diritti antenna vengono venduti alla Universal e nel resto del mondo il corto è distribuito dalla Interfilm di Berlino. Nel 2013 realizza una serie di documentari per Raidue. Nel 2014 scrive e produce “Janara”, uscito nelle sale italiane nel 2015. Sempre nel 2015 approda ad Hollywood con la sceneggiatura di “Four Towers”, attualmente in produzione. Il film sarà interpretato da Steven Seagal e Rutger Hauer.
Ha pubblicato tre romanzi e diversi racconti.
Dal 2007 lavora in team con la moglie Viviana Panfili, architetto/scenografo, produttrice e videomaker con cui ha fondato IMAGO, azienda di produzione cinematografica e di audiovisivi.
Viviana viene dal teatro e attualmente si divide tra la produzione cinemagorafica, la scenografia e la promozione pubblicitaria. L’ultimo corto che ha firmato come scenografa ha la fotografia di Daniele Ciprì.

foto Ale 1

Siete in partenza per la Berlinale. Lavoro o piacere?

A: In realtà entrambe le cose! Il viaggio ufficialmente è di lavoro, abbiamo degli appuntamenti allo EFM (European Film Market) per dei progetti a cui stiamo lavorando, ma ogni volta che siamo fuori (in particolare a Berlino) riusciamo sempre a trovare dei momenti di piacere. Potremmo dire che così siamo riusciti a sopravvivere ai primi 3 anni in cui abbiamo aperto IMAGO, dove non ci siamo presi neanche un giorno di riposo. Ritagliavamo il “relax” durante i viaggi di lavoro.

V: aggiungerei che è uno dei privilegi e delle maledizioni di questo lavoro così atipico e totalizzante.

Conoscete Berlino? E ci avete già lavorato?

A: Tutti gli anni torniamo a Berlino per la Berlinale, è un momento importante per noi, che seguiamo con grande attenzione.
Nel 2014 abbiamo girato un documentario a Berlino, un lavoro poi acquistato da RaiDue, che faceva parte di una piccola serie di documentari che abbiamo girato in Germania, raccontando storie di rapporti uomo/animale. Quello girato a Berlino era incentrato sul rapporti con i cani, dalle passeggiate “culturali”, al ristorante dedicato, fino ai giochi di società. È stato davvero divertente.

V: Lavorammo in collaborazione con VisitBerlin, che si occupò della logistica e ci fornì consulenza su alcuni contenuti. Furono molto disponibili e cooperativi.

Cosa vi piace di questa città?

A: Mi piace l’aria che si respira. Faccio un po’ fatica a spiegarlo a parole, ma percepisco una sensazione di benessere andando in giro per Berlino. Il primo giorno che l’ho vista, non mi è piaciuta. Chissà cosa mi aspettavo. Ma già il giorno seguente ha cominciato a scavarsi un posto di riguardo nel mio cuore. Amo l’internazionalità che si vive realmente per strada, amo il modo in cui da straniero sono stato accolto, e amo quello che si è fatto e si sta facendo per rendere unita una città che è stata divisa per tanti anni.

V: Da laureata in architettura avevo sempre avuto il desiderio di visitare Berlino e le molte architetture studiate negli anni, una tra e più di tutte il Museo Ebraico di Libeskind, che non solo non ha deluso le aspettative, è stata un’esperienza coinvolgente che difficilmente si sbiadirà.
Architetture a parte mi ha sorpreso e conquistato la vivacità di una metropoli che corre molto più di altre verso la contemporaneità.

L’anno scorso è uscito nelle sale italiane il vostro “Janara”. Ci parlate del film?

A: La “Janara” è più conosciuta come la Strega di Benevento. E’ un personaggio della tradizione e del folclore campano, molto sentito e temuto, ancora oggi.
Incontrammo il regista, Roberto Bontà Polito, a settembre del 2013 e ci propose il soggetto del film, andando a prendere a piene mani dalla leggenda della Janara. Insieme anche a Gianluca Varriale, anche lui socio di Vargo, capimmo che era proprio quello che stavamo cercando per la realizzazione del nostro primo film, così comprammo il soggetto ed io scrissi la sceneggiatura insieme a Brando Currarini.

V: È stata un’avventura incredibile e un po’ folle, come tutte le cose nuove che partono… se ci stai troppo a pensare, alla fine trovi tanti buoni motivi per non farle. In questi casi un pizzico di sana incoscienza aiuta!

foto Vivi

Siete un team molto affiatato. Come vi dividete i compiti e come “funzionate”?

A: Viviana pensa all’uovo oggi, io alla gallina domani. Abbiamo sempre fatto così e fino ad ora ci siamo trovati bene. Viviana è bravissima nell’operatività, nei rapporti con i clienti e nel seguire i lavori dalla creatività al montaggio. Io invece funziono meglio nella fase progettuale, nell’organizzare e pensare alla visione più ampia.
Sono contento di poter dire che dal 2007 ad oggi siamo cresciuti ogni anno, nonostante la crisi.

V: Diciamo che lui è il vero produttore, riesce ad essere sempre un passo oltre. Da quando è nata VARGO e abbiamo iniziato la produzione cinematografica io mi occupo di più di IMAGO, che è il marchio che lavora nel settore business (pubblicità, corporate, campagne), e dei documentari che produciamo con VARGO. Quando siamo entrambi dietro la macchina da presa, o in fase di creazione dei progetti, ognuno fa prevalere il suo campo di maggiore esperienza. Lui nasce scrittore, io nasco architetto/scenografa, lui racconta una storia, io visualizzo l’immagine a cui tendere. E ovviamente prima di raggiungere un risultato ci scontriamo sempre, ma così evitiamo di farlo nella vita privata… o quasi.

Lavorate a un ottimo livello, sia in Italia che all’estero. Secondo la vostra esperienza quali sono i pregi e i difetti del cinema italiano?

A: Il discorso sarebbe molto lungo, per cui prendo solo due punti:
Abbiamo il grande pregio di avere tecnici di altissimo livello, gente che altre produzioni del mondo ci invidia, per cui i nostri film hanno spesso un livello tecnico molto alto, mantenendo un budget relativamente ridotto. A mio modo di vedere, gli americani hanno bisogno di qualche milione in più di budget rispetto a noi, per raggiungere lo stesso risultato.
Un difetto importante che vedo è la mancanza di considerazione nei confronti del pubblico, soprattutto quello internazionale. Molti autori e produttori italiani pensano a raccontare storie che non hanno un respiro (e quindi un mercato) internazionale, e interessano una fascia di persone piuttosto limitata. Come se la scelta fosse solo tra le commedie e i film impegnati, quando invece esistono bellissime altre strade.
Gli americani fanno film per il mondo, noi li facciamo per noi stessi. E questa mentalità non aiuta nel cercare di creare un’industria cinematografica nel nostro paese, né soprattutto per rendere florido il mercato.

V: Penso che spesso in Italia manchi la cura per il dettaglio, ci si accontenta che il film sia originale nel plot, o con buoni attori, o con un buon ritmo, ma se qualcosa possiamo invidiare al cinema americano è proprio che i film raramente inciampano, possono non piacere come gusto, ma sono talmente studiati a tavolino nei minimi dettagli che scorrono senza intoppi.
Sul piano generale, però, siamo in grado di rappresentare sogni ed emozioni molto meglio di come avviene nel cinema di tanti altri paesi del mondo.

Com’è andata ad Hollywood?

A: Nella lavorazione di “Janara” abbiamo avuto la fortuna che Gianni Capaldi, un attore e producer di Hollywood, si interessasse al film e decidesse di venire in Italia per lavorare con noi, interpretando il ruolo di Don Andrea, il parroco del paese dalle origini americane.
Con Gianni è nata una bella amicizia ed è stato grazie a lui che ho potuto presentare la storia che avevo scritto a dei distributori, riuscendo a strappare un loro interesse.
Avremmo dovuto produrre il film in Italia, ci stavamo lavorando ma a poco più di un mese dalle riprese, ho avuto un brutto incidente che mi ha costretto a letto per un bel po’, per cui è stato tutto rimandato. Nel frattempo è scesa in campo un’altra società di produzione, capitanata da un producer premio Oscar, che ha acquistato i diritti sulla sceneggiatura e sta lavorando alla produzione del film.

V: ho lasciato un pezzetto di cuore in quella sceneggiatura di cui avrei dovuto firmare la Scenografia, ho lavorato per più di un mese col regista e co-sceneggiatore James Coyne, definito dettagli e sviluppato progetti, poi la disavventura dell’incidente e ovviamente l’ordine di priorità che cambia di colpo.

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Alessandro, sta per uscire il tuo nuovo libro. Di che si tratta?

A: È un thriller a due voci. Leonardo è un giornalista di Repubblica, ossessionato dalla sparizione del suo primo amore avvenuta vent’anni prima. Federica è una archeologa, reinventatasi guida turistica, che cerca a tutti i costi di fuggire dal proprio passato, fatto di violenze e abusi. I due si imbarcheranno in un’avventura che li porterà in un luogo che somiglia fin troppo all’inferno.
Ho scritto questa storia tre anni fa, e purtroppo devo dire che il personaggio di Federica non l’ho inventato, ma ho raccontato (romanzandola) l’inquietante storia di una persona che ho conosciuto realmente. Ogni volta che mi avvicino all’argomento delle violenze in famiglia, resto sempre sorpreso di quanto il problema sia diffuso.
La mia editrice è convinta che questo libro piacerà molto ai lettori. Devo dire che mi sento molto fiducioso anche io.

A cosa state lavorando, al momento?

A: In questi mesi stiamo producendo ben quattro documentari, uno dei quali andremo a girarlo in Scozia. Di questi, gran parte della produzione è in carico a Viviana. Io sto seguendo invece la realizzazione di due film, uno da girare questa estate e l’altro nel 2017, ancora una volta incentrati su dei “mostri” della tradizione popolare italiana.
Sono progetti che gireremo in lingua inglese e vi parteciperanno attori di fama internazionale. Per adesso preferisco non dire di più.

V: peccato, stavo per spoilerare il finale di entrambi ma mi astengo!

Al di fuori del lavoro, come semplici “appassionati”, cosa vi piace guardare e leggere?

A: Come film, io sono un amante del thriller e dell’horror non splatter. Mi piacciono le storie che tengono alta la tensione. Ma non disdegno anche le commedie o i drammi. Il mio sceneggiatore preferito in questo momento è Aaron Sorkin (“Steve Jobs”, “The Social Network”, “The Newsroom” …).
Inoltre amo molto i documentari, soprattutto quelli storici.
Riguardo ai libri, leggo molti thriller e gialli, ma mi piace spaziare tra i generi. Uno dei miei autori preferiti è Stephen King, mentre tra gli italiani Gianrico Carofiglio, Eraldo Baldini e Sandro Veronesi.
Di recente ho molto apprezzato la trilogia del millennio, di Ken Follett. Tutti e tre i libri in gran parte sono ambientati a Berlino, tra l’altro.

V: io sono una oculata divoratrice di serie tv, da “Lost” in poi sono stata conquistata dalla lunga serialità, quella fatta bene, marcata USA ed Europa. Spazio tra i generi, amo i plot intensi ma che lasciano sempre spazio all’ironia, anche molto molto amara. L’ultima che mi ha catturato è “Orange is the new black”, ma confesso che alla fine di una giornata di lavoro guardo anche volentieri “Modern Family”. Dalla nascita di nostra figlia la mia frequenza come lettrice è drasticamente diminuita e da una breve indagine tra le mie conoscenze è un fenomeno molto comune, certo, non per giustificarmi…

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