Bertolt Brecht, il poeta di Germania
di Eleonora Massa
È indiscutibile che la fama di Bertolt Brecht sia legata a doppio filo alla sua produzione teatrale. “L’Opera da tre soldi” (Die Dreigroschenoper, 1928) è forse il segno per eccellenza della trama tessuta sul palcoscenico dallo scrittore di Augusta: Bertolt Brecht e Mackie Messer, Bertolt Brecht e i “rispettabili criminali” dei bassifondi londinesi, Bertolt Brecht e i “rispettabili” – proprietari, imprenditori, borghesi – che per effetto implacabile della tecnica dello straniamento, (Verfremdungstechnick), allora, sono anch’essi – innanzitutto – dei “criminali”: il teatro come luogo eletto della critica sociale, della parodia culturale, come il luogo del Brecht politico.
Eppure il legame che lega l’autore alla scena travalica l’ambito meramente professionale, e si fa allora legame intimo, personale, fisico.
Dalla casa al numero 125 della Chaussestraße, in cui Brecht abitò al ritorno dall’esilio, la Berliner Ensemble la si fiuta in linea d’aria: sulla piazza a lui stesso intitolata, di fronte la Spree, controllata a vista dalla Torre della Televisione. Come se, in fondo, Bertolt Brecht vivesse a teatro.
Ma quando lo spettacolo termina, quando il proscenio si zittisce, quando le quinte si svuotano, allora è lì che si svela “l’altra metà del cielo”: quella del Brecht poeta.
Non una parte secondaria, accessoria, marginale dell’opera dell’autore: la lirica è in Brecht componente altrettanto preziosa, feconda, inesauribile del suo valore artistico: basti pensare che egli ha scritto poesie durante tutto l’arco della sua vita.
Tra il Brecht drammaturgo e il Brecht poeta, così, non vi è cesura: al contrario, vi è un dialogo costante.
Inizialmente i versi possono essere compresi come una chiara prosecuzione della militanza politica dello scrittore: tra le “Poesie di Svendborg” (Svendborger Gedichte) (1939), ad esempio, si leggono alcune tra le note più alte del suo impegno antifascista e antimilitarista. Mentre “Sul muro c’era scritto col gesso” (Auf der Mauer stand mit Kreide): «vogliono la guerra», ma «Chi l’ha scritto è già caduto», “l’Imbianchino” (Der Anstreicher) – leggi il cancelliere Adolf Hitler – “parla di grandi tempi avvenire” in cui «Le foreste crescono ancora. […] Le città ci sono ancora. Gli uomini respirano ancora».
Si legge de “Il rogo dei libri” (Die Bücherverbrennung), ancora, nelle Poesie di Svendborg: dei volumi accusati di contraddire lo spirito nazionalsocialista, e pertanto arsi il 10 Maggio 1933 all’Opernplatz (oggi Bebelplatz), tra cui figuravano anche quelli firmati da Bertolt Brecht. Al rogo egli poté assistere solo da lontano: già nel febbraio dello stesso anno, infatti, era a tutti gli effetti un esule; una tematizzazione in chiave storica della sua nuova condizione personale viene offerta in “Visita ai poeti in esilio”(Besuch bei den verbrannten Dichtern).
Ma l’interesse della lirica brechtiana si sospinge oltre, a toccare le corde di un Brecht sorprendentemente “apolitico” o “spoliticizzato”.
Tuttavia, forse, solo apparentemente.
I “Piaceri” (Vergnügungen) di cui parla in uno dei testi scritti tra il 1947 e il 1956, sembrano un ritratto ben riuscito di un certo “socialismo quotidiano”, al riparo dalla prima linea politica. Tra questi:
Il primo sguardo dalla finestra il mattino
il vecchio libro ritrovato
volti entusiasti
neve, il mutare delle stagioni
[…]
la dialettica
[…]
scarpe comode
capire
[…]
scrivere, piantare
viaggiare
[…]
essere gentili.
Se nella “Santa Giovanna dei Macelli“ (Die Heilige Johanna der Schlachthöfe) si consuma l’attacco scenico alla subdola alleanza tra il capitalismo e la chiesa, nel “Libro di devozioni domestiche” (Hauspostille) (1927) si compie in versi lo sberleffo brechtiano al moralismo clericale: si va allora dalla sacralizzazione dei piaceri corporali, come in “Delle ragazze sedotte” (Von den verführten Mädchen), alla riabilitazione degli esclusi dall’ortodossia religiosa, come i ladri e i lussuriosi della Ballata di Hanna Cash (Die Ballade von der Hanna Cash).
Finalmente, la lirica ci restituisce l’”uomo Brecht” caratterizzato da quel suo gusto innato per l’insipido, il frugale, il dimesso – ma si potrebbe dire ancora e nuovamente caratterizzato da quel suo insito “essere socialista”: un Brecht che celebra tra «le più nobili forme» «I bacili di rame ammaccati, appiattiti sugli orli, le forchette e i coltelli dai manici di legno che molte mani hanno logorato» (“Tra tutte le opere”/Von allen Werken); un Brecht “contento di mangiare la sua parte di carne” (“Contento di mangiare la mia parte di carne”/Fröhlich vom Fleisch zu essen).
Forse in modo davvero sorprendente, la poesia ci tramanda un Brecht che scrive d’amore.
Poche parole – le si conta sulla punta delle dita – che possono pesare come pietre.
In “Debolezze” (Schwächen) osserva:
Tu non ne avevi.
Io ne avevo una:
amavo.
Anche quando è il momento di scrivere il proprio testamento, Bertolt Brecht fa parlare i propri versi. Lascia detto “Non mi serve una lapide” (Ich benötige keinen Grabstein):
[…] ma
se a voi ne serve una per me
vorrei che sopra stesse scritto:
Ha fatto delle proposte. Noi
le abbiamo accolte.
[…]
Se passate al Dorotheenstädtischer Friedhof – il cimitero al numero 126 della Chaussestraße, adiacente alla casa in cui Brecht morirà il 14 agosto 1956, a due passi dalla Berliner Ensemble – vi accorgerete che, grosso modo, gli hanno dato ragione.
Riferimenti bibliografici:
Le liriche citate in questo articolo sono raccolte, nell’originale in tedesco e nella traduzione italiana, nel volume:
- Bertolt Brecht. Poesie (1992). Torino, Einaudi.
Riferimenti essenziali ad alcuni degli aspetti qui affrontati sono nella “Premessa” (pp. V-VI) e nella “Nota introduttiva” (pp. VII-XXIV) al volume.
Per una più ampia introduzione e discussione dell’opera di Brecht si rimanda a:
- Mittner, L. (2002), Storia della letteratura tedesca. Vol. III/Tomo 2/Parte quinta: Dall’espressionismo al dodicennio nero (1907-45). Torino, Einaudi, pp. 1344-1409 (ed. or. 1971).
Bellissimo !!! Eleonora sei veramente forte! Baci e abbracci da zia Rita e zio Mario