Weihnachtsmarkt: quando l’atmosfera si riempie di George Michael
di Pseudonimo
Le bombe incendiarie al fosforo bianco pare che siano particolarmente nocive alla salute, ma non dimentichiamo l’effetto devastante che può avere sul nostro organismo un Weihnachtsmarkt, un mercatino natalizio.
EST. GIORNO – FINE NOVEMBRE – BERLINO
Degli operai si danno da fare per mettere su gli stand e i casotti in legno posticcio; si adoperano a disporre lucine variopinte; si affannano a disseminare qua e là segni tamarri dell’imminente avvento del Cristo; si industriano per allestire, in definitiva, uno dei luoghi artificiali in cui aumentano spaventosamente le possibilità di ascoltare Last Christmas degli Wham! in sottofondo.
Per quanto mi riguarda, non è una cosa da prendere sottogamba.
Dico sul serio: più gli anni passano, più percepisco questo cotonatissimo singolo anni ottanta come una minaccia concreta per il mio stato d’animo.
Last Christmas I gave you my heart
But the very next day you gave it away
This year to save me from tears
I’ll give it to someone special
Me ne rendo definitivamente conto un paio di giorni fa, per merito della mia compagna.
– Volevo vedere questo mercatino ad Heinrich-Heine-Strasse. C’è stata una mia amica e dice che è molto particolare; non ci trovi mica le porcate turistiche di Alexanderplatz.
Ovviamente ci andiamo l’indomani, nonostante io avessi un mezzo impegno col gastroenterologo per chiarire quella storia del tumore al colon di cui si parlava la settimana precedente.
Alla fine, tutto sommato, è bello avere una relazione di coppia.
Arriviamo intorno alle undici del mattino e, dopo un primo giro di ricognizione in cui esploriamo tutte le costellazioni possibili della bigiotteria artigianale, ci attardiamo insieme presso lo stand di un peruviano.
– Questo poncho è bellissimo. Sembra fatto apposta per mia sorella, vero?
– Già. Resta da stabilire se qualcuno lì nelle Ande abbia pensato a tua sorella mentre lo fabbricava o se i tuoi genitori pensavano a questo poncho mentre fabbricavano tua sorella.
In entrambi i casi, la compatibilità non è messa in discussione, dunque, dai, sbrigati e compralo.
– Sai che c’è? Non mi convince il colore.
E niente, la lascio lì a farsi corrompere moralmente dal peruviano e mi dirigo deciso verso un affollato carrozzone alla ricerca di un bratwurst.
Ed è proprio mentre penso a quanto sia bizzarro il fatto di non aver ancora sentito George Michael miagolare, che puntualmente vengo raggiunto e trafitto dal suo inconfondibile timbro vocale.
Last Christmas I gave you my heart
But the very next day you gave it away
This year to save me from tears
I’ll give it to someone special
Nello stesso istante un cinquantenne di Lipsia in fila con me decide di aggredirmi a livello narrativo.
Attraverso la lente deformante del suo eccessivo tasso alcolico, riesce ad interpretarmi dapprima genericamente come la persona giusta per intrattenere una conversazione qualunque, poi più specificamente come la persona giusta a cui raccontare di quella volta in cui ci provò con Ornella Muti al bar del Casinò di Montecarlo.
Per evitare di sembrare inospitale fingo interesse; poi per cambiare argomento, gli chiedo come mai si trova a Berlino. La melodia dannosa nel frattempo, si sviluppa.
Happy Christmas!
I wrapped it up and sent it
With a note saying “I love you”, I meant it
Now I know what a fool I’ve been
But if you kissed me now
I know you’d fool me again
Mi risponde che è qui per lavoro. Il che mi pare una buona motivazione non tanto per giungere nella capitale tedesca da Lipsia, ma piuttosto per tornare a produrre capitale e dunque smetterla di molestarmi. Specie adesso che George Michael si è preso nuovamente il lusso di ferirmi con la sua voce e i suoi bigodini, tutto questo mi sembra un’esigenza più che legittima.
Tell me baby, do you recognize me?
Well, it’s been a year, it doesn’t surprise me.
Last Christmas I gave you my heart
But the very next day you gave it away
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Al di là del trascurabile testo, che nemmeno sfiora i miei recettori del malumore, è la melodia di questa canzone ad accoltellarmi il carattere proustianamente.
Si spiega facile perché: è un pezzo del 1985, anno in cui io ne avevo sei e credevo ancora non tanto a Babbo Natale, ma al fatto che, solo per aver degnato il pianeta della mia presenza, tutti si sentissero in dovere di ringraziarmi portandomi in dono dei Playmobil.
E scusate se è poco, visto che col passar del tempo ho poi scoperto non solo di non aver fatto un favore a nessuno venendo al mondo, ma che piuttosto se guido in stato di ebbrezza la polizia municipale mi incula la patente.
Non so se si capisce tra le righe, ma qui il pensiero negativo supera persino quello leopardiano de La Ginestra; un componimento dove Madre Natura è sì indifferente alla nostra presenza, ma dove quantomeno i vigili urbani non sono stronzi e anzi, la confederazione degli umani è vista come unica ancora di salvezza.
Nonostante tutto però, la cosa che invero più mi infastidisce dell’intera faccenda è il fatto che a procurarmi questo disturbo filosofico della personalità sia George Michael, mica Dostoevskij.
Finalmente la mia compagna torna da me tutta soddisfatta dal colore del poncho appena acquistato: rosso vermiglio e giallo ocra, mi dice. Due cromie che non riesco ad identificare bene visto che non so cosa sono né il vermiglio né l’ocra.
Poi mi mostra degli articoli in puro tetano massiccio.
– Ho preso anche due paia di orecchini in un altra bancarella. Sono fatti con materiali di recupero.
– Ah, quindi co’ la monnezza.
Il tizio di Lipsia, sentendosi trascurato, esce temporaneamente di scena per ordinare il suo salsicciotto. Poi, prima di andare via, ficca la mano in tasca, tira fuori un bigliettino da visita e me lo consegna.
La mia ragazza mi chiede chi era quello lì ed io le rispondo leggendo didascalicamente:
– Un rappresentante di profumi e creme per il viso, a quanto pare.
Mentre ci allontaniamo e George Michael è ancora in loop all’interno della mia vita, con una certa malinconia mi chiedo dove saranno finite le speranze baldanzose e giovanili di quell’uomo di mezza età che ho appena incontrato. Mi rispondo che probabilmente sono finite nello stesso posto dove adesso si trovano le speranze baldanzose e giovanili mie e di chi in questo momento gestisce un negozio di bomboniere e articoli di nozze in centro a Pordenone.
– Sei stanco? Ti stai annoiando? Mi vuoi bene ancora anche se ho perso troppo tempo dal peruviano?
– No, non preoccuparti. Però, sai, adesso mi sembra il caso di andare. L’universo si sta dilatando e il mondo sta continuando a riscaldarsi globalmente e noi non dobbiamo farci trovare impreparati.
– Adoro le tue pillole di saggezza.
– Grazie. Comunque non sono pillole, semmai supposte.
*Pseudonimo*
Quando ero piccolo tutti avevano un sogno nel cassetto, e invece io ce l’avevo nel portaoggetti della Clio. In ogni caso non s’è ancora realizzato, quindi inutile parlarne. Vivo in questo pianeta da trentasei anni e a Berlino da circa quattro. Dal 2006 in poi ho peggiorato qualitativamente riviste su abbonamento (Progress, Progress Viaggi, All about Italy), webzine (Bazarweb, Fuoribusta), riviste settoriali (Cinemabendato, Wundergammer, Fermentobirra Magazine), cartacei satirici (Mamma) e testate nazionali (Il Fatto quotidiano). Nel 2009 la giuria specializzata del Premio Franco Solinas ha erroneamente giudicato interessante un mio trattamento cinematografico dal titolo “Guarda e passa”, segnalandolo altrettanto erroneamente ai produttori.
Per il Mitte curo la rubrica “Welche sauce?” dal sottotitolo giustamente poco pubblicizzato“Kebab e altri punti di vista fuorvianti su Berlino”
Utilizzo le residue energie vitali nel tentativo di elaborare una maldestra poetica fotografica (www.pietroromeo.net). Attualmente sono inoltre impegnato a vivere la biografia di un altro e a non accontentarmi di quello che ho.
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