Due gradi, anzi uno. Emergenza climatica mondiale
Ben più preoccupanti sono le prospettive a lungo termine.
Il 12 dicembre scorso si sono conclusi a Parigi i lavori della conferenza ONU sul clima, la CoP21 (Conferenza delle Parti), chiamata così perché da ventuno anni le Parti, cioè le nazioni partecipanti, si incontrano annualmente per fare il punto sui cambiamenti climatici. Quest’anno l’agenda era particolarmente importante e ambiziosa. Come base per la discussione i delegati nazionali avevano il quinto rapporto dell’IPCC, il Pannello Intergovernativo sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite, uscito nel 2014, sette anni dopo il precedente rapporto. L’IPCC è un organismo scientifico che ha iniziato ad operare nel 1988 e nel 2007 è stato insignito del premio Nobel per la pace. L’organismo si compone di tre gruppi di lavoro. Il primo studia i cambiamenti climatici, il secondo ne analizza gli impatti, ed i relativi rischi, sui sistemi naturali e umani, il terzo individua le misure da adottare per mitigarne le cause. I rapporti dell’IPCC, elaborati per la parte di propria competenza da ognuno dei suddetti gruppi di lavoro, forniscono la fotografia dettagliata dell’evoluzione del clima. Per questa ragione l’IPCC è il principale organo di consultazione a disposizione dei governi.
Secondo l’IPCC, l’aumento totale tra la media delle temperature nel periodo 1850 – 1900 e quella nel periodo 2003 – 2012 è stata 0.78 gradi centigradi. Il 1850 è stato l’anno in cui le misurazioni strumentali della temperatura superficiale della terra sono cominciate in modo sistematico. 0,78 gradi è un numero calcolato sulla base della serie storica di dati più lunga disponibile ed è il frutto di un gigantesco sistema di rilevamento e di analisi dei dati effettuato nei più potenti centri di calcolo dei cinque continenti. Questo numero è certamente cresciuto negli ultimi tre anni e pertanto va considerato come una stima per difetto.
La scelta dei livelli preindustriali come base di riferimento è chiara. Prima della rivoluzione industriale l’energia utilizzata per le attività umane era quasi esclusivamente naturale. Con la rivoluzione industriale si è cominciato a fare uso dei combustibili fossili, carbone in primis, e sono cominciate le emissioni di gas serra, ovvero dei gas che hanno aumentato l’effetto serra e, come conseguenza, il riscaldamento del pianeta. Il quinto rapporto dell’IPCC ha confermato che il riscaldamento globale è un fenomeno innegabile, la cui causa principale è rappresentata dalle emissioni di gas serra prodotte dalle attività umane, e che i suoi impatti sono visibili in tutti i continenti e negli oceani. Negli ultimi anni le emissioni sono aumentate più velocemente: tra il 1970 e il 2000 erano cresciute del 1.3% all’anno, dal 2000 al 2010 la crescita annuale è stata del 2.2%. Circa la metà delle emissioni accumulate dal 1750 al 2010 sono state prodotte negli ultimi 40 anni. Tra i principali “produttori” di gas serra figurano gli Stati Uniti, la Cina, la Russia e i paesi europei.