Unconventional Berlin Diary: malinconia, decadenza, prospettive
Wolfie ha visitato di nuovo la mia casa, la mia stanza e il mio letto. È rimasta qualche giorno, ha mangiato sano, ha recuperato un po’ di sonno, gli occhialini da nuoto che non aveva messo in valigia la volta precedente ed è tornata in Belgio, via Düsseldorf. In compenso mi ha lasciato una chitarra elettrica, una t-shirt con le maniche tagliate, due asciugamani e l’anello che continua a dimenticare ovunque e che un giorno perderà. Sarebbe il secondo, il primo è stato inghiottito dal nulla dopo una gig della sua band e non è mai più saltato fuori.
Prima che ripartisse ce ne siamo andate in un centro benessere arredato in stile mediorientale. Abbiamo goduto di temperature che sfioravano i cento gradi e nuotato, sia all’interno che all’aperto, mentre l’aria del pomeriggio si faceva scura e le lanterne del giardino si accendevano come in un film di Zhang Yimou. A un certo punto, mentre si dava lo slancio per immergersi, Wolfie mi ha assestato un calcio proprio sotto la clavicola. Mi sono tenuta a lungo al bordo della vasca, massaggiandomi, ansimando e imprecando in italiano. I piedi sono un’arma letale e a mio avviso i maestri di taekwondo sono i più saggi tra i filosofi della violenza. Ho dormito un po’ in una delle relaxing rooms e ho sognato poco e male, come sempre.
I miei sogni sono spesso saturi di ansia, noia e fastidio. Spesso non li ricordo neanche. Svegliandomi ho notato attraverso le vetrate un bellissimo albero contorto. Ho pensato ad “Alone in Kyoto” degli Air, ma ovviamente non ero a Kyoto, anche se un giorno ci tornerò.
Nella stessa giornata abbiamo visitato anche quello che sarà il nuovo appartamento di Wolfie, perché ha deciso di trasferirsi a Berlino. Gli attuali inquilini sono una coppia di ragazzi, uno dei quali romano. Con lui ho parlato solo ed esclusivamente in inglese. Gli ho detto di essere tornata a Roma l’estate scorsa e di averla trovata davvero peggiorata. In inglese lui mi ha dato ragione, sostenendo di trovarla più caotica e ingestibile che mai. Mi sentivo molto triste mentre affrontavamo l’argomento perché la bellezza arrogante di Roma è ancora tutta lì, ma sotto il livello della sporcizia, della confusione, del degrado e della corruzione, come un urlo sotto vetro. A luglio un mio amico, tornando a casa tardi, a Monteverde, a un tratto ha sentito una puzza che non è riuscito a spiegarsi. Mai avrebbe immaginato che l’odore insostenibile che avvertiva provenisse dal corpo di un uomo. Qualcuno lo aveva ucciso e infilato in un sacco della spazzatura, lasciandolo in mezzo alla strada, tra due macchine. É uno dei ricordi più recenti che ho di una delle città che amo di più al mondo: un amico che mi racconta di essere passato davanti a un cadavere senza saperlo.
Wolfie invece andrà a vivere a Jannowitzbrücke, in un palazzo lungo e stretto e con i muri pieni di scritte, tra cui “Fuck A.C.A.B.”. La casa è carina, dà su un cortile interno e questo significa che la luce naturale sarà praticamente inesistente e l’illuminazione verrà fornita da lampade “vecchio stile”. Wolfie ama molto i divani antichi, i candelabri e le vecchie foto almeno quanto odia i colori freddi, il design moderno e soprattutto, oltre ogni limite, i mobili dell’Ikea.
Non faccio fatica a immaginarla nel suo nuovo salotto, mentre suona la chitarra su una poltrona Luigi Filippo, la neve cade dietro le finestre chiuse, un sugo di peperoni cuoce lentamente e nel posacenere si consuma una sigaretta striminzita, rollata ripassando gli accordi a mente.
Non ho mai incontrato nessuno che fosse più bello di Wolfie, mai nella vita.
♠ Colonna sonora: “Alone in Kyoto”– Air♠
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=jC1tIfoYjwo]
Machete
Machete vive a Berlino dal 2013, in modo intelligente dal 2007 e in modo autoanalitico dal 2017.
Ama scrivere e girare il mondo e il suo più grande sogno è di poter combinare le due cose, un giorno. Ama anche la musica, il cinema, la letteratura e la serotonina.
A otto anni sperava che prima o poi qualcuno avrebbe inventato una pillola contro la morte.
Un po’ lo spera ancora.