Il sacrificio di Isacco. Una storia potente per una mostra interattiva

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di Nora Cavaccini

Tra i passi più controversi, violenti ed emotivi della Bibbia si annovera quello sul sacrificio di Isacco. La vicenda è raccontata nella Genesi (22,1-18), ma è presente anche nel Corano e nel Nuovo Testamento.

Vi si narra del patriarca Abramo che riceve da Dio l’ordine di sacrificargli il figlio che egli ardentemente ama. Abramo dovrà portare Isacco su un monte ed ucciderlo. Egli non fa domande. Conduce Isacco sul monte che Dio gli ha indicato, sfodera il pugnale e mentre sta per immolarlo viene fermato.

Certo della sua lealtà, Dio invia un angelo a interrompere il sacrificio, lasciando che, al posto di Isacco, sia ucciso invece un ariete.

Il passo è denso di significati: vi si affronta il tema del sacrificio, della fede tentata e messa alla prova; poi quello della misericordia di Dio. La vicenda è una delle più affascinati e dibattute, con interpretazioni teologiche spesso orientate a fare di Isacco una prefigurazione del sacrificio di Cristo.

A questa storia è anche dedicato lo straordinario allestimento multimediale curato da Saskia Boddeke e Peter Greenaway presso il Museo Ebraico di Berlino, in mostra fino al 15 novembre e dal titolo: “Gehorsam – Die Geschichte von Abraham, Isaak und Ismael” (Obbedienza – La storia di Abramo, Isacco e Ismaele)

Quindici stanze, per quindici momenti che scandiscono questo episodio, ricostruito attraverso immagini filmiche, oggetti (libri, quadri, miniature) e musica (a cura tra l’altro del compositore italiano Luca d’Alberto).

Un’opera multimediale, capace di coinvolgere i sensi, e che dà spazio a tutti i protagonisti: Abramo e Isacco ma anche il giovane Ismaele e Sara.

Se il punto di arrivo della mostra è controverso, l’esibizione è tuttavia molto bella e ha forse un altro merito.

Facciamo un passo indietro.

Nel suo famosissimo testo Mimesis, il filologo tedesco Erich Auerbach si è concentrato sui dettagli rappresentativi dell’episodio del sacrificio di Isacco mettendo in luce il fatto che, narrativamente, tutto è ridotto all’essenziale: Dio fa il suo ingresso “in scena” da altezze e profondità sconosciute. Non ci viene detto nulla. Da dove viene. Da dove parla.  Né sappiamo dove si trovi lo stesso Abramo quando Dio gli appare. L’unica certezza è la posizione di Abramo in rapporto al Dio che lo ha chiamato, ovvero “l’essere qui”, in attesa del suo comando.

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picture © alliance / dpa / Maurizio Gambarini

Il racconto in sé è piuttosto scarno; si svolge privo di digressioni poetiche.

Oggetti, persone, strade sono evocate senza epiteti; la vicenda mantiene tuttavia alta la tensione morale, concentrando l’attenzione solo sull’azione: l’orrenda prova cui Abramo è sottoposto.

Un modo di vedere, e di rappresentare, che per Auerbach è da mettere in stretta relazione con la concezione di Dio propria del popolo ebraico.

Senza entrare nel merito di queste disquisizioni, si può dire che Saskia Boddeke e Peter Greenaway compiano l’operazione opposta.

È evidente l’interesse per il potenziale drammatico della vicenda di Abramo e Isacco, che viene recuperato nell’ottica di una rappresentazione filmica.

Oggetti, installazioni e immagini contribuiscono a colmare i vuoti del testo scritto, che, come si diceva, offre pochi appigli alla fantasia descrittiva.

Così, stanza dopo stanza, si è portati quasi a toccare con mano di che fattura sono le ali dell’angelo che interviene a fermare il sacrificio. Si osserva la lama affilata del pugnale che Abramo fende nell’aria per colpire il figlio. Si cammina con lui per le radure, in una lenta danza; si posano i piedi sui sassi neri e incandescenti che sembrano attendere il peccatore nell’inferno. Si sosta, ancora, davanti all’urlo di Isacco immortalato dal Caravaggio e valorizzato da effetti tecnologici di luce.

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© Nora Cavaccini

Si toccano le zampe dell’ariete che prenderà il suo posto.

Forte di questi supporti, lo spettatore è portato dunque a visualizzare (e poi ad interiorizzare) la storia, la sua drammaticità. La componente emotiva ne esce  rafforzata e questo è il pregio principale della mostra, probabilmente l’aspetto più riuscito, là dove invece, quando si tenta di accennare alle implicazioni religiose, financo politiche di questo passo biblico, si scade un poco nell’approssimazione, data anche la complessità di certi temi.

A noi la libertà allora di pensare, invece, elaborare e trarre i nostri significati da una storia che, nel bene e nel male, come ogni storia potente, sfida i secoli e si lascia ancora interrogare.