Le moschee e l’integrazione dei musulmani in Germania
Lo scorso 3 ottobre circa 1000 moschee della Germania hanno aperto le proprie porte per la cosiddetta “giornata delle moschee aperte”. Al centro dell’attenzione, in quella occasione, sono stati soprattutto i giovani mussulmani, molti dei quali lavorano volontariamente all’interno delle comunità religiose a favore dei rifugiati. Lo scopo dell’iniziativa – che ha luogo dal 1997 nello stesso giorno dei festeggiamenti per la riunificazione tedesca per sottolineare lo stretto legame con la Germania – è quello di favorire la comprensione reciproca e la convivenza con la popolazione non mussulmana. Convegni, mostre e altri appuntamenti culturali hanno caratterizzato l’organizzazione della giornata. Le moschee, che in Germania sono circa 2400, sono considerate, da molti esperti, un ponte per l’inserimento dei mussulmani all’interno della società, specie in questo momento, per i numerosi rifugiati che stanno giungendo in suolo tedesco. L’Islam, in Germania, sta assumendo contorni profondamente differenti rispetto a quelli di solamente pochi anni fa: se, infatti, in precedenza l’Islam dominante in suolo tedesco era quello di estrazione turca (a tutt’oggi circa 2 milioni e 700 mila mussulmani sono di origine turca, mentre 1 milione e 300 mila circa sono di origine araba, albanese, bosniaca o ancora differente) oggi si può ragionevolmente prevedere che l’afflusso mensile di migliaia di siriani e iracheni – di cui molti sono mussulmani – potrà cambiare le percentuali di presenza in modo sostanziale. Di questa gente, anche a parere degli studiosi della materia, non si devono occupare solamente autorità pubbliche, chiese o organizzazioni di volontariato, ma anche le moschee: si tratta, ovviamente, in primo luogo di organizzare il pronto intervento (letti per dormire e pasti caldi) ma anche, in un secondo momento, di promuovere l’integrazione e fare da ponte per la trasmissione di valori della società tedesca (i mussulmani che sono nati o vivono da parecchi anni in Germania hanno aspettative e valori che sono sostanzialmente tedeschi, e quindi ben diversi da quelli dei rifugiati, da qualsiasi parte essi provengano).
La maggior parte delle moschee tedesche appartengono a organizzazioni turche; in esse la convivenza con i sunniti siriani o iracheni non dovrebbe essere problematica, pur se talune difficoltà di natura linguistica, con le preghiere che vengono dette in turco, potrebbero insorgere, mentre laddove viene parlato l’arabo, ad esempio nelle moschee marocchine, i problemi di integrazione linguistica per i rifugiati dovrebbero essere inferiori. Nelle sale da tè, che si trovano pressoché in ogni moschea tedesca, soprattutto gli uomini possono parlare tra di loro nella propria lingua materna, anche se le differenze esistenti tra i vari dialetti arabi in Nord-Africa e in vicino Oriente potrebbero essere un’ulteriore fonte di problema, perlomeno per quelle persone che non conoscono l’arabo standard, che funge solitamente da lingua franca. A prescindere dai problemi di natura linguistica (il rischio non è solo quello dell’isolamento all’interno della società tedesca, ma anche del frazionamento tra mussulmani provenienti da luoghi diversi che non si parlano tra di loro) una delle preoccupazioni maggiori è quella relativa al timore che i conflitti esistenti nelle terre di origine dei rifugiati possano essere portati anche all’interno delle moschee in Germania; tra i rifugiati ci sono infatti sunniti, sciiti, alaviti siriani e altre comunità, la cui presenza, poco alla volta, si fa sempre più sentire e le possibilità di conflitti tra loro aumentano.
Non per ultimo, infine le moschee avranno un significato decisivo nel tenere lontano i radicali salafiti, già peraltro attivi anche in suolo tedesco, cui si cercherà di impedire l’avvicinamento con mussulmani “nuovi” e “vecchi”.
Difficile prevedere che cosa accadrà nel futuro; negli anni passati l’integrazione dei turchi all’interno della società tedesca ha vissuto momenti molto difficili ma, per così dire, è sostanzialmente “riuscita”. Probabilmente, dipenderà, come spesso accade, dalla situazione economica e da come la società tedesca sarà in grado di distribuire il “benessere” anche a favore dei nuovi arrivati.
Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul blog di pavel chute.
PAVEL CHUTE è nato a Milano nel 1970. È laureato in Scienze Politiche e in Lingue e Letterature Straniere e ha vissuto a lungo in Inghilterra e in Germania (Berlino, Costanza, Colonia) dove ha studiato Africanologia. Lavora come traduttore e ha iniziato recentemente a scrivere racconti e brevi romanzi.
UNA FINESTRA SU BERLINO è una rubrica rivolta agli italiani che vivono in Germania e a coloro che sono interessati a questo paese, raccontato in modo oggettivo, senza schieramenti, riconoscendone per quanto possibile pregi e difetti. Il tutto con un linguaggio semplice, ma diretto.