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Unconventional Berlin Diary: dalla Deutsche Oper al Burgeramt. La tirannia del tempo

Ho ricevuto un biglietto omaggio per la “Turandot“. Lo spettacolo è stasera alla Deutsche Oper e non vedo l’ora. Adoro il Puccini più tetro e la Turandot riesce a coniugare la dolcezza delle arie più note con un impeto orchestrale duro come una grandinata, perfetto per il personaggio dell’inaccessibile principessa che rifiuta ogni uomo tuonando:”mai nessun m’avrà!“.

La prima volta che sono andata all’opera a Berlino davano il “Götterdämmerung” di Wagner alla Philarmonie, cinque ore che hanno stroncato diversi anziani nelle prime due file della platea. Io ero in balconata e potevo vederli dall’alto, mi hanno fatto moltissima tenerezza.
L’ultima volta invece è stato nel 2013, il giorno di capodanno. In quell’occasione Wolfie ed io siamo andate a vedere la “Bohème“. Abbiamo pianto moltissimo sul finale e bevuto del vino bianco. Poi ci siamo rinchiuse in casa e abbiamo cercato di ignorare il mondo più che in ogni altro giorno dell’anno. Abbiamo entrambe la stessa fobia del tempo e rifiutiamo tenacemente tutte le cerimonie sociali che lo scandiscono.

Wolfie mi ha raccontato che anni fa, sempre il trentuno dicembre, chiuse tutte le persiane e spostò tutti gli orologi prima di andare a dormire sperando di confondersi e poi dimenticare. Posso capirla perfettamente, trovo il “pánta rêi” di Eraclito più deprimente della filosofia di Søren Kierkegaard e della vita di Leopardi e non c’è niente che mi ricordi la morte più del movimento, qualunque esso sia, nello spazio, nel tempo, sempre.

Pochi giorni dopo quel concerto di Puccini una persona a me molto cara scoprì di essere molto malata e se ne andò quasi all’improvviso. Probabilmente covava la sua malattia da anni, come una stella che continua a brillare essendosi in realtà già estinta.

Un tempo flirtavo con l’idea dell’imbalsamazione, nel senso che dopo la morte mi sarebbe piaciuto farmi riempire di glicerina, formalina e sali di zinco come Rosalia Lombardo, la mummia più bella della cripta dei cappuccini di Palermo. Credo che anche questo abbia a che fare con il mio orrore per le mutazioni, anche se poi negli anni tendo a trasformarmi come un camaleonte e tutto questo è bizzarro e paradossale. Per esempio qualche giorno fa sono andata al Bürgeramt e mi è successo quello che ormai mi capita sempre, vale a dire ingenerare disagio in chi controlla la mia carta di identità. La foto è stata scattata dieci anni fa, quando avevo ancora i capelli lunghi, un altro viso e un altro stile, in poche parole ero un’altra persona. Questo giugno, in Scozia, ho quasi avuto problemi al banco dell’Immigration. Mi hanno fatto togliere gli occhiali, mi hanno osservata bene e alla fine mi hanno lasciata passare con il mio zaino sdrucito e la maglietta “made in jail” che forse avrei dovuto lasciare a casa. Più o meno la stessa solfa al Bürgeramt, mentre chiedevo un’estensione della mia Gewerbeschein.

Prima o poi cambierò questa benedetta foto e sarà finita, almeno per un po’. Almeno fino a quando il tempo non mi farà sentire di nuovo il suo fiato sul collo.

♠ Colonna sonora: “Where are we now?”– David Bowie♠

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Machete

Machete vive a Berlino dal 2013, in modo intelligente dal 2007 e in modo autoanalitico dal 2017.

Ama scrivere e girare il mondo e il suo più grande sogno è di poter combinare le due cose, un giorno. Ama anche la musica, il cinema, la letteratura e la serotonina.

A otto anni sperava che prima o poi qualcuno avrebbe inventato una pillola contro la morte.

Un po’ lo spera ancora.

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