Clubbing a Berlino? Come andare alla motorizzazione di Caserta

clubbing come canva pro
di Pseudonimo

Ad essere onesti, tocca ammettere che la mia presenza scenica non è di certo adeguata alla città in cui vivo: Berlino. La questione è piuttosto semplice: una grandissima percentuale di cittadini più o meno coetanei segue qui scrupolosamente l’avanguardia del gusto e, soprattutto, si presenta in pubblico con un look che lascia intendere un bagaglio di esperienze dissolute davvero significativo alle spalle. Io no; io piuttosto ho l’abitudine di decorarmi in modo da sembrare un concorrente della Ruota della Fortuna la cui esperienza più estrema vissuta è un risotto agli asparagi; fra l’altro banalmente assunto per via orale.

In sintesi: non rientro all’interno di alcuna categoria di alternativi, manco di sbieco in quella più moderata.

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Ora, fino a quando mi trovo al reparto formaggi del Kaiser, il problema non si pone mica: la città, in casi come questo, non mi fa di certo pesare il fatto che ancora, inspiegabilmente, non ho nemmeno un tatuaggio o un taglio di capelli da rockstar in riabilitazione.
Quando però tocca andare in un club berlinese, di quelli ad alto tasso di contemporaneità e stile, la faccenda cambia: mi trovo obbligato ad aggiungere al mio consueto aspetto un dettaglio in grado di depistare il prossimo e nascondere il fatto che probabilmente appartengo alla piccola borghesia italiana del secolo scorso.
Un paio di settimane fa, mi è toccato applicare al mio occhio sinistro delle ciglia finte ed ha funzionato: il personale all’ingresso mi ha fatto entrare senza sospettare minimamente che in realtà non sono affatto una persona interessante.

La selezione all’ingresso dei club esclusivi mi provoca sempre un certo disagio filosofico: cioè, siamo tutti concordi sul fatto che il nazismo sia stato una stronzata, ci affanniamo giorno per giorno a dimostrare empiricamente che Matteo Salvini dovrebbe smettere al più presto di essere se stesso e poi sottostiamo agli aleatori criteri di valutazione razziale di un buttafuori.
Non è coerente.
Queste considerazioni si rivelano attuali, specie in questo periodo storico; e si rivelano ancor più attuali quando realizzo che la tipa addetta al guardaroba suggerisce solo alla mia amica M. di spogliarsi e a me niente.

Ovviamente la prendo sul personale; anche perché ignudo, non di certo avrei migliorato l’arredamento genetico del posto, ma non credo che lo avrei deturpato di più del sessantenne che noto appena varcata la soglia di accesso al locale vero e proprio.
Questo tipo se ne sta seduto coi suoi capelli bianchissimi e cristologici su una poltrona in finto oro massiccio cercando di reinterpretare l’iconografia cattolica in chiave fetish. Indossa solo una specie di candelabro inguinale in latex di colore nero e si masturba con una noia operaia difficilmente riscontrabile anche in un addetto alle pulizie dell’aeroporto di Fiumicino.

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Ora, non amo di certo contraddirmi, specie su certi argomenti. Eppure mi tocca farlo: manco due minuti che siamo dentro e rivaluto la necessità di una selezione all’ingresso.
Colpa di due maschi anglofoni ben disposti a tampinare la mia amica M. attuando un approccio inattuale, ormai fuori catalogo.

“Sei bellissima”.

Battuta rompighiaccio che presuppone una scarsissima conoscenza del 2015 e che sottende un’assoluta sudditanza culturale alla mitopoiesi della cosiddetta fica.
Che poi, a parte tutto, anche per questioni di mera logica: che senso ha andare da una donna bellissima a dirle che è una donna bellissima?
Sarebbe come andare da un brizzolato a dirgli che è brizzolato. Come andare da un paraplegico a dirgli che è un paraplegico. O come andare da un pizzaiolo a dirgli che è un pizzaiolo. Superfluo.
La mia amica M. giustamente si allontana. Evade dalla situazione attuale dirigendosi in pista e preferendo – chissà come mai – limonare con una tipa dai connotati nordici.


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Gli anglofoni non la prendono come una sconfitta, ma come la conferma di essere finiti nel posto giusto nel momento giusto.
Wow. Qui donne bellissime limonano con altre donne bellissime.
Gasati dunque al massimo da questa promiscuità bellissima, lambiscono perciò un’altra donna limitrofa molestandola stavolta con un superlativo relativo.

Sei la donna più bella che abbia mai visto in vita mia.

Sarà pur aberrante il fatto che tra i messaggi preimpostati del Motorola puoi trovare “Ti amerò per sempre”, ma ritengo ancor più inconcepibile il fatto che all’interno di una persona che ha fatto quantomeno le scuole medie ci siano ancora frasi di questo genere.
Pure quest’altra, ovvio, si disperde nell’ambiente. Ma i due marpioni non si perdono d’animo e continuano a sfoderare una saggezza primitiva che abbassa il livello qualitativo della mia vita.
Parlano di “pussy” in un modo così rudimentale che non sarebbe necessario nemmeno utilizzare una grammatica di riferimento per strutturare il loro ordine di idee.

“Have you ever licked a pussy or fucked a bitch in a toilet?”

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Questi hanno il dono della parola, e pensare che ci sono sordomuti con tante di quelle idee interessanti in questo pianeta.
Che spreco. Che ingiustizia.
Mentre cerco uno snodo narrativo che possa liberarmi dalle grinfie di questa brutta sceneggiatura, mi rendo conto che la mia amica M. ha smesso di limonare con la tipa nordica e ha cominciato invece ad alleggerire il peso dell’esistenza di un uomo sulla quarantina, non particolarmente affascinante.
Cerco di congedarmi dirigendomi al bar per prendere un cocktail e col cazzo che ci riesco.
I due tipi anglofoni mi seguono. Vogliono offrirmi da bere.
A quanto pare, il solo fatto che io abbia un’amica dalle attitudini bisessuali sembra loro un motivo sufficiente per potermi incoronare a mito dionisiaco della serata, celebrando messa a mio suffragio con un Long Island.

Arrivati al bancone la conversazione diventa più strutturata. Io vorrei chiedergli se dalle loro parti hanno già scoperto il ferro e invece finisce che sono loro a rivelarmi di aver superato da un pezzo l’età dei metalli. Viene fuori che vivono a Bristol nella mia stessa era, che sono due produttori cinematografici, che Vin Diesel sul set è molto simpatico e che Canal Plus ha finanziato il loro ultimo lungometraggio con 500.000 sterline.
Tutte cose che mi torneranno di certo in mente quando sul letto di morte mi metterò a ripercorrere a ritroso tutte le cose significative della mia vita.
E niente, nemmeno l’alcol riesce a farmi dimenticare di aver vissuto gli ultimi venticinque minuti inutilmente. Anche perché poi, devo dirvelo, da sbronzo non acquisto poteri magici, né tantomeno riesco a trascendere le mie esperienze sensoriali. Non più di quanto farebbe Enzo Biagi da sobrio, almeno.
L’atmosfera rimane squallida, scadente, per niente eccitante. Presto però diventerà grottesca. E stavolta non è merito dei due cinematografari di Bristol, ma di ulteriori elementi della diegesi che a breve calcheranno questo palcoscenico.

Uno di questi è un giovane col capello lungo da metallaro che si smanetta in modo differente: chiudendo gli occhi; probabilmente per immaginare di essere in un luogo diverso da quello in cui ha appena scelto volontariamente di masturbarsi, pagando peraltro 20 euro. Una follia insomma.
Posso capire se ti trovi nel bagno di servizio a casa di nonna, con quelle mattonelle verdine e mal decorate che rendono tecnicamente impossibile l’erezione e allora sì, hai di certo la necessità di nuovi stimoli e tutto il diritto di chiudere gli occhi per dimenticare dove sei e sognare Mariangela Melato; ma se hai appena pagato un biglietto d’ingresso per usufruire visivamente di un immaginario in grado di stimolare adeguatamente la tua libido, che senso ha declinare l’invito che hai fatto a te stesso?
Nel frattempo, grandi notizie: il buttafuori ha beccato i cinematografari di Bristol a documentare la serata con una compattina della Panasonic e li ha scortesemente invitati a lasciare il locale, proprio mentre si riavvicina la mia amica M., sorridente e appagata dai suoi recenti riti tribali.

Mi prende sottobraccio e mi invita ad andare con lei a sbirciare la dark room, io le dico che va bene, ma aggiungo che non pensavo da quelle parti ce ne fosse una bright.
Giunti a destinazione notiamo entrambi che in questa differente porzione di pianeta terra gli abitanti interpretano con troppa enfasi teatrale il terzo principio della dinamica: ad ogni azione non fanno infatti corrispondere una reazione uguale e contraria, come teorizzato dal nostro simpatico Isaac Newton, quanto piuttosto una coreografia di Heather Parisi.

Una donna in particolare manifesta i suoi stati emotivi in maniera sproporzionata: qualcuno le struscia un frustino sulle natiche con delicatezza chirurgica e lei reagisce come se fosse stata appena avvisata di non aver passato per la terza volta consecutiva l’esame di filologia germanica. Praticamente, convulsioni.

Poco più in là due uomini ed una donna applicano il socialismo all’arte amatoria, condividendo i loro corpi senza alcun tipo di conflitto di potere né gerarchia. Poi però arriva un quarto elemento indesiderato e torna in auge il concetto di proprietà privata.
Costui cerca di superare la propria solitudine esistenziale appoggiando il suo membro sull’unica zona di lei non ancora coperta da affetto e calore umano: la spalla sinistra.
Ciò che succede dopo è davvero molto interessante.

Prendete una rissa scoppiata alla motorizzazione di Caserta, sportello rinnovo patenti, spogliate i partecipanti dei loro abiti civili, ficcateli in un anfratto nascosto di un club fetish e otterrete il beneficio di un’esperienza straniante davvero originale.
Insomma, non mi era mai capitato di assistere ad un tafferuglio nudista. E nemmeno di parteciparvi. Perché alla fine sì, finisco pure io nella mischia.
Qualcuno mi colpisce in faccia – non so quanto volontariamente – ed è così che mi ritrovo svenuto tra le braccia di un buttafuori in stile “La pietà” di Michelangelo, ma con le mie fidate ciglia posticce a rendere l’immagine un po’ meno rinascimentale e un po’ più inaccettabile.

Qualche tempo dopo, fuori dal locale, tento di riprendere abilità cognitive da un kebabbaro. Prendo un halloumi e una bottiglietta d’acqua e ritrovo vecchie inimicizie. I due cinematografari di Manchester.
Non capita tutto a me, giuro, certe cose capitano pure a voi, solo che forse non ci fate caso: la vita in fondo non è altro che un pretesto per scrivere racconti umoristici.

*Pseudonimo*

pseudoQuando ero piccolo tutti avevano un sogno nel cassetto, e invece io ce l’avevo nel portaoggetti della Clio. In ogni caso non s’è ancora realizzato, quindi inutile parlarne. Vivo in questo pianeta da trentacinque anni e a Berlino da circa tre. Dal 2006 in poi ho peggiorato qualitativamente riviste su abbonamento (Progress, Progress Viaggi, All about Italy), webzine (Bazarweb, Fuoribusta), riviste settoriali (Cinemabendato, Wundergammer), cartacei satirici (Mamma) e testate nazionali (Il Fatto quotidiano). Nel 2009 la giuria specializzata del Premio Franco Solinas ha erroneamente giudicato interessante un mio trattamento cinematografico dal titolo “Guarda e passa”, segnalandolo altrettanto erroneamente ai produttori.
Per il Mitte curo la rubrica “Welche sauce?” dal sottotitolo giustamente poco pubblicizzato “Kebab e altri punti di vista fuorvianti su Berlino”
Utilizzo le residue energie vitali nel tentativo di elaborare una maldestra poetica fotografica (www.pietroromeo.net). Attualmente sono inoltre impegnato a vivere la biografia di un altro e a non accontentarmi di quello che ho.