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Unconventional Berlin Diary: amo Berlino perché non ti punta gli occhi addosso

Mio cugino presenta un libro su Giorgio Napolitano a Fiuggi e lo accompagno con piacere insieme ai miei bambi-nipoti e a mio zio. Per le strade ci sono quasi solo anziane, siedono all’ombra degli alberi, passeggiano con cautela, quelle con qualche anno in meno ballano il liscio all’aperto. E non ce n’è una che non mi punti gli occhi addosso. Il motivo? I miei capelli e il mio aspetto.

Niente di che, solo un banalissimo taglio alla moicana e la scelta di vestire in total black, uno stile quasi da bancario, a Berlino, ma a quanto pare a Fiuggi è sufficiente a far sì che mi guardino tutte allibite. L’attenzione si impenna quando mi trovo a passeggiare solo con mia nipote e lì diventano quasi ostili, come se dovessero monitorare la situazione con più zelo. All’inizio mi viene da ridere, dopo un po’ mi innervosisco e mi ricordo una delle mille ragioni per cui mi sono trasferita.

Le strade di Berlino ti accolgono e non ti giudicano

Berlino è la città in cui l’FKK regna sovrana e nei parchi pubblici, quando fa caldo, c’è una discreta quota di nudisti che nessuno nota. È la città in cui il commesso dell’Apple Store ha le orecchie modificate come quelle di un elfo e in cui il cassiere del supermercato ha il viso tatuato.

È la città in cui puoi uscire scalzo, in pigiama, in cui gli uomini indossano le gonne senza sentirsi necessariamente femminili e in cui donne della stessa età delle anziane che a Fiuggi mi guardano come se fossi Mallory Knox si tingono i capelli di viola o di blu. È una città in cui si respira, in cui non ti si attacca lo sguardo della gente addosso. Per questo mi piace.

Cosa sono quelle palline per fare meglio la cacca?

L’apoteosi arriva quando mi fermo con mia nipote davanti a un’erboristeria e due signore mi indicano parlandosi furtive, ignare dell’esistenza di un cosa chiamata “visione periferica”. Poi si avvicinano e una delle due, probabilmente la più coraggiosa o la più curiosa, mi approccia con una manovra surreale. Indica un cesto pieno di misteriose palline marroni in vetrina e mi chiede a bruciapelo: “Cos’è esattamente?”. Sul cesto pende una targhetta su cui è scritto: agevola il transito intestinale.

Senza neanche ascoltare la mia risposta sulla cacca, ora che ha rotto il ghiaccio si lancia davvero e mi chiede perché porti i capelli così. Siamo approdati alla farsa.

Gli occhi addosso

Fa caldo, sono già stanca, quasi quasi cedo su tutto. Non per l’episodio di Fiuggi, ma per quello che è successo costantemente nell’Italia in cui sono cresciuta, per lunghissimi anni. Anni in cui è stato davvero faticoso esprimere gusti diversi o anche solo fare scelte estetiche percepite come “strane” rispetto al canone dominante. E non erano mica solo persone adulte o anziane a esercitare quel tipo di pressione, per carità! A volte le coetanee erano anche peggio. Era sistemico.

Forse hanno ragione loro, forse il “rockarollo” mi ha traviata, insieme alla letteratura eversiva, al cinema underground e alle graphic novel di Garth Ennis, ma magari sono ancora in tempo per rimediare e tornare in seno alla maggioranza. D’ora in poi prometto solennemente di farmi ricrescere i capelli, di indossare abiti pastello, di dare figli alla patria, soldi alla chiesa e di passare inosservata non per quello che sono, come a Berlino, ma per quello che posso arrivare a diventare se mi sforzo.

♠ Colonna sonora: “Sono come tu mi vuoi” – CCCP ♠

Machete

Machete vive a Berlino dal 2013, in modo intelligente dal 2007 e in modo autoanalitico dal 2017. Ama scrivere e girare il mondo e il suo più grande sogno è di poter combinare le due cose, un giorno. Ama anche la musica, il cinema, la letteratura e la serotonina. A otto anni sperava che prima o poi qualcuno avrebbe inventato una pillola contro la morte. Un po’ lo spera ancora.

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