AperturaWelche Sauce?

Berlino vista da una prospettiva Ryanair

Ryanair photo
Photo by The Integer Club

di Pseudonimo

Vabbé che sono un tipo egocentrico, ma per attirare l’attenzione di solito non mi servo di armi improprie, né tanto meno faccio ricorso a particolari attrezzature tecniche.
Non mi verrebbe mai in mente, per esempio, di passeggiare in aeroporto con una valigia della Disney.
Però l’ho fatto.
E’ venerdì scorso e sto trascinando verso il gate questo allegro bagaglio che sponsorizza in modo spudorato Topolino e in modo impreciso la mia visione del mondo.

– “I love Mickey Mouse” –

I passanti si voltano a guardarmi con stupore manco stessi trasportando Donatella Versace al guinzaglio.
A mia parziale discolpa, c’è da dire che nei giorni immediatamente precedenti alla partenza non sono riuscito a rimediare di meglio: l’alternativa era infatti un borsone Carpisa sì, ma fucsia; un colore che inganna le persone, facendo loro credere di essere un rosa che si è fatto un mazzo così per diventare più appariscente.
Tutto questo casino perché il mio buon vecchio trolley è venuto a mancare durante l’ultima battaglia di Bergamo Orio al Serio, in un corpo a corpo con un ladro di bagagli evidentemente non a conoscenza del fatto che il mio contenesse solo due chili di calzini sporchi e l’autobiografia di Piero Angela.

In alto, Pseudonimo evita di utilizzare particolari attrezature tecniche per attirare l'attenzione.
In alto, Pseudonimo evita di utilizzare particolari attrezzature tecniche per attirare l’attenzione.

Per chi ci tiene tanto a saperlo, comunque, sto andando a Bruxelles: una città che, tenendo fede alle opinioni lette su Tripadvisor, in quanto a pessima reputazione risulta seconda solo alle canzoni di Al Bano.
Ma la notizia peggiore delle 7 e 38 è un’altra: mentre sto seduto a leggere un capolavoro letterario in attesa dell’imbarco, tutto bello concentrato su un concetto particolarmente filosofico, mi si avvicina un Hare Krishna che manda così a puttane l’intero ragionamento di Federico Moccia.
Mi parla commosso e compassionevole, come se non si trovasse di fronte ad un individuo che compra libri brutti.

– Da quel po’ che vedo riesco a capire che c’è qualcosa che non va nella tua vita in questo momento.

La slot machine di risposte possibili a quest’affermazione un tantino spregiudicata, si ferma evidentemente su un tris di bestemmie, così certificando per la comunità europea il fatto che sono stronzo:

– Già, in questo momento c’è qualcosa che non va nella mia vita: la tua presenza.

Incredibile: millenni di evoluzione ed esiste ancora al mondo gente come me.
L’Hare Krishna se ne va, alla ricerca di un essere umano più sentimentale del sottoscritto, ma il suo ruolo di disturbatore viene adesso simpaticamente interpretato da una ragazza italiana che prende posto nei dintorni della mia vita per riempire il microfono del suo smartphone di riflessioni facoltative.
Chi ci sia dall’altra parte della cornetta poco importa: spero solo che sia in grado di trovare appagamento in cose diverse da questa conversazione.

E chi avrebbe mai detto che avrei rimpianto la presenza di mamme con neonato al seguito nel sedile passeggero accanto al mio.
Già, perché stavolta non solo sto in un volo Ryanair; non solo non ho il posto finestrino; ma c’è pure la tipa di prima seduta proprio accanto a me. Gomito a gomito.
E il fatto che non si possa usare il telefono in volo, che sia cioé vietato mandare in tilt con apparecchiature elettroniche i sistemi automatici di navigazione e portare il boeing a schiantarsi di conseguenza su un condominio, stavolta, non è cosa positiva: giacché evidentemente c’è un quantitativo stabilito di vocaboli che questa donna deve emettere in un’unità di tempo, ed è chiaro che se non può riversarli dentro uno smartphone, giustamente si trova costretta ad infilarli dentro il mio cervello, per tutta la durata del viaggio.
Si chiama Silvia. Ed è il motivo per cui i calci che la vecchia seduta dietro di me rivolge cortesemente al mio schienale, alla fin fine mi risultano quasi piacevoli.
La frase più pronunciata dagli esseri umani nell’ultimo decennio viene fuori già durante il decollo.

– Vivo a Berlino da quasi due anni. Adoro Berlino perché a Berlino tu puoi essere davvero quello che sei, puoi fare quello che vuoi e vestirti come ti pare, senza preoccuparti del giudizio altrui.

Conto sei tatuaggi, quattro piercing, due differenti quanto maldestre tonalità di azzurro nei suoi capelli e così misuro che, quanto a preoccupazione del giudizio altrui, la tipa deve ancora lavorare molto: troppi accorgimenti sintattici applicati al look per essere così poco interessata al parere del prossimo.
Cionondimeno comincia poco a poco a starmi incredibilmente simpatica, forse perché nella sua visione un po’ parziale delle cose, riscontro un coefficiente palpabile di genuinità. Merce rara, quasi preziosa, in un’epoca in cui dal fruttarolo trovi solo pomodori che non sanno di un cazzo.
Ed in effetti le rispondo con una certa dose di amicizia.

– Per quanto mi riguarda io ho sempre problemi ad essere quello che sono: che sia qui come a Piacenza. Però è anche vero che a Piacenza ci sono meno discoteche.

Silvia ride ed io la ricompenso fingendo reale interesse per le sue vicende personali.

– Che fai a Berlino?
– Io a Berlino? Cerco me stessa.
– Cosa? Cerchi te stessa?
– Sì, tu?
– No, io no. Ho smesso di cercarmi da quella volta in cui mi sono trovato ed ho scoperto di essere Martufello.

Silvia ride di nuovo. Poi attacca a parlare della sua vita sentimentale, un argomento che sempre più persone al mondo decidono di rendere pubblico a sconosciuti. Io per primo, sia chiaro.

– Sto con un ragazzo francese. Non è di Parigi, ma vive a Parigi da circa tre anni e fa l’artista visivo. Ci siamo conosciuti durante l’Erasmus.
– Ah. Beh. Uh. Oh. Mmm. Ma dai. Secondo te quella laggiù che è, l’Olanda?

In alto, una veduta aerea di un posto che non può essere l'Olanda mai e poi mai.
In alto, una veduta aerea di un posto che non può essere l’Olanda mai e poi mai.

– Sai alla fine come vanno queste cose. E’ difficile mantenere un rapporto quando si vive a più di 1000 km di distanza l’uno dall’altro.
– Tranquilla, a me le relazioni vanno a merda anche da una distanza di 15 cm.
– Comunque anche lui ama Berlino. Forse riesce a trasferirsi a settembre. Dice che è stupenda, che è un posto dove davvero puoi fare arte, sentirti libero da tutte le convenzioni borghesi, essere sereno e vivere come davvero vuoi.
– Ah sì? Beh, forse. Non so. Non sono sicuro che a Berlino tu possa vivere proprio come vuoi. Io non avrei mai voluto vivere vicino ad una sala prove dove si riunisce una cover band degli AC/DC, per esempio. E intanto, è capitato.

Insomma, il sopravvento di una visione organolettica della metropoli tedesca, da parte di questa fanciulla ancora affetta da giovinezza e del fidanzato ancora affetto da creatività, si fa attendere più della stessa felicità che ognuno di noi ogni giorno ricerca con spasmodica ed onorevole abnegazione.
Decido a questo punto di far partire in maniera definitiva la parte pedante della mia personalità, quella che non apprezzo particolarmente e che di solito mi procura nemici non solo all’esterno, ma anche all’interno della mia stessa coscienza.

– Non so, sento dappertutto e continuamente elogi e sperticate lodi su Berlino. A sentir l’opinione della gente sembra quasi una città compiuta, insostituibile. Ma non riesco a far affidamento su queste teorie. Probabilmente si tratta di un mio limite, solo che non ce la faccio proprio a concepire la presenza su questo pianeta di una città perfetta, di una Utòpia. Né tantomeno riesco a considerare Berlino come l’agglomerato urbano che più ad Utòpia si avvicina. Del resto, se è vero che Utòpia è un luogo ideale e soprattutto irraggiungibile, come ti spieghi il fatto che a Berlino ci arriva persino la Ryanair?
E poi, sai cosa ho capito negli ultimi anni? Che alla fin fine un posto vale l’altro se ci trovi comunque gente che impenna col motorino.

Ovviamente, adesso che la palla del dibattito è passata a me e sto cominciando a prender gusto nell’essere noioso, durante la discesa in vista dell’atterraggio arriva una turbolenza feroce che interrompe lo scambio di opinioni e lo sostituisce con una fottuta paura di morire accanto ad una persona che ha comprato al supermercato una pessima tinta per capelli.
Il cielo si rompe e parte un concertone celeste, una specie di Woodstock atmosferico.

https://www.youtube.com/watch?v=ZAydj4OJnwQ

Io sono terrorizzato: tremo, palpito, mi approssimo all’arresto cardiaco come quella volta in cui sognai di fare sesso estremo con una modella che poi scoprii avere la faccia di mio cugino Riccardo.
Lei invece risolve la questione trattando la morte come se fosse una cosa facilmente risolvibile con un blando analgesico.

– Non ti preoccupare, dai!

Che poi, ragiono, sta tutta qui la differenza tra me e lei: io prendo la morte come una faccenda troppo seria, e di conseguenza anche la vita. Lei no.
Cinque minuti dopo l’aeromobile poggia le sue gomme sulla pista.
Un atterraggio perfetto, per shakerare a puntino un Martini Cocktail.

Bruxelles in sintesi:

1.
A Bruxelles la gente utilizza un’energia eccessiva per la cura delle proprie basette.

2.
Quando parli il tedesco in portoghese, essenzialmente stai parlando fiammingo.

3.
– Questa statua è famosa. Secondo la leggenda porta fortuna a chi la tocca. Dai andiamo a toccarla.
– Se vado lì e la tocco sarò io a portare sfiga a lei, piuttosto.

4.
Il famoso bambino che piscia non l’ho visto. Però ho visto pisciare un quarantenne che indossava una camicia verde pistacchio, in compenso.

*Pseudonimo*

pseudoQuando ero piccolo tutti avevano un sogno nel cassetto, e invece io ce l’avevo nel portaoggetti della Clio. In ogni caso non s’è ancora realizzato, quindi inutile parlarne. Vivo in questo pianeta da trentacinque anni e a Berlino da circa tre. Dal 2006 in poi ho peggiorato qualitativamente riviste su abbonamento (Progress, Progress Viaggi, All about Italy), webzine (Bazarweb, Fuoribusta), riviste settoriali (Cinemabendato, Wundergammer), cartacei satirici (Mamma) e testate nazionali (Il Fatto quotidiano). Nel 2009 la giuria specializzata del Premio Franco Solinas ha erroneamente giudicato interessante un mio trattamento cinematografico dal titolo “Guarda e passa”, segnalandolo altrettanto erroneamente ai produttori.
Per il Mitte curo la rubrica “Welche sauce?” dal sottotitolo giustamente poco pubblicizzato “Kebab e altri punti di vista fuorvianti su Berlino”
Utilizzo le residue energie vitali nel tentativo di elaborare una maldestra poetica fotografica (www.pietroromeo.net). Attualmente sono inoltre impegnato a vivere la biografia di un altro e a non accontentarmi di quello che ho.

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