Mentre ero in fila in banca ho visto un ragazzo con la maglia della Sophie Scholl Schule e mi sono messa a pensare al complicato rapporto tra Resistenza e filosofia della non violenza.
Una riflessione un po’ strana per un lunedì mattina fatto di piccole occupazioni frenetiche, ma la mia mente procede per associazioni rapide e digressioni nate dall’osservazione di elementi casuali e inoltre l’argomento mi interessa da sempre, va detto. In particolare ritengo che la non violenza sia uno strumento utile solo quando il nemico ha un minimo di scrupoli e Sophie Scholl è la prova definitiva del fatto che Gandhi non avrebbe funzionato nella Germania hitleriana.

I metodi del Mahatma andavano bene contro l’Inghilterra, sensibile al peso dell’opinione pubblica internazionale, ma con il lugubre baffetto che nel ’33 divenne cancelliere della Germania sarebbero stati utili quanto l’omeopatia contro il cancro.
Gli indiani si sdraiavano a terra per evitare le cariche della cavalleria britannica e i soldati si fermavano per paura di fare una strage. Cosa sarebbe successo agli oppositori pacifici che avessero sfidato le SS nello stesso modo? Sarebbero finiti come lo “zuzzo” siciliano, probabilmente. O appunto come Sophie Scholl, attivista cristiana che insieme ai suoi compagni della Rosa Bianca decise di combattere il nazismo in modo non violento, distribuendo volantini e criticando pubblicamente la politica di Adolf Hitler.
Venne ghigliottinata a ventidue anni ed è chiaramente giusto che venga commemorata e rispettata, ma continuo a non capire le ragioni di chi consideri la non violenza un dogma sempre valido, in qualunque circostanza e di fronte a ogni nemico.
Contro Hitler la lotta non poteva avere il volto pacifico della disobbedienza civile, è un fatto pratico e strategico, prima ancora che morale, sempre che l’intenzione fosse quella di provare a sconfiggere il nazismo. Se invece l’imperativo etico si agganciava ad altre finalità, come ad esempio seguire gli insegnamenti di Cristo, allora il discorso cambia e in questo caso riconosco ai giovani martiri della Rosa Bianca una certa coerenza.
Mi sarebbe piaciuto parlarne con il ragazzo con la maglia della Sophie Scholl Schule, ma mi avrebbe sicuramente preso per pazza. Nel frattempo è arrivato il mio turno, ho scoperto che non potevo cambiare le sterline che mi erano rimaste nel portafoglio dopo un recente viaggio in Scozia e sono stata mandata a Wilmersdorfer da un gioielliere-compro oro che aveva anche uno sportello cambiavalute a quattro euro di commissione.
Praticamente una rappresentazione sfolgorante degli aspetti peggiori del capitalismo cannibale.

Ma questo non c’entra con Sophie Scholl… o forse sì, considerando che il potere economico ha sempre influenzato il potere politico e quindi il corso della storia. Potrei parlare per ore, partendo da questa nuova associazione, ma mi fermo.
E in ogni caso R.I.P., Sophie Scholl.
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Machete
Machete vive a Berlino dal 2013, in modo intelligente dal 2007 e in modo autoanalitico dal 2017.
Ama scrivere e girare il mondo e il suo più grande sogno è di poter combinare le due cose, un giorno. Ama anche la musica, il cinema, la letteratura e la serotonina.
A otto anni sperava che prima o poi qualcuno avrebbe inventato una pillola contro la morte.
Un po’ lo spera ancora.