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Gabriele Surdo a Berlino: intervista con il regista dei videoclip di Negramaro e Sud Sound System

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© Caparezza, Il Sogno Eretico / Screenshot

di Mirea Cartabbia

In un mondo frastornato dalle parole e che preferisce premiare chi sa vendersi meglio piuttosto che chi eccelle, non è facile trovare un artista che non solo non ama definirsi tale, ma anche che preferisce “fare” piuttosto che mettersi in vetrina, rilasciando interviste o partecipando ad eventi. Gabriele Surdo, film-maker italiano che ho avuto il piacere di incontrare in occasione dei Berlin Music Video Awards, è l’eccezione che conferma la regola.

Nonostante sia vincitore di numerosi premi e menzioni ed abbia girato moltissimi cortometraggi, oltre che videoclip e backstage con artisti del calibro dei Negramaro, Caparezza, Malika Ayane e molti altri, Gabriele non ama le interviste perché “molto spesso le persone non sanno ascoltare”.

La nostra chiaccherata parte proprio dall’inizio, dall’infanzia di Gabriele. Nato in un piccolo paesino vicino a Lecce e studente prima di ingegneria e poi di filosofia, si è avvicinato al mondo del cinema relativamente tardi: “Non c’era nemmeno un cinema nel mio paese e la mia famiglia non possedeva un videoregistratore.” mi dice “Sono entrato per la prima volta in un sala cinematografica il primo anno di università, proiettavano Il grande Lebowski. Ho capito in quel momento che non avrei più voluto fare l’ingegnere.”

Dopo alcuni anni a Londra, decide di tornare in Italia e fondare con i due fratelli fotografi Flavio&Frank e con il grafico e web designer Totò De Lorenzis, il Besafe Studios, uno spazio di coworking totalmente indipendente dalle istituzioni o da altri enti.

La scelta di fondare lo studio a Lecce non è casuale: il tema dell’attaccamento alle radici è importante per Surdo. L’esperienza all’estero è stata fondamentale per la sua formazione ma era impensabile per lui non tornare in Italia: “Non si può aspettare che il cambiamento venga dalle istituzioni perché loro non cambiano se prima non cambiano noi. La politica rispecchia quello che siamo noi” mi dice Gabriele.

L’amore per il luogo d’origine non influenza solo la scelta della residenza, ma ha delle profonde implicazioni per la sua arte e la sua idea di cultura, che non comprende solo le arti tradizionali ma include tutto il vissuto: “Tutto è cultura, dal lavoro dell’artigiano, a quello del contadino, al mio.”.

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Nel tuo profilo ufficiale su ARTalents dici che la valenza comunicativa è uno degli elementi centrali nei tuoi lavori. Cosa intendi con questa affermazione?

Credo fortemente che il messaggio centrale di un’opera possa arrivare a tutti, a prescindere dal grado culturale e dal profilo del singolo individuo. L’artista è un provocatore, non si può chiudere. Questo non vuol dire spingere le persone verso una parte politica o sociale che sia, perché quello non è provocare ma cercare di inculcare un pensiero. Provocare significa invece cercare di far sì che l’osservatore finale abbia una reazione. Nei miei lavori io veicolo un contenuto ma non voglio imporlo, voglio che chiunque a seconda del suo tessuto culturale lo faccia suo e lo apprezzi oppure lo odi. Non voglio chiudermi utilizzando un linguaggio difficile perché se si ha la necessità di fare arte o semplicemente di creare qualcosa, si ha anche la necessità di esprimere quello che si ha dentro. Quindi non cercare di arrivare a più persone possibile sarebbe un controsenso. Voglio essere pop nel senso di popular, portare un messaggio che arrivi a tutti, senza fronzoli o giri di parole eleganti, non mi piace il Barocco. Cerco di seguire il motto less is more.

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Però anestetizzati come siamo dalla televisione e da internet, c’è il rischio che il fruitore sia un osservatore passivo e che non rielabori il contenuto e lo assorba così com’è senza ulteriore riflessione. Questo non è un fattore da tenere in considerazione?

Assolutamente sì. Noi, intendo chi crea, veicoliamo dei messaggi e dobbiamo stare attenti a quello che andiamo a veicolare, proprio perché, come dicevo prima, siamo dei comunicatori. Oggi si è portati a dare più importanza all’estetica, piuttosto che all’etica, questo non mi piace. Credo che ogni artista sia libero di comunicare ma sempre nel rispetto della libertà altrui, per questo parlavo di provocare e non di inculcare un pensiero. Il concetto di libertà per me è fondamentale e rende bello il mondo: la bellezza sta proprio nel fatto che siamo tutti diversi. Per questo mi dà enorme fastidio vedere gruppi di persone che si aggregano e portano avanti solamente un’unica convinzione, a me fanno tenerezza perché non sanno cosa si perdono. Una volta che ti chiudi in un piccolo gruppo ti perdi la bellezza della vita che è estremamente varia, soprattutto per chi fa un mestiere come il mio: bisogna essere aperti, vedere tutto a 360 gradi e fare continuamente un lavoro su te stesso. Chiaramente ho il mio carattere e le mie idee, sono forti perché ci credo e cerco di comunicarle ma sempre nel rispetto altrui. Cerco il confronto dialettico con gli altri e anche se sono un cane sciolto, perché non mi aggrego a gruppi specifici, accetto e cerco di trovare dei compromessi, dato che la vita è fatta di questo. Basta pensare alle relazioni per accorgersene.

Quindi nei tuoi lavori cerchi di mettere in primo piano l’etica anziché l’estetica?

Sì, voglio comunicare un contenuto che possa arrivare a tutti, indipendentemente dal grado d’istruzione del fruitore. L’Italia ha una grandissima tradizione alle sue spalle ma proprio per questo spostamento di focus sull’estetica, molto spesso il prodotto finale è patinato e strumento del consumismo più becero. Così è in tutta l’arte e quindi anche nel cinema: siamo passati dal neorealismo italiano allo scimmiottare, tra l’altro male, le commedie che fanno negli States. Perché non fare marcia indietro e cercare di capire cosa possiamo dare come apporto, non solo all’Italia, ma anche al mondo? Noi italiani abbiamo una grande eredità artistica alle spalle e viviamo di rendita con i frutti che i nostri padri ci hanno lasciato, anche se molto spesso non riusciamo nemmeno a sfruttare bene questa mastodontica eredità. Il problema è che fino a quando continueremo a vivere in maniera campanilista, resteremo chiusi e non andremo mai avanti, non riusciremo a produrre qualcosa di nuovo. Come dice Carmelo Bene dobbiamo uccidere i nostri padri, per poter fare dei passi avanti. Federico Fellini era un grandissimo artista ma parlava con sue logiche e nei suoi film esprimeva il suo pensiero. Perché i film-maker di oggi devono parlare per aforismi o ricalcare il pensiero di Fellini? Questa è proprio una cosa che detesto.

Il video che hai girato per la canzone Two Words dei Sud Sound System è stato nominato ai Berlin Music Video Awards per la categoria Best Animation. Ti piace girare videoclip?

In generale non faccio molti music video, mi è capitato di farne qualcuno per il mercato italiano, ma dal mio punto di vista l’Italia pecca di alcune cose. Capisco che sia un mercato piccolo, il fattore linguistico fa sì che l’offerta sia rivolta quasi interamente al nostro Paese e questo influisce inevitabilmente sul budget sia nel mercato indipendente sia nel mainstream. Il paradosso è che, oltre ad avere poco budget per mettere su la produzione, non ti lasciano libero di esprimere creativamente la tua idea e  spesso se propongo un’idea nuova o diversa, con la quale magari si possono abbattere i costi, quasi sempre mi viene detto di no perché il nuovo spaventa, anche nel circuito degli indie, quello che teoricamente dovrebbe essere sperimentale. Ecco perché per me questa distinzione tra mainstream ed indipendenti in Italia vuol dire poco. Il mercato indie è solo più piccolo, più povero, con delle lacune da un punto di vista di coerenza. Parliamoci chiaro, se non ci sono soldi mi devi lasciare libero, ovviamente nel rispetto del brano, perché chiaramente quando facciamo un music video, facciamo un prodotto che serve a veicolare commercialmente un altro, cioè il brano. I videoclip degli ultimi due anni in Italia sono tutti uguali: playback in una location e via. E forse non è un caso che qui a Berlino il mio video sia stato l’unico italiano nominato.

Ed in particolare com’è nata l’idea per questo video dei Sud Sound System?

Avevo voglia di qualcosa di fresco. Intanto io stimo i Sud Sound System da quando avevo 16 anni perché sono un esempio di coerenza e di dedizione al lavoro, oltre che di attaccamento alle radici. Oltre ad aver portato una ventata musicale nuova nel Salento e ad avere dato il coraggio anche ai ragazzi del Sud di provare a fare musica, si impegnano in numerose lotte per i diritti civili ed ambientali, ultimamente ci stiamo impegnando insieme per salvare gli ulivi “malati” di Xylella. Ho avuto occasione di conoscerli presso il Besafe, il mio spazio di coworking, perchè avevano già fatto dei servizi fotografici con Flavio&Frank, ed abbiamo deciso di collaborare. Il brano era un leggermente diverso dal loro solito stile ed era molto leggero, mi ha fatto subito sorridere. In quel momento della mia vita avevo bisogno di colore, spensieratezza e questo ritmo rock steady mi ha fatto pensare alla nostra terra e a qualcosa di estivo e spensierato. Il ritmo mi ha dato l’idea di lavorare in maniera sincopata con le immagini, quindi ho optato per lo stop motion. Inoltre facendo una scelta di questo tipo, avrei potuto lavorare con loro in maniera completamente diversa, che era anche il mio desiderio, fare qualcosa di diverso a cui non avrebbero mai pensato da soli. Loro hanno subito acconsentito e si sono prestati moltissimo. Mi hanno anche aiutato fisicamente a spostare le cassette, confermando di essere davvero delle persone stupende. La canzone è una canzone d’amore, una dichiarazione del gruppo alle loro mogli e compagne, perciò abbiamo scritturato una donna che incarnasse il ruolo delle mogli. Non volevamo una ragazza bella e fatale, una di quelle che rientra nei canoni dominanti, ma una ragazza comune, bella ma con la faccia pulita, semplice. In più avevo voglia di usare una materia che appartenesse a me, a loro e alla terra e quindi ho scelto di giocare con frutta e verdura. Le nostre radici sono contadine e in questo momento non fa male mangiare frutta e verdura, piuttosto che alcuni tipi di carne.

Ringrazio moltissimo Gabriele Surdo per il tempo dedicatoci e gli auguro il meglio per i suoi numerosi progetti futuri, tra cui un Fashionfilm che girerà proprio a Berlino.

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