di Roberto Colella
Il G7 tedesco targato Angela Merkel saluta Matteo Renzi sulle note di “Azzurro” la celebre canzone di Paolo Conte, cantata da Adriano Celentano. Tra il premier e la cancelliera ci sono possibilità di sinergie condivise su diversi temi; dal clima all’immigrazione, affinché l’Italia non venga lasciata sola a gestire gli sbarchi. Proprio dalla Baviera i due leaders uniti agli altri rappresentanti delle grandi potenze si ritengono preoccupati degli attuali conflitti in corso, che vanno ad erodere le leggi internazionali. Ma a margine di tutto ciò c’è l’episodio carnevalesco dell’inno sbagliato che secondo Bild confermerebbe lo scarso gradimento della Merkel verso il premier Renzi. Proprio mentre il premier italiano si avviava sul tappeto rosso al tavolo delle firme di benvenuto, nell’aria si udivano le note di “Azzurro” proposte dalla banda locale. Uno schiaffo all’Italia oppure un banale errore frutto di un retaggio negativo che parte proprio dall’Italia?
Il Canto degli Italiani, meglio noto come Fratelli d’Italia o Inno Nazionale Italiano e, per l’appunto, Inno di Mameli, è infatti del 1847, scritto dal poeta Goffredo Mameli e musicato dal direttore di banda Michele Novaro. Proprio nel Risorgimento ha avuto grande popolarità finendo poi in disgrazia dopo l’unità quando venne soppiantato dalla Marcia Reale e talvolta dalla Leggenda del Piave di E. A. Mario. Sono gli anni della guerra di Libia, 1911-’12, e della prima guerra mondiale, 1915-’18, gli unici forse in cui l’idea di nazione si esprime in modo positivo attraverso le canzoni. Il repertorio legato agli avvenimenti bellici, “Tripoli” e “La leggenda del Piave” su tutti, divenne patrimonio di tutti gli italiani. L’imperialismo e il patriottismo furono i primi temi canori della canzone italiana moderna come ricorda lo storico della canzone Felice Liperi. Sono molti i titoli: “L’Italia a Tripoli”, “Viva L’Italia”, “Tripoli bel suol”, “Le campane di S. Giusto”, “L’Italia ha Vinto”, “Inno di Oberdan”, “Italia liberata”.
Il fascismo invece, incarnando per un ventennio l’ideale di patria e di nazione ha condizionato tutta la produzione della canzone italiana moderna, mirata su alcuni passaggi fondamentali nella vita del regime. A scatenare la produzione di canzoni patriottiche fu l’avventura coloniale etiopica degli anni Trenta. Nacquero così “La canzone dei legionari”, “Zuena”, “Ti saluto” (vado in Abissinia) e soprattutto la celeberrima “Faccetta nera”, ma anche “Sul Lago Tana” o “La carovana del Tigrai” del molisano Eldo di Lazzaro.
Nel dopoguerra la canzone italiana è lontana dal concetto di Patria tranne che nel 1952 quando al festival di Sanremo Nilla Pizzi propone “Vola Colomba”. Nel testo di legge che: “Dio del ciel / se fossi una colomba / vorrei volar laggiù / dov’è il mio amor / che, inginocchiato / a San Giusto / prega con l’animo mesto / Fa che il mio amore torni / ma torni presto / Vola colomba bianca vola / diglielo tu che tornerò / dille che non sarai più sola / e che mai più la lascerò”. È un motivo di Cherubini e Concina con cui Nilla Pizzi vince il Festival di Sanremo del 1952 e che rappresenta un’allegoria del ritorno di Trieste all’Italia. La sua popolarità fu tale che divenne anche oggetto di parodie politiche. Nel 1983 la canzone fa un primo riferimento all’italiano medio, proposto da Toto Cutugno (L’italiano di Minellono-Cutugno), prima di lasciare spazio l’anno successivo, nel 1984, alle idee utopiche di Eros Ramazzotti in “Terra promessa”.
In questo ultimo caso il mondo migliore è un altro e l’idea di patriottismo in senso nazionalistico è ormai perduta. Tutto ciò a dimostrare che prima della Germania la stessa Italia ha dimenticato il suo spirito patriottico e nazionalistico rispolverandolo solo in alcune celebrazioni. Un danno che ha comunque delle radici storiche, senza dimenticare che la stessa idea di Patria si è trasformata, avendo più attenzione per i regionalismi e campanilismi, che per l’idea di Nazione. Un concetto quello di Patria nato per indicare un luogo dove ci si sente a casa, un luogo dove si ha voglia di fermarsi prima ancora di assurgere a valore fondamentale nelle imprese militari.
Roberto Colella consigliere nazionale FNSI, giornalista pubblicista e blogger de Il Fatto Quotidiano, Huffington Post, Libero, Limes, Lettera 43, QN, Informazioni della Difesa, Rivista Militare e direttore di Embedded Agency. Laureato in Scienze Politiche alla Sapienza di Roma indirizzo storico-politico, Master in Geopolitica alla SIOI di Roma, Master in Criminologia e Intelligence nel contrasto al Terrorismo, ricercatore presso l’Istituto Alti Studi di Geopolitica e Scienze Ausiliare di Roma nel settore Difesa e Armi e presso l’Italian Team for Security, Terroristic Issues and Managing Emergencies del Dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano. Cultore della materia in Storia Contemporanea e Diritti dell’Uomo e Globalizzazione presso l’Università del Molise.