Champions League: stanotte si farà la storia, a Berlino
di Mattia Grigolo
Io sono nato nel 1982, meno di tre mesi prima che la Nazionale di Bearzot alzasse la Coppa del Mondo. Quel giorno ad essere sconfitta fu la Germania Ovest, con le reti di Rossi, Tardelli e Altobelli. Il mondiale si tenne in Spagna. Sono coincidenze, oppure non lo sono, perché – in fondo, ma veramente in fondo – le coincidenze non sono altro che un concetto che usiamo per legarci a qualcosa che, in altro modo, ci terrebbe lontani. E noi, diciamocelo, non siamo avvezzi a stare “lontano da qualcosa”. Come, per esempio, dalla squadra del cuore.
Quella mia personalissima coincidenza, vuole che stasera, all’Olympianstadion di Berlino, si affrontino la Juventus e il Barcellona, per la finale di Champions League, la competizione più ambita del calcio europeo. C’è l’Italia a cercare di saltare l’ultimo ostacolo, come già successe all’Inter di Mourinho, quella del triplete. Anche in quel caso posso citarvi una mezza coincidenza: L’Inter vinse contro il Borussia Dortmund (squadra tedesca), al Santiago Bernabéu, campo neutro di Madrid (Spagna) dopo essere passata, in una semifinale da eroi, proprio contro il Barcellona. Ancora Germania, ancora Spagna. Ancora Italia.
La Juventus, quindi. E il Barcellona, quello temibilissimo di Messi, il folletto che, nella finale di Copa del Rey di meno di dieci giorni fa, lancia un messaggio chiarissimo agli avversari, confezionando un gol che rimarrà sicuramente negli almanacchi del calcio.
Perché è di questo che stiamo parlando: della storia. La storia che si fa con le vittorie e con le sconfitte, con il sudore, ma è questo, chiaro e semplice, fuori dagli schemi e dagli scandali di un calcio malato, troppo ricco, che ha venduto l’anima ad un sistema corrotto. Fuori dall’antidoping, fuori dagli autografi, dalle scommesse, dai miliardi, dalle diffide. Fuori, rimangono i tifosi, quelli che ho visto ieri all’aeroporto di Linate, a Milano, perché il calcio è il nostro sport, la nostra fede, di noi italiani che ce lo portiamo dentro da quando siamo nati, dalle notti magiche delle vittorie a quelle drammatiche delle sconfitte.
Restano lì, fuori dalle dinamiche di un mercato marcio, quelli che salgono sull’aereo anche se sono terrorizzati, anche se non l’hanno preso mai un’aereo, e lo fanno per la loro squadra. Restano fuori i bambini che si presentano al check in con la maglia bianconera oppure rossoblu, e già me li vedo, sulle gradinate dell’Olympianstadion, a prendersi, forse per la prima volta, quella stessa incredibile emozione che io ho provato la prima volta che sono entrato allo stadio Meazza, stringendo la mano di mio padre.
Restano lì, quelli che vinceranno e quelli che perderanno, restano lì, lontano dai serpenti, dove il gioco del calcio resta magico, una tradizione e una fede che scorre con la storia.
Quella stessa storia che si farà, anche stanotte. In un modo o nell’altro, a Berlino.