Unconventional Berlin Diary: i barbieri di Berlino e la mia fobia dello specchio

Si è aggiunto un altro capitolo alla storia del mio rapporto con i barbieri di Berlino. La necessità di ridefinire costantemente la mia rasatura mi porta spesso a fermarmi, con criteri casuali, in punti altrettanto casuali della città, quando decido che la mia testa si sta di nuovo ricoprendo di capelli.

Dovrei scrivere una guida sintetica sull’argomento e sarebbe anche interessante, perché la bottega di un “vero barbiere” è come un porto o un crocevia, qualcosa che ha a che fare più con le atmosfere di Corto Maltese che con i saloni hipster della capitale, in cui si ritoccano innumerevoli baffi a manubrio!


pop

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I barbieri di Berlino: il macedone che dice “diobono”

Dopo il palestinese di Kaiserin-Augusta-Allee, la settimana scorsa mi sono fatta rasare da un macedone di Wilmersdorfer. Parlava italiano per aver vissuto in Istria per qualche anno e usava “diobono” come intercalare.

Dopo una prima fase di convenevoli standard ha cominciato a parlare di Berlusconi, argomento compulsivamente sollevato da tutti gli stranieri che si trovino, per più di cinque minuti, alla presenza di un italiano.

Unconventional Berlin Diary: i barbieri di Berlino e la mia fobia dello specchio

Prima lo ha definito un maniaco e ha detto che un uomo di ottant’anni che va con una ragazza di sedici è un porco, poi ha aggiunto che se invece uno di cinquanta va con una diciassettenne è leggermente meglio, quindi ci ha ripensato e ha concluso condannando tutti e impappinandosi miseramente. Peccato, era partito bene.

Infine, si è lanciato in una terrificante filippica sulla crisi greca, accusando Tsipras di prendere soldi dalla Turchia. Infine mi ha offerto un ottimo the, e questo è un bene, ma mi ha anche fatto pagare il triplo del palestinese, e questo è un male, anche perché, per un prezzo molto più basso, il palestinese mi aveva fatto anche la barba!

Unconventional Berlin Diary: i barbieri di Berlino e la mia fobia dello specchio

La mia fobia dello specchio e il rapporto disturbato con la femminilità

A proposito di creatività identitaria: ho comprato un “chest binder”. Lo usano i ragazzi trans prima o invece della mastectomia e a me piace metterlo quando indosso le camicie. Io non sono trans, ma in questa fase mi piacciono il torace piatto, i muscoli, la testa rasata. In questo modo gli specchi mi fanno meno paura, mentre normalmente me ne fanno tanta. Mi fanno paura da quando avevo diciotto anni, quando mi specchiai con spensieratezza per l’ultima volta.

Successe a Rimini, in spiaggia. Ero uscita da poco dall’acqua e in una parete a specchio vidi all’improvviso la mia prima ruga, sotto un occhio. Mi sembrò una voragine, anche se probabilmente neanche si notava. Però era un fenomeno importante, era l’inizio della disgregazione del mio corpo, il primo segno inequivocabile della caducità umana. Da quel momento ero uscita dall’Eden, ero diventata mortale. Dovevo sbrigarmi, non avevo tutto il tempo del mondo, le lancette dell’orologio della vita erano partite e andavano veloci. Presi a odiare lo specchio, tutti gli specchi.

Unconventional Berlin Diary: i barbieri di Berlino e la mia fobia dello specchio

Quando assecondo il mio lato maschile, guardare il mio riflesso mi spaventa meno. C’è qualcosa di terribilmente inquietante nella femminilità, perennemente torturata da una narrativa che enfatizza la sua presunta fragilità, grazia, precarietà e sottomissione e per questo sempre in procinto di franare sotto il suo stesso peso.

Il fatto di sentirmi meno vulnerabile pensando a me stessa come a un maschio, però, non rappresenta un progresso, anzi. È parte del problema. Anni di avanguardia intellettuale e poi cado sui fondamentali, tipo che da donna ho paura della vita e da uomo no.

Ippolita, la regina delle amazzoni, non ne sarebbe affatto contenta.

Machete

Machete vive a Berlino dal 2013.

Ama anche la musica, il cinema, la letteratura e la serotonina.

A otto anni sperava che prima o poi qualcuno avrebbe inventato una pillola contro la morte. Un po’ lo spera ancora.

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