AperturaWelche Sauce?

Innamorarsi di un barbiere a Tempelhofer Damm

“Non sono io ad avere un pessimo rapporto con i miei capelli, piuttosto sono i miei capelli ad avere un ottimo rapporto con la mia scarsa autostima”.
Di Pseudonimo*
Barbiere articolo
© L’uomo che non c’era

Questa storia comincia negli anni ottanta, di sabato.
Al mattino mia madre mi consegna una maglietta Avirex molto figa per farmi sentire meno vulnerabile in mezzo agli altri e nel pomeriggio mio padre rimedia a questo inconveniente pedagogico portandomi dal suo barbiere di fiducia, un uomo risorgimentale banalmente appassionato di francobolli e trenini elettrici. Cose che non possono di certo influire positivamente su una qualsiasi acconciatura.

A seguire, le istruzioni per un corretto uso del sottoscritto fornite dal mio patriarca al libero professionista:

– Fagli una bella riga da parte. Insomma, neutralizza la figaggine della sua t-shirt e cerca in tutti i modi di alimentare la sua insicurezza. –

Mezz’ora dopo ero in strada con un quantitativo di sfiga tale da condizionare l’umore dei passanti.
Persino i bulli, alla mia vista, si erano arresi ai sentimenti complessi: pietà e misericordia per essere precisi. Inutile secondo loro picchiarmi: ero già stato sufficientemente pestato dalle mie dinamiche familiari.

Le cose non migliorarono di certo con l’adolescenza, periodo di ribellione in cui sperimentai il fantastico effetto bagnato del nuovo Cif multiuso sostituendo così il più omeopatico ma meno efficace gel della L’Oreal. Due spruzzatine di detergente per superfici in testa ed ero pronto a fallire meritatamente nuovi approcci con coetanee in discoteca.
Fino a prova contraria, non credo che ciò possa essere catalogato come un passo avanti nel management della capigliatura.

Pseudonimo mette in scena la sua adolescenza
Pseudonimo e le sue salubri abitudini adolescenziali / photo © Adriana Napolitano

Vent’anni dopo il mio principio di calvizie è seduto su una poltrona girevole di un barbiere tedesco: leggi in un’insegna esterna 4,99 € ed entri a prescindere, anche se non hai ancora capito cos’è che costa poco meno di 5 euro.

– Come li tagliamo ‘sti capelli?

Signore e signori, la domanda a cui meno so rispondere nella vita.
La replica che fornisco in casi come questo è inutilizzabile, o meglio, è più utilizzabile come messaggio d’auguri pasquale che come direttiva dei miei desideri tricologici.
Non so descrivere accuratamente pettinature. E’ un mio limite.

– Facciamo lo shampoo –
– Prego? –

– Li laviamo ‘sti capelli, si o no? –
– Ah, quanto costa? –
– 8 euro e 99 –

Te pareva che Wanna Marchi non arrivava pure qua in Germania. Ecco la truffa.

8 euro e 99 uno shampoo? No, non è necessario; anzi guarda, piuttosto sporcameli e tornami pure due euro di resto.

Poco più tardi, eccomi immobile davanti ad uno specchio a constatare che i tedeschi hanno una certa difficoltà ad apprezzare il mio umorismo: un taglio di capelli che avrebbe compromesso la reputazione persino a Cristiano Malgioglio mi aveva fatto, lo stronzo.
Corsi perciò verso il primo negozio possibile alla ricerca di qualcosa che somigliasse ad un copricapo, ma trovai solo una specie di calotta cranica approssimativamente associabile ad un qualunque esemplare di razza canina.

Pseudonimo ritira il suo attestato di partecipazione al corso per aspiranti barbonicini.
Pseudonimo ritira il suo attestato di partecipazione involontaria al corso per aspiranti barboncini. / photo © Adriana Napolitano

La acquistai, spacciandola a me stesso come un valido rimedio d’emergenza ma promettendomi al tempo stesso di cercare presto una soluzione definitiva, al fine di un reintegro indolore all’interno della società civile.

La trovai qualche giorno più tardi ad un isolato da casa mia. Un altro barbiere.
Opzione taglio riparatore. Tentativo numero due della settimana.
Entrai e mi accomodai.
La superficie era piuttosto ampia, il microcosmo popolato di individui e video musicali turchi in HD, il tempo di attesa lungo e probabilmente sofferto. Lo utilizzai convogliando il mio istinto meditativo in una zona della sala a torto trascurata dal resto degli astanti: il tetto.
Si trattava di un controsoffitto in cartongesso con al centro un ellissoide di vetro trasparente la cui funzione doveva originariamente essere quella di fornire un po’ di luce dall’alto alla sottostante superficie. Era stato però trascurato il piccolo dettaglio che al piano di sopra non ci fosse il cielo infinito con i suoi illimitati fotoni né tantomeno lo spettro elettromagnetico dell’immensità cosmica, quanto piuttosto la sala da pranzo funebre della signora Böhm; una vecchietta che viveva a Tempelhofer Damm numero 225 da ancor prima che si estinguessero i centrini da tavola.
Immaginai perciò i muratori sudare, stuccare, avvitare telai di alluminio, osservare amareggiati attraverso le vetrine il sedere di una passante irraggiungibile, consegnare il lavoro chiavi in mano ai titolari della bottega e infine accorgersi di aver appena costruito il motivo per cui non si erano laureati in architettura.


eccezione per i bambini povertà infantile

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Tutte queste cose insieme mi fecero riflettere su quanto spesso gli sforzi umani, alla fine dei conti, si rivelano assolutamente vani. Una percentuale eccessiva delle nostre azioni, in effetti, è uno spreco di kilocalorie. Prendi l’amore ad esempio: dove è finita tutta l’energia utilizzata il 18 dicembre del 2003 per dimostrare alla signorina X che non ero stato a letto con un’altra?
E a proposito di amore, ad un certo punto avvistai a prua uno dei quattro barbieri in attività: il colpo di fulmine esiste.
A dispetto della mia ormai navigata e virile eterosessualità, mi immaginai da subito avvinghiato a lui sulla battigia di una spiaggia portoghese. Davanti a noi l’oceano, in sottofondo la voce suadente di Chris Isaak.

Era un bellissimo giovane: carnagione scura, lineamenti delicati, pelle luminosa, atteggiamento consapevole delle difficoltà da affrontare nella vita. Mostrava poi, come se non bastasse, quella classica sicurezza di sé che noi donne apprezziamo particolarmente nei nostri momenti di fragilità.
Voi donne, scusate. Mi sono lasciato prendere un po’ troppo la mano.

– Ha pure gli occhi verdi – dissi ad un cliente in attesa sedutomi di fronte.

Rimasi in sua contemplazione fino alle undici e un quarto, poi mi accorsi che stava per arrivare il mio turno. Se i miei calcoli erano esatti, a giudicare dal ciclo produttivo degli altri tre barbieri, il logaritmo della provvidenza divina mi avrebbe presto portato nelle sue principesche grinfie.
Avevo già in mente la mia strategia seduttiva: dopo aver balbettato, facendogli così intuire la soggezione erotica in cui mi aveva suo malgrado scaraventato, avrei adagiato i miei arti superiori sui braccioli della poltrona: il perché non lo sanno tutti, ma se ci pensate bene un attimo ricorderete facile che è proprio lì che – per questioni puramente tecniche – i vostri acconciatori appoggiano il ventre durante la loro prestazione professionale.
Ok, adesso fate due più due per calcolare il mio tasso di omosessualità e poi mandatemi a casa un mazzo di rose col risultato.

Ora, in una narrazione convenzionale, l’antieroe giunge di solito proprio nel bel mezzo dei sogni di gloria del protagonista. E difatti.
Un uomo gigantesco varcò la soglia. Capelli pittati di nero, somiglianza evidente con Steven Seagal, superficie volumetrica di Pavarotti, tuta e bomber con scritte cubitali, tre anelli d’oro giallo.
Nessun motivo per stupirsi: ci sono abbastanza palestre, discoteche e Automatencasinò nel mondo a rendere questi individui plausibili.
Ciò non toglie che fanno paura, specie se si siedono accanto a te dal barbiere; ma devo dire che pure a vederli canticchiare Happy Birthday to you durante una festa di compleanno, non c’è di che rassicurarsi.

Cominciò a parlare a volume prepotenza un po’ dappertutto, il bestione: l’idioma, come al solito, non fu d’aiuto per farmi un’idea della vita in corso, ma il tono mi lasciò perlomeno intuire cosa non era l’argomento di conversazione. Non si stava parlando né di Pan di stelle della Mulino Bianco, né di vestitini a tubino con pattern a cuoricini, né di tulipani colorati delle Fiandre. Via dunque un buon 60% delle conversazioni umane.
Ad ogni modo, a prescindere dal dibattito in corso, avevo un brutto presentimento e la vita si premurò di mostrarmelo precocemente dal vivo.

barbiere due articolo
© L’uomo che non c’era

 

Dopo aver spazzato i mucchietti di capelli dell’ultimo cliente tosato, il mio eroe sensuale si rivolse alla platea.

– Il prossimo, prego –

L’uomo gigantesco e minaccioso si alzò al posto mio, rubandomi così il turno e il sogno d’amore.
Ora, in una condizione di eterosessualità convenzionale mi sarei permesso di contraddire un tipo così imbattibile solo se avessi avuto a portata di mano un dinosauro o quanto meno un capomafia, ma in questo caso il mio orientamento genitale era ormai deragliato nei pressi di Nollendorfplatz e ciò mi diede il coraggio di rischiare il tutto per tutto al fine di accaparrarmi l’uomo della mia vita.

Mi alzai e protestai utilizzando un linguaggio universale, quello corporeo. Peccato però che sono alto solo un metro e settantacinque e largo quaranta centimetri. Come si dice in questi casi, non avevo argomenti.
Il tizio imbattibile nemmeno mi guardò, ma gli bastò proferire un gargarismo vocale per rispedirmi subito al mio posto: ovvero in cucina a lavare i piatti che lui aveva lasciato sporchi sul lavello.
Ma l’amore si sa, ti dona il coraggio di affrontare condizioni ambientali ancor più difficili di un ingorgo sulla Prenestina.
Non pago, mi alzai di nuovo utilizzando in questo caso il mio tedesco da sottosviluppato per farmi rispedire nuovamente al mio posto: stavolta però in garage a lucidargli il Bmw.

E niente, a questo punto abbandonai il combattimento e tornai a casa.
Sconfitta: la consapevolezza che il tuo patrimonio genetico non è adatto a fronteggiare il 3° livello di Assassin’s Creed, figuriamoci la vita.
Sconfitta sentimentale: la consapevolezza che l’amore non vince sempre e che al massimo si può permettere di trionfare in una corsa campestre organizzata dalla Pro loco di Cerignola.

Adesso il peggio è passato. La chioma è via via ricresciuta e diciamo che in un certo senso posso di nuovo affrontare a viso aperto la società contemporanea.
Già, nella mia testa non ci saranno molti neuroni e nemmeno molti capelli, è vero. Ma in compenso c’è un barbiere che non se ne va più via manco fosse una canzone delle Spice Girls. Lo visualizzo ancora oggi con le sue forbici in mano tutto intento a toccare forfore di diversa nazionalità e tamarraggine e rifletto sul fatto ingiusto che mentre lui se ne sta lì a donare bellezza e stupore a questo pianeta, questo pianeta invece, maldestramente, la rifiuta.

*Pseudonimo*

pseudoQuando ero piccolo tutti avevano un sogno nel cassetto, e invece io ce l’avevo nel portaoggetti della Clio. In ogni caso non s’è ancora realizzato, quindi inutile parlarne. Vivo in questo pianeta da trentacinque anni e a Berlino da circa tre. Dal 2006 in poi ho peggiorato qualitativamente riviste su abbonamento (Progress, Progress Viaggi, All about Italy), webzine (Bazarweb, Fuoribusta), riviste settoriali (Cinemabendato, Wundergammer), cartacei satirici (Mamma) e testate nazionali (Il Fatto quotidiano). Nel 2009 la giuria specializzata del Premio Franco Solinas ha erroneamente giudicato interessante un mio trattamento cinematografico dal titolo “Guarda e passa”, segnalandolo altrettanto erroneamente ai produttori.
Per il Mitte curo la rubrica “Welche sauce?” dal sottotitolo giustamente poco pubblicizzato “Kebab e altri puntri di vista fuorvianti su Berlino”
Utilizzo le residue energie vitali nel tentativo di elaborare una maldestra poetica fotografica (www.pietroromeo.net). Attualmente sono inoltre impegnato a vivere la biografia di un altro e a non accontentarmi di quello che ho.

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