di Giovanni Semenzato
La prima volta che ho sentito parlare del Kulturkaufhaus Dussmann, ho accolto la notizia con la solita sufficienza di chi crede di aver capito prima e meglio degli altri, i quali sono tutti poveri ingenui che fanno le cose in preda all’insensatezza.
In particolare andavo orgoglioso di far notare ai miei interlocutori come, grazie alla mirabile morfologia del tedesco, si potesse riuscire a comprimere una specie di paradosso in una sola parola. Argomentavo compiacente che la parola “centro commerciale” e “cultura” fossero due concetti antitetici, il cui punto di incontro non andava oltre la comunanza delle iniziali.
Non so dire se nel frattempo la mia opinione sia rimasta la stessa, fatto sta che, parte per ragioni di interesse culturale e parte per desiderio di acquisto (per le stesse ragioni cioè che condividono più o meno tutti gli avventori della libreria), ho finito per lasciare da parte la supponenza ed unirmi alla massa degli insensati.
Il motivo me l’ha fornito un amico, consigliandomi un libro di musica per fare esercizi al pianoforte. Naturalmente, io non suono il pianoforte. Eppure, preso dall’entusiasmo per il nuovo libro acquistato da Dussmann, calcolai che nel giro di pochi mesi, attraverso un allenamento costante e ovviamente grazie ad uno dei volumi di esercizi musicali Hanon, sarei diventato, se non un concertista, almeno un amatore di tutto rispetto.
Arrivato al magazzino mi ritrovo in un grande spazio affollato. Mi guardo attorno cercando di capire la sistemazione dei reparti; alcuni banchi su cui stanno gli ultimi Best seller sono di ostacolo ai passanti. Mi fermo a guardare alcuni titoli, nomi che non ho mai sentito, taluni tedeschi altri meno, tutti con copertine accattivanti. Cerco di alzare lo sguardo per svincolarmi dai Best seller e farmi un’idea più chiara di dove stia girando.
Una scritta “Musikbücher” mi ricorda la ragione per cui mi trovo là. Continuo più avanti fino a raggiungere il reparto. Davanti a me, oltre ad un cortile, si vedono delle statue egiziane e una scritta: “Ursprung“, origine. Di che cosa potrebbe trattarsi, forse un reparto segreto accessibile solo ai più fedeli accoliti del magazzino Dussmann?
La cosa mi incuriosisce e mi viene voglia di proseguire, ma poi decido per continuare l’esplorazione del reparto musica, ligio al mio compito di pianista. Sullo scaffale però non ci sono partiture, bensì quaderni su cui scrivere le note musicali. “Forse è ancora presto per iniziare a comporre, sarebbe meglio prima imparare a suonare”, mi dico. Oltre ai quaderni, nel riparto musica non trovo altro. Comunque, mi è sufficiente. Smetto senza troppi indugi di interessarmi agli esercizi musici Hanon e mi dirigo, spinto dalla curiosità, alle scale mobili dirette al piano.
Abbandonata dunque la mia ricerca provo a chiarirmi le idee sulla struttura del luogo, la grandezza, le sale, i reparti, i piani, le possibili vie di esplorazione. Quest’ultima cosa, le vie di esplorazione, mi sembra di fondamentale importanza per visitare una libreria. Quale reparto visitare per primo? Cosa tenere per la fine? Meglio prima i libri di scienza oppure quelli di letteratura? Come coordinare al meglio la sfilza di impressioni e le possibili intuizioni che la lettura dei titoli e al massimo di qualche tranches sul verso della copertina possono suscitare?
In generale mi sembra preferibile visitare i luoghi secondo le proprie tendenze, senza seguire i cartelli colorati che indicano le direzioni ed evitando le cortesi domande dei commessi che ci chiedono, adempiendo alle loro funzioni lavorative, che cosa mai siamo venuti a fare. Mi chiedo poi, mentre sosto sulle scale mobili in attesa di raggiungere il piano inferiore, se una libera visita sia svincolata da una struttura definita. A questo punto devo dire che non sono d’accordo con gli ansiosi propugnatori di libertà, i quali se la prendono con ogni tipo di progetto, proclamando che ogni impostazione delle nostre azioni irrigidisce la libertà in una struttura.
Eppure, se vogliamo realizzare qualcosa, dovremmo pur farlo in modo preciso, dargli una forma. Forse, l’equivoco sta nel fatto che spesso non siamo noi a scegliere questa forma, ma ce la vediamo imposta da cartelli o commessi gentili e non abbiamo la forza di rinunciarvi.
Il pensiero mi intriga, intanto le scale mobili mi hanno condotto al piano sottostante. File di teche con CD da una parte all’altra del piano: rock, reggae, blues, pop, jazz. Ecco, bisognerebbe fare come nel Jazz, seguire le regole per fare ciò che si vuole, lasciarsi andare all’estro, fare le cose senza preavviso, improvvisare insomma. Mi accorgo, intanto, che sotto c’è meno gente. Inoltre mi ero congedato dal mondo della musica pochi attimi fa. Meglio capire cosa succede ai piani alti.
Tornando al piano terra mi trovo di fronte a un cartello con la mappa del magazzino. Dei quattro piani uno l’ho già visitato, al primo c’è la narrativa per bambini e manuali di diritto ed economia, al terzo piano stanno facendo dei lavori: “stiamo modernizzandoci per voi” (per chi altrimenti? Vogliono fare del magazzino uno spazio mastodontico in piena Berlino Mitte colmo di libri, CD, cartoleria e altro, per il puro piacere dei soci nel vedere crescere fisicamente il frutto dei loro investimenti?). Oltre a questi piani rimangono il piano terra, che ho appena sbirciato, e il secondo piano.
Tra le sezioni indicate sul cartello informativo leggo Storia, Letteratura, Romanzi, Lirica. Mi chiedo a che cosa possa riferirsi la categoria Letteratura se non ai romanzi e alla lirica. Noto un’assenza non indifferente. Infatti, tra le varie opportunità che il magazzino Dussmann offre, quale ruolo viene dato alla filosofia? Questa infatti non è indacata sul cartello. La domanda mi incuriosisce. Mi rendo conto di aver trovato un nuovo obiettivo nel magazzino Dussmann: cercare la filosofia.
Al primo piano c’è di tutto. Passo per lo scaffale dei classici, cerco di frenare le mie pulsioni di feticista dei titoli, limitandomi a qualche piccolo piacere fuggitivo: Balzac, Dostoevskij, Kafka. Attraverso la fornitissima sezione Krimis, di cui più di un cartello informativo all’entrata mi aveva già messo in avviso (il cliente va indirizzato).
Procedo senza troppe smancerie anche lungo la sezione dei libri di storia: mi fa arrabbiare solo il libro di quella collana che pretende di spiegare diverse discipline agli stupidi. Questi libri sembrano presupporre che il lettore si consideri stupido oppure abbia un certo senso dell’umorismo. Nel primo caso mi chiedo in quanti siano coloro che davvero si considerano stupidi e se, nonostante tali presupposte carenze, siano disposti a studiarsi cinquecento pagine di storia della Germania sotto questo appellativo. Nel secondo, avere senso dell’umorismo e autoironia, non mi sembra un criterio rilevante nella scelta di un libro di storia.
Ormai ho setacciato l’intero piano terra e so che, se anche il reparto di filosofia consistesse in un cassetto, l’avrei comunque trovato. Nel percorso verso il secondo piano mi viene da pensare cosa cerchiamo quando compriamo un libro. Forse ci aspettiamo che una lettura possa cambiare la nostra vita? Alcuni in fondo lo sperano, ma questi sono dopotutto una minoranza. Direi che, nella maggior parte dei casi, un libro si compra per passare il tempo impegnando l’immaginazione e il pensiero. Magari con uno scopo concreto come quello di rilassarsi dalle incombenze lavorative, o di scordarsi per un po’ di tempo dei problemi. Alcuni lo fanno per gusto estetico. Direi comunque che tutti, nel momento in cui comprano un libro, godono, chi nascostamente chi in maniera più disinvolta, del “senso del possesso”, come cantava Battiato in altre circostanze.
Ecco che anche io, che ora mi dirigo al reparto di libri di filosofia, forse con il segreto proposito di comprarne uno, agisco secondo il principio del piacere dell’impossessamento. Per quale motivo sennò la gente si dà tanta noia per comprare cose che già possiede, che potrebbe procurarsi in altro modo oppure che smette di usare dopo un paio di giorni? Non ritiene, dunque, che possa avere un qualche vantaggio da ciò che acquista? Conosce il tipo di privilegio che potrebbe avere, o magari tenta di dare soddisfazione a un bisogno che va al di là dell’oggetto?
Ci sono domande che non vogliamo porci? Mancanze che non vogliamo riconoscere? Certamente il piacere di acquistare ha la sua efficacia per un po’ di tempo, ma se fosse un vuoto di altro genere che tentiamo di riempire?
Questi pensieri mi allontanano un poco dall’idea di comperare un libro di filosofia proprio ora che finalmente mi trovo davanti allo scaffale. Un libro di un altro tipo sicuramente lo comprerei, ma un libro di filosofia? Cosa risponderei a Platone o a Nietzsche qualora trovassi tra le pagine dei loro scritti pensieri affini ai miei? Sarebbe imbarazzante dover considerare, di fronte allo spirito aleggiante del filosofo, di aver fatto l’esatto contrario di quello che sto leggendo con tanto zelo. Cosa risponderei se mi chiedessero come mi sono procurato il loro libro? No, meglio lasciar perdere la filosofia per questa volta.
Mentre penso, intanto, valuto la misura piuttosto ristretta del reparto Filosofia, il quale si trova esattamente davanti al reparto Religione. Mi piace immaginare che, nello scegliere la collocazione dei libri, gli incaricati abbiano voluto dare una valenza simbolica nel porre l’una di fronte all’altra le due discipline, ad osservarsi a distanza, senza tuttavia mai perdersi di vista. Ad essere corretti però la religione ha uno scaffale di deficit rispetto alla filosofia, il quale è integrato da un altro scaffale riportante la misteriosa dicitura “Weisheit”.
Mi avvicino reverente alla fonte del sapere esoterico, domandandomi (eppure presagendolo) di che genere possano essere le file di libri poggiati sulle mensole; Yoga, Tai chi, pillole del pensiero asiatico e di buddismo. “Quello che normalmente la gente cerca per continuare a fare quello che fa un po’ più serenamente” mi viene da pensare. Ottenere la chiave della saggezza però costerebbe un po’ caro per le mie finanze. Inoltre fuori è tornato il sole.
Scendo velocemente i due piani senza guardarmi intorno, supero la porta automatica e sono di nuovo all’aperto. Il tempo si mette al meglio e la luce di mezzogiorno si fa più intensa sulla carrozzeria delle macchine che sfrecciano lungo Friedrichstraße. Mi lascio alle spalle Hanon e la filosofia. Me ne vado contento, soddisfatto di quanto nel magazzino Dussmann ho trovato.