Unconventional Berlin Diary: l’arte ci vuole liberi, come cavalli in fuga

La mia band mi ha lasciata a piedi dopo le prove, o forse farei meglio a dire che non ci siamo capiti. Correvamo inseguendo il tram, il chitarrista e il batterista sollevando in due una cassa di vuoti di birra, io davanti a tutti. 

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Unconventional Berlin Diary: l’arte ci vuole liberi, la vita può renderci schiavi

Sono arrivata che si erano appena chiuse le porte, ho fatto la faccia del gatto di Shrek, l’autista mi ha fatto salire, i ragazzi non c’erano, sono scesa a cercarli, le porte si sono chiuse di nuovo e a quel punto li ho visti dentro. Ho cercato di farmi aprire ancora, ma l’autista mi ha ignorato ed è ripartito. Probabilmente avrebbe sgommato mostrandomi il medio, se avesse potuto.


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Che sarebbe la mia vita, senza l’arte, la letteratura e l’orata all’acqua pazza?

Mentre aspettavo un altro tram, ne ho approfittato per continuare a leggere “Lo specchio nello specchio”, di Michael Ende, graditissimo regalo di Wolfie per Natale. Tengo il segno con il blister delle mie pasticche salvavita e più vado avanti più mi immergo nell’immaginario dell’autore, una sorta di incubo metafisco illustrato da De Chirico.

Adoro De Chirico, la Poupeè di Bellmer in tutte le sue forme, l’espressionismo tedesco, la letteratura giapponese e molto altro, inclusa l’orata all’acqua pazza. 

Unconventional Berlin Diary: l’arte ci vuole liberi, la vita può renderci schiavi

Non so cosa farei, se non avessi a portata di mano tutta questa bellezza in cui rifugiarmi, quando la vita delude. Per questo sono felice di non avere ancora internet sul cellulare. Non essermi trasformata in unosmartphone zombie” (come pure mi capiterà, non mi faccio illusioni…), sta prolungando per un po’ il piacere dei libri letti in giro e delle stampe sfogliate in metro, ma anche delle agendine o addirittura dei fogli volanti da scarabocchiare, con idee per racconti o progetti, mentre aspetto qualcuno in un caffè.

Va detto che tutti questi spunti sono destinati a morire in un cassetto, perché sono sempre troppo stanca per dedicarmi seriamente a qualcosa che non sia la musica. Peccato, però. Alcune idee sono davvero buone, o almeno credo.

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Unconventional Berlin Diary: l’arte ci vuole liberi, la vita può renderci schiavi

Vorrà dire che scriverò qualcosa di compiuto quando sarò vecchia e potrò contare sulla pensione sociale. Sperando di avere ancora in testa un paio di neuroni funzionanti, ma non abbastanza neuroni da capire che ho sprecato la mia vita.

Per quanto riguarda la lettura, è un piacere che purtroppo mi concedo solo tra una metro e l’altra o durante la pausa pranzo. Un tempo leggevo costantemente e adoravo farlo soprattutto prima di dormire. Non mi è più possibile. Leggo supina e mi cade ripetutamente il libro in faccia, quando mi addormento dopo pochi secondi.

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Una volta mi sono data sul naso un Mammut della Newton Compton sui tragici greci, rischiando la frattura del setto. Eppure cerco di resistere e in media rinuncio definitivamente solo al terzo o quarto abbiocco. A volte mi addormento con le braccia rigide, in una parodia da cripta delle mummie, ma questo è il massimo risultato che posso ottenere. Alla alla fine spengo la luce con disappunto. Fine della divagazione. Torniamo all’arte che ci rende liberi.

Grazie per non aver suonato “Besame mucho”

A Schönhauser Allee ho dato due euro a un violoncellista di strada perché stava suonando la splendida “Runaway Horses” di Philipp Glass, dalla colonna sonora di “Mishima, a life in four chapters”.

L’ho voluto premiare e gli avrei dato anche di più, potendo, perché di solito in queste circostanze ci si aspetta “Cielito lindo” o “Besame mucho” e invece… che bella sorpresa! Sono rimasta estasiata a sentirlo suonare Glass e alla fine gli ho mostrato i pollici in segno di apprezzamento. Ho pensato che un mondo fatto solo di cose belle da guardare, leggere o ascoltare sarebbe un’onesta alternativa al paradiso cattolico.

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Contemplare la bellezza, liberi: come immagino il paradiso

Il mio oltretomba ideale sarebbe un luogo in cui godere per l’eternità di brani di Bowie e Nirvana e racconti di Gaiman e Buzzati e in cui assistere ogni giorno a rappresentazioni inedite di Eduardo e mostre di Van Gogh e Schiele. Avendone voglia, però.

Non vorrei che fosse come nel racconto di Stephen King “E hanno una band dell’altro mondo”, in cui un concerto di rockstar defunte diventa una tortura eterna, per i poveri protagonisti. No, nel “mio” paradiso la bellezza dell’arte sarebbe a disposizione sempre, ma senza imposizioni.

Si potrebbe riposare con le serrande abbassate per tutto il tempo necessario ad avere di nuovo voglia di vivere e il vino renderebbe brilli senza mai dare la nausea. Spoiler: la realtà non ci arriva neanche vicino. Anche se l’arte rende liberi quel tanto che basta da saperlo. Ed evadere, come si può.

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Unconventional Berlin Diary: l’arte ci vuole liberi, la vita può renderci schiavi

Una realtà deludente, liberi mai: l’inferno in terra

Nella realtà, ci tocca tollerare talent show che servono a testare le potenziali fanbase in anticipo e quindi, di conseguenza, siamo costretti a sciropparci musica mainstream senza coraggio e nessun vero outsider.

C’è di peggio, però. Per esempio la spazzatura editoriale. Il 2011, in questo senso, è stato un annus horribilis, perché hanno visto la luce sia il patetico “Cinquanta sfumature di grigio“, firmato dall’autrice con uno pseudonimo (posso capire la necessità di nascondersi), sia l’orripilante “Sposati e sii sottomessa”, di Costanza Miriano.

Lo so, siamo nel 2015, ormai, ma entrambi i tomi sono ancora in circolazione nelle librerie e siccome prima si parlava della bellezza dell’arte come di un’alternativa al paradiso, direi che due schifezze del genere sono invece il perfetto surrogato di una palata sulle gengive. Data di taglio.

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A proposito di Costanza Miriano, mi chiedo se abbia intenzione di venire a predicare anche in Germania, dopo la sua recente puntatina in Olanda, Paese che ha definito “il posto dell’eutanasia e delle chiese vuote”.

Vederla approdare anche in nazioni non esattamente ultra-cattoliche mi agita, perché temo un’incursione anche qui. La condizione di expat può essere pesante, ma almeno, fino ad ora, me ne sono rimasta lontana da boiate come i suoi libercoli, in cui postula che le donne siano nate per obbedire ai mariti e gli uomini per essere forti e combattivi. Avanguardia pura, come direbbe Miranda Priestly. No, questa distanza va ribadita: Costanza Miriano deve lasciare in pace la Germania e concentrarsi sui Paesi ancora non pienamente convinti dell’innocenza di Galileo.

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Ad ogni modo, se mai questa donna dovesse approdare a Berlino con il suo carico di pistolotti altomedioevali contro il “ggggiender” e le donne troppo emancipate, andrò personalmente a chiederle perché non se ne stia a casa a fare il sugo, visto che ciancia tanto e poi è sempre in giro, senza neanche un maschio a farle da tutore.

È un po’ come il suo amico Adinolfi, che predica come Savonarola e poi si risposa a Las Vegas, da divorziato, dando agli altri buoni consigli mentre continua a dare cattivo esempio. Sì, l’ho scritto cantando.

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Unconventional Berlin Diary: l’arte ci vuole liberi, la vita può renderci schiavi

Non c’è posto, per loro, nel mio paradiso non cattolico fatto di multiformi rappresentazioni di verità e bellezza, ma soprattutto di concerti, mostre e spettacoli pazzeschi.

Miriano e Adinolfi saranno invece relegati in una dimensione in cui regna Freya, dea norrena solita cavalcare sui campi di battaglia e che li aggredirà costantemente urlando slogan contro il patriarcato. Nei rari momenti di pausa, per tutti e due, playlist di Minghi ed esperimenti vocali di Yoko Ono in dolby surround. Per l’eternità.

Colonna sonora: “Runaway Horses” – Philip Glass  ♠

Machete

Machete vive a Berlino dal 2013.

Ama la musica, il cinema, la letteratura e la serotonina.

A otto anni sperava che prima o poi qualcuno avrebbe inventato una pillola contro la morte. Un po’ lo spera ancora.

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