Morricone, Berlino, la colonna sonora delle nostre vite
di Andrea Rizzi*
È una bella gara di longevità, quella tra Ennio Morricone e la sua musica. L’11 febbraio 2014, in occasione della consegna del premio cinematografico europeo per la migliore musica da film, il “Maestro” aveva diretto uno splendido concerto a Berlino; un paio di giorni dopo, a Zurigo, era inciampato sul palco scendendo dal podio alla fine del concerto, esacerbando i problemi alla schiena che hanno poi indotto i medici ad imporgli l’abbandono dell’attività concertistica fino alla fine del 2014. Ma a un anno esatto di distanza, il 10 febbraio 2015, rieccolo sul palco dell’O2 World, nella capitale tedesca, quasi a riprendere il filo di un discorso interrotto controvoglia.
Un discorso, quello del suo tour “My life in music”, condiviso anche stavolta con 8.000 persone di ogni età, nazionalità ed estrazione sociale, accorse per vederlo dirigere l’orchestra sinfonica nazionale ceca, il coro ungherese Kodaly e la soprano Susanna Rigacci (in totale circa 170 elementi) nell’esecuzione delle sue più famose colonne sonore. Anche quelle degli spaghetti western, tanto amati dai tedeschi quanto ormai indigesti al compositore laziale, che non manca mai di rimarcare come solo l’8% della sua produzione artistica sia legata a film western. “Ma tutti mi chiedono sempre solo di Sergio Leone”.
La musica di Morricone, del resto, va molto al di là di Clint Eastwood e Terence Hill: i pezzi con cui ha iniziato e concluso il concerto tra applausi scroscianti, tratti da pellicole tutt’altro che western “C’era una volta in America” e “The Mission”, ne sono la testimonianza più evidente. Morricone è stato un precursore, un avanguardista, come il suo mentore Goffredo Petrassi. Gli è sempre piaciuto – per sua stessa ammissione – sperimentare con le melodie delle sue colonne sonore, inserendo giochi armonici e virtuosismi anche all’insaputa del pubblico e dei registi stessi.
È stato il primo a combinare arrangiamenti classici con strumenti elettronici da una parte (“C’era una volta nel west”, 1968) e a forte connotazione locale dall’altra (lo scacciapensieri de “Il clan dei siciliani”, 1969); e forse l’unico, grazie anche al sodalizio con registi che ne hanno capito la grandezza, a comporre colonne sonore indipendenti dalle immagini che accompagnavano. O meglio, che venivano prima del film, e spettava poi al regista adattarvi le scene girate. Tanto che Quentin Tarantino, per Django Unchained, si è preso la libertà di utilizzare un suo pezzo interpretato da Elisa, “Ancora qui”, contro la volontà del “Maestro”. Che non l’ha presa bene: “Tarantino sceglie le musiche senza coerenza e io, con uno così, non ci faccio nulla”.
Nel concerto di Berlino, come detto, non sono mancati i superclassici, da “C’era una volta il west” a “Il buono, il brutto, il cattivo”, passando per “Nuovo cinema paradiso” e “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, ma c’è stato spazio anche per colonne sonore meno note, soprattutto al pubblico tedesco, come “Maddalena” e “Metti, una sera a cena”. Gli archi, ovviamente, assoluti protagonisti, ma anche corni, trombe, clarinetti e l’oboe sublimato nelle note di “The Mission”, così come l’arpa, lo xilofono, la batteria, le altre percussioni e il pianoforte, incantevole evocatore dei sogni di un bambino e del suo cinema Paradiso.
Alla fine del concerto, poi, una gradita sorpresa, con il “Maestro” omaggiato come miglior compositore del secolo dalla fondazione “Cinema for peace”, premio consegnatogli da un’emozionata Nastassja Kinski e dal nipote di Nelson Mandela, Kweku. Ennesimo riconoscimento di una splendida carriera che, a 86 anni, Ennio Morricone non ne vuole sapere di chiudere. Ma anche se un giorno – speriamo lontano – la natura se lo porterà via, le sue melodie, alla fine, vinceranno quella gara di longevità. E continueranno a vivere per sempre.
* pubblicato originariamente su Melty.it