M46, direzione Bahnhof Zoo

[© Peter Amende on Flickr / CC BY 2.0]

[© Peter Amende on Flickr / CC BY 2.0]
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di Gabriele Paoletti

Si gela, è già buio, la musica alle orecchie mi accompagna, stringo bene la sciarpa intorno al collo, tiro su la zip fino a farle toccare il mento, guardo il mio orologio: 16:54.

Alla mia sinistra puntuali si riflettono sul bagnato le luci dei fari del bus, eccolo.

Le mie dita sono così fredde ed insensibili che quasi non riesco a tirar fuori il biglietto dalla tasca, ce l’ho fatta. Una rapida occhiata al conducente e sono a bordo. Il mio sguardo punta dritto alla coda, non è molto affollata, lì c’è il mio posto preferito, è libero, da lì posso godermi tutto.

Mi accuccio per trattenere il calore, i Pink Floyd dalle cuffie aiutano i miei pensieri a prender forma, conducono il ritmo di questa giornata. Quando posso scelgo il bus alla metro. Mi regala più stimoli, riflessioni, mi sento come cullato dalla città, il traffico, le luci.

Prima fermata, “An der Urania”. Scendono in due, non sale nessuno. Nemmeno 300 metri più in là e giungiamo alla seconda fermata, “Wittenbergplatz”. Guardo fuori dal finestrino, pioviggina, resto incantato come sempre. C’è dell’arte in questa piazza, la si può respirare. Trovo l’edificio della stazione della metropolitana uno tra i più affascinanti di tutta Berlino. Ha la peculiare capacità di condurmi direttamente ai primi del ‘900, lasciarmi fantasticare sul come fosse allora.

[© onnola on Flickr / CC BY-SA 2.0]
[© onnola on Flickr / CC BY-SA 2.0]

Ma c’è dell’altro nel mio campo visivo, un palazzone che non stona per niente in quell’Art Nouveau, ma anzi ne rafforza i caratteri. Si eleva fiero e lussuoso lui, il colossale tempio del consumismo tedesco, famoso in gran parte d’Europa, il “KaDeWe”.

Salgono in tanti, di colpo c’è una gran folla, non resta più spazio per nessuno. Riflette un curioso spaccato di società questo bus, così tanta multiculturalità, così tante lingue. Un disabile armeggia con la propria carrozzella, un anziano signore sistema il proprio cappello, un elegante uomo tutto d’un pezzo si preoccupa che non gli sgualciscano il vestito, una giovane mamma sorride caldamente al proprio bambino, tutto euforico e completamente addobbato dentro il carrozzino. C’è chi parla al cellulare, c’è chi ha lo sguardo perso e poi ci sono loro, gli automi, troppo impegnati ad isolarsi in un mondo ovattato dalla musica ad alto volume e catturato dentro uno smartphone. Non alzano lo sguardo per nulla, tornano alla vita reale solo due secondi prima della fermata.

[© Fotodilletant on Flickr / CC BY-SA 2.0]
[© Fotodilletant on Flickr / CC BY-SA 2.0]

“Europa Center ”, impazienza di chi vuole scendere, smania di chi vuole salire, ognuno con la sua corsa da eseguire. Sono così tanti, eppure così soli. Nell’agitato ritmo di questa grande città, se non stai al passo resti indietro, ognuno guarda per sé, c’è grande incontro fisico in completo anonimato. Il semaforo è rosso all’incrocio tra la Tauentzienstraße ed il Ku’damm, c’è frenesia nell’aria, il Natale è vicino, la gente si accalca lungo questi vialoni agghindati a festa, luminosi, perdutamente belli. Chi li ha, ama spendere qui i propri soldi, sembrerebbe proprio così.

Incredibilmente dinnanzi questo teatro monetario, questa atmosfera gioiosa e spendacciona, giace nostalgica una torre, è la Gedächtniskirche o precisamente quel che ne rimane, come a voler testimoniare il triste ed orribile palcoscenico di guerra dei primi anni ’40 , stesso luogo, ma tira aria diversa. Chissà come è da lassù “il cielo sopra Berlino”. Scatta il verde, la prossima è “Kurfürstendamm”. L’autobus si svuota, ma i posti a sedere restano comunque occupati.

[©  Rae Allen on Flickr / CC BY 2.0]
[© Rae Allen on Flickr / CC BY 2.0]

Nonostante la musica alle orecchie, un forte rumore richiama la mia attenzione, fuori, arrogante romba una ferrari. Riporto i miei occhi a bordo, scorgo la figura di una anziana signora a qualche passo da me, sta in piedi, di spalle, capelli bianchi. Gilmour canta dentro i mie timpani: «…Strangers passing in the street…», la donna si volta, «…by chance two separate glances meet…», le rughe in viso avrebbero tanto da raccontare, mi guarda, ha due bellissimi occhi blu. Gilmour continua: «…and I am you and what I see is me…», mi dà l’impressione di una che ne ha passate tante ed il suo sguardo ha una luce dolce, mi alzo e le faccio cenno con il braccio, le cedo il posto. Un sorriso ed un “Danke” stampati sulle labbra, accetta. Si aprono le porte, siamo a “Zoologischer Garten Bhf”, poggio i piedi per terra mentre Gilmour rincalza: «…and help me understand the best i can…».

Guardo l’orologio: 17:03, sono passati 9 minuti. Nell’udito gli anni settanta, di fronte ai miei occhi il Bahnhof Zoo, un ricordo vola a loro, “i ragazzi dello zoo di Berlino”.